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“All’Aurora va in scena la giustizia”

Rappresentato un dramma dello scrittore-magistrato Gennaro Francione

Domenica 20 febbraio, presso il teatro Aurora è andato in scena un dramma di Gennaro Francione  i cui protagonisti, come suggerisce, lo stesso titolo, “Il genio e l’idiota” sono due magistrati, uno è Oziero, il genio, l’altro Pannone l’idiota, che si incontrano nei corridoi del tribunale e danno vita ad un dialogo dai toni beffardi e drammatici, che conducono lo spettatore nei meandri della realtà della  giustizia in una disamina della situazione, precisa, senza chiaroscuri ed assolutamente impietosa. I due giudici, infatti, che a buon diritto, si debbono considerare l’uno il doppio dell’altro, prendendo le mosse dalla notizia riguardante un delitto commesso all’università, conducono un esame severo, ma sincero della loro personale condizione, che, naturalmente, diventa il simbolo della triste condizione di tutti i magistrati, o, almeno, di tutti coloro che cercano, pagando personalmente in termini di carriera innanzitutto, di sottrarsi al terribile ingranaggio, nel quale si finisce per diventare “la copia della copia burocratica di un uomo”. Praticamente “un nulla”, un nulla infinito capace di fagocitare tutto e tutti e nel quale non può esserci posto per chi cerca di capire in silenzio, non i meandri delle leggi, per promulgare sentenze ineccepibili dal punto di vista formale e logico, ma l’umanità sofferente che passa davanti ai giudici, per tentare di scoprirne non semplicemente il delitto, ma qualcosa che va oltre le apparenze, qualcosa capace, magari, di fornire vere prove, mentre, e l’affermazione non può non essere avvertita in tutta la sua drammaticità,  nella realtà la più parte delle condanne manca di vere ed inoppugnabili prove.

Perché nella visione che l’autore presenta non è importante, secondo i più, perseguire la giustizia, ma condannare, condannare sempre, arrogandosi il ruolo stesso delle terribili divinità primitive pronte a punire l’uomo con ogni sorta di mali, quasi novelli Minossi che, come fa il demonio dantesco “giudica e manda secondo ch’avvinghia”. E’ “la sbobba della presunzione” che guida i magistrati in carriera, capaci di barattare “anime per fascicoli”come troppo spesso la storia ha testimoniato con le sue terribili vicende di falsa giustizia. Ma è da qui che si può comprendere la diversità o, forse, sarebbe meglio dire l’alterità rispetto al sistema, dei due personaggi che, infatti, non hanno ricevuto la dovuta promozione, perché, chi si sottrae all’ingranaggio,è destinato allo scacco senza speranza e senza futuro, a meno che ci si debba accontentare di un futuro fatto di nulla, nel quale, tuttavia, possono continuare a credere in silenzio che la verità e la giustizia potrebbero, almeno, essere ricercate, se proprio è impossibile attuarle, senza seguire la vuota vita degli ignavi.

E lì dove lo stato ha perso tutte le sue prerogative, per diventare solo “Povero, povero, tanta carta per sentenze, sentenze e, poi, plof, non ha nemmeno i soldi per pagare la carta igienica”, non può non affacciarsi il volto della follia, quella con la lettera maiuscola, che vede oltre le apparenze, che rifiuta i compromessi e, prima ancora, comprende che la giustizia nelle mani di certe iene è soltanto ferocia che uccide le anime. E’ la follia dell’uomo che non vuole prendere su di sé con leggerezza le sorti “dell’umana gente”, partendo dal principio sacrosanto  dell’humanitas, che altro non è se non il rispetto dell’uomo, a qualunque condizione sociale ed economica appartenga, dell’uomo, cioè, in quanto tale, che ha il diritto naturale di essere rispettato, prima di essere giudicato. Diversamente l’arroganza del giudicare prenderà irrimediabilmente il posto della giustizia in un gioco alchemico capace di trasformare l’oro della verità in metafore vuote e dannose a danno dei poveracci, mentre “i grandi artefici dei megacrimini sguazzano sulle spiagge assolate all’altro capo del mondo”. 

La sfiducia nelle reali possibilità di condannare, per eliminare o, almeno, per limitare il male e la violenza nel mondo affiora chiarissima nel dramma, dove i due magistrati dissenzienti pronunciano una frase emblematica, che ben riassume l’ideologia dell’autore: “assolvere, assolvere tutti”, dove si legge bene “la follia” di chi ha compreso l’inadeguatezza dei codici penali, che bisognerebbe rivedere, per dar vita ad una giustizia, non punitiva ad ogni costo, ma ad una vera giustizia nella quale l’uomo non sia ridotto in schiavitù, dove non siano neutralizzati coloro che sono vicini alla verità, perché comprendono come  il mondo muti le coscienze con molta più velocità di quanto i codici riescano ad evidenziare e i giudici a comprendere. Ma, purtroppo, l’autore si rende ben conto che la sua è una ideologia utopistica, se non altro perché il mondo è impazzito, è “colmo di robot” senza rispetto per sé e per gli altri e, perciò il dramma si conclude con il triste cadenzato ritornello, simbolo di una giustizia inerte e dannosa: “il tribunale in nome del popolo italiano visti gli art……condanna tutti gli imputati all’ergastolo.”

Né si può trascurare che l’interpretazione dei due protagonisti è stata eccellente e certamente adatta a rendere la passione e la disperazione dei due magistrati, che colloquiando mettono a nudo le loro anime, per ritrovarsi, pur nella loro diversità uniti dalla medesima visione del mondo.

 

                                                                                              Sara Gilotta

  pubbl. "La Torre", venerdì 4 marzo 2005, p. 11

 

http://www.capitoloprimo.it/prometeo/?p=7#comments

  http://www.macchianera.it/Files/html/posta.html

http://www.torreomnia.com/forum/bacheca/francione/R_TEATROFARA.htm

 

 

http://www.torreomnia.com/forum/leggi.asp?id=1429

In merito al ringraziamento  per la pubblicazione della recensione e alla deprecabile mancanza di contatto tra il giudice drammaturgo  e il teatro torrese.

Ciao Gennaro,
non merito nessun ringraziamento, faccio solo il mio dovere di collazionatore di discorso pro-Torre. Dopo Gennaro Vitiello, Lucio Beffi e i grandi filodrammatici come Gianni Pernice oggi a Torre verrebbe fatto il teatro impegnato. Ci sono dei continuatori del Teatro d'avanguardia, ma è il rapporto "persona" che è sempre più difficile. C'è sempre meno associazionismo, è più individualismo. Un po' come quel politico che perora la causa personale e mette in second’ordine quella comune.
In più esiste la "sindrome da Eduardo" cioè il "padreternismo" e il "capiscuolismo" sia tra i tradizionalisti che gli avanguardisti. Insomma un terreno spinoso. Bisogna trovarsi dentro per capire.
Però mai dire mai.
Luigi Mari

 

http://www.iltempo.it/Abruzzo.asp?id=82499&pag=17

AVEZZANO — Appuntamento da non perdere, domenica, nell’auditorium del Centro servizi culturali di via Cavalieri di Vittorio Veneto ad Avezzano. Alle 17,30, organizzato dall’associazione Rinascimento 2000 con l’Agenzia per la promozione culturale, convegno-teatro «Da Goldoni a Betti e oltre: avvocati e giudici drammaturghi». Il convegno sarà diretto dal giudice drammaturgo Gennaro Francione, operante presso il Tribunale penale di Roma, e vedrà l’intervento di addetti ai lavori e spettatori. Nel corso del convegno, introdotta dall’avv. Irma Conti, sarà presentata l’opera teatrale Doppelgaenger iudex (Il giudice genio e il giudice idiota) dello stesso Gennaro Francione, regia di Filippo Bubbico, con Giuseppe Alagna e Vincenzo Sartini. La storia si dipana in un corridoietto, che unisce due camere di consiglio di un Palazzo di giustizia, col confronto fra due giudici, Oziero, il genio, e Pannone, il folle. Ad unirli è lo stesso destino che li ha visti non far carriera a causa degli opposti, ma estremi, livelli di intelligenza.

Sabato 14 Maggio 2005

 

Il Centro

domenica 15 maggio 2005

 

 
http://www.mimosesouffle.it/scrollbar/recensioni.htm#