Sentenza Marocchi
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SENTENZA

 

Nella causa penale

 

CONTRO

 

Mohammed Tizio Libero contumace

 

IMPUTATO

 

Per il reato p. e. p. da : art. 171 ter comma 1, lettera c)  l. n. 633/1941,

come modificata dalla legge n. 248/2000, perché poneva in commercio

n. 125 musicassette di vari autori, abusivamente duplicati e privi del contrassegno SIAE, così come p. e p. dal comma 1°, lett d) del medesimo articolo.

In Roma il 1.3.2001.

CONCLUSIONI :

il P.M. chiede l’assoluzione dell’imputato per avere commesso il fatto

versando in stato di necessità ;

il Difensore chiede l’assoluzione dell’imputato

per avere commesso il fatto versando in stato di necessità.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con decreto di citazione diretta emesso dal Sost. Proc. Dott. Pinco  il cittadino

senegalese Mohammed Tizio  veniva tratto a giudizio per rispondere del reato

indicato in epigrafe.

All’udienza dell’8.6.2004, nella contumacia dell’imputato, il Giudice ammetteva

i mezzi istruttori richiesti dalle parti.

All’udienza dell’8.2.2005 veniva escusso il teste a carico M.llo G.d.F.

Caio e all’esito il Giudice dichiarava chiusa l’istruttoria dibattimentale ed

invitava le parti a svolgere le conclusioni, rassegnate come indicato in epigrafe.  

Al termine della deliberazione in camera di consiglio, il Giudice decideva

come da dispositivo letto in pubblica udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le risultanze processuali offerte dalla deposizione del M.llo G. d. F. Caio e dal

verbale di sequestro costituiscono materia per ritenere che l’imputato, in Roma

sulla via Tiburtina, abbia effettivamente posto in essere l’azione tipica descritta

nel precetto penale di cui è contestata la violazione.

Infatti, la condotta del Mohammed caduta sotto l’osservazione degli operanti

si è sostanziata nella detenzione per la vendita di 125 musicassette contenenti

illecite riproduzioni di opere musicali e prive della prescritta vidimazione

S.I.A.E..

Né il contegno tenuto nell’occorso dall’imputato può dare corpo a dubbi di sorta,

dal momento che egli aveva steso un lenzuolo in terra sulla pubblica via, vi aveva

esposto la propria merce e sostava nei pressi in attesa di essere avvicinato da

eventuali acquirenti.

Nel corso della deposizione resa a dibattimento, il M.llo Caio, richiesto di esporre

quanto accertato in ordine alle condizioni sociali ed economiche del Mohammed

( con particolare riferimento alla eventuale titolarità di permesso di soggiorno e

all’effettiva disponibilità di una sistemazione abitativa ), ha riferito che l’imputato

era privo di documenti - tanto che per l’identificazione fu condotto in Questura

ed ivi sottoposto a  fotosegnalamento e a rilievi dattiloscopici – che non risultava

titolare di permesso di soggiorno e che non fu accertato se avesse effettivamente

la disponibilità del domicilio dichiarato in Roma via Pampurio 40.

A quest’ultimo riguardo, dalla relata estesa dall’Assistente UNEP  incaricato

della notifica al Mohammed del decreto di convalida del sequestro delle

musicassette, si evince che l’imputato, ad appena nove giorni dalla

dichiarazione di domicilio, non risultava dimorare nel luogo di abitazione

indicato.     

Orbene, operata una valutazione complessiva delle circostanze del fatto e

delle condizioni di vita dell’imputato, le parti hanno concluso chiedendo

che venisse  pronunciata sentenza di assoluzione per avere il Mohammed

agito versando in stato di necessità, vale a dire spinto dal bisogno di

alimentarsi e in difetto di ogni concreta alternativa.

Le conclusioni svolte dalle parti impegnano questo Giudicante a verificare

la sussistenza dei presupposti individuati dall’art. 54 c.p. per l’operatività

della causa di giustificazione invocata, dall’attualità di un pericolo di danno

grave alla persona alla non volontarietà dello stesso, dall’inevitabilità

altrimenti del pericolo alla proporzione fra il fatto commesso ed

il pericolo corso.

Quanto al presupposto dell’esistenza e dell’attualità di un pericolo di

danno grave alla persona, si osserva come la condizione personale e sociale

dell’imputato all’epoca dei fatti sia elemento tale da farne

ritenere la sussistenza.

Infatti, il Mohammed, cittadino extracomunitario entrato nel territorio

dello Stato al di fuori di ogni regolamentazione lavorativa e privo

di permesso di soggiorno, non risulta avesse un’occupazione e la

sistemazione abitativa dichiarata si è appalesata inesistente o quanto

meno tanto precaria da esser venuta meno già nove giorni dopo

il fatto per cui è processo.

Dette acquisizioni cognitive, se lette ed interpretate alla luce del

notorio circa la condizione degli extracomunitari entrati in Italia in

clandestinità, privi di permesso di soggiorno, di occupazione e di

fissa dimora, consentono di scolpire con sufficiente certezza i tratti

salienti del profilo sociale del Mohammed all’epoca dei fatti giudicabili ;

si trattava di un individuo indigente, quotidianamente alle prese

con il problema di procurarsi i mezzi di sussistenza, ai margini della società e

privo della possibilità di inserimento in un contesto lavorativo garantito.

Tale condizione che ben potrebbe definirsi di “ dannazione sociale “ e la

circostanza che gli operanti non rinvennero nella disponibilità dell’odierno

imputato e non sequestrarono come profitto delle accertate condotte di

detenzione per la vendita di musicassette contraffatte e prive del contrassegno

SIAE alcuna somma di denaro, fanno ragionevolmente ritenere che il Mohammed

vivesse ogni giorno sotto la minaccia di un grave pregiudizio per beni

fondamentali attinenti alla personalità umana quali l’integrità fisica ( oggetto

del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 Cost. ), il decoro e la libertà morale e,

dunque, nella stringente necessità di procurarsi quei mezzi di sussistenza ( cibo,

vestiario ed alloggio ) che costituiscono il patrimonio materiale minimo

per la conservazione di detti beni.

Mette conto di sottolineare, a tal proposito, come il quantitativo di musicassette

che il Mohammed è stato sorpreso a vendere in strada fosse modesto, tale

da ritrarne un corrispettivo comunque contenuto nei limiti del necessario

al soddisfacimento dei bisogni primari.

L’evidenziata situazione di pericolo attuale di danno grave a diritti inviolabili

della persona umana non può peraltro in alcun modo ritenersi volontariamente

causata dall’imputato; sotto questo profilo, pur non essendo note le specifiche

ragioni che indussero il Mohammed  a lasciare il proprio paese di origine

e a fare ingresso in Italia in condizioni di clandestinità, il comune patrimonio

di cognizioni storiche circa le cause dei flussi migratori dagli Stati c.d. in

ritardo di sviluppo, quali quelli dell’Africa Occidentale, verso l’area dei

paesi industrializzati è tale da far asserire o quanto meno da far dubitare

ragionevolmente che l’imputato sia stato costretto ad entrare illegalmente in Italia

dalle condizioni di vita in cui versava, vittima di una situazione di vera e

propria forza maggiore di fronte alla quale mancano i presupposti per la

formulazione di un giudizio di rimproverabilità del volere.

L’analisi dell’ulteriore aspetto della “ non evitabilità altrimenti “ del pericolo

corso dall’imputato e dunque della necessità del sacrificio di interessi

facenti capo a soggetti innocenti, vale a dire estranei alla genesi della

situazione di minaccia per i beni essenziali della sua persona, impone

di verificare se le alternative astrattamente ipotizzabili fossero in

concreto praticabili dal Mohammed e, ulteriormente, se le stesse non

implicassero il sacrificio di beni costituzionalmente garantiti attinenti

alla personalità del giudicabile  e di rango comunque superiore rispetto

agli interessi dei terzi innocenti della cui possibile preservazione si ragiona.

Sotto questo profilo, va innanzitutto escluso che il Mohammed  potesse

procurarsi i mezzi economici necessari alla sussistenza attraverso

la retribuzione di un’occupazione lavorativa regolare e garantita,

ostandovi la sua condizione di immigrato clandestino, privo di permesso

di soggiorno; nessun datore di lavoro avrebbe potuto instaurare con lui

un rapporto di lavoro legale, né l’odierno giudicabile avrebbe potuto

chiedere ed ottenere l’iscrizione nelle liste speciali gestite dagli uffici

del lavoro e della massima occupazione.

Quanto all’alternativa di trovare un’occupazione per così dire “in nero “,

ne va ritenuta l’inesigibilità; infatti, tale scelta avrebbe esposto

l’odierno giudicabile al pericolo attuale di un grave pregiudizio ad

alcuni diritti fondamentali del lavoratore, strettamente connessi al

diritto alla salute ed alla libertà morale, quali quello ad una retribuzione

proporzionata alla quantità e qualità della prestazione lavorativa ed

in ogni caso sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa

( art. 36 comma  1 Cost.), quello al riposo settimanale e alle ferie

annuali retribuite ( art. 36 comma 3 Cost. ), quello all’osservanza

delle norme sull’igiene e sulla sicurezza dei luoghi di lavoro

( art. 32 Cost. ) e quello a che siano assicurati mezzi adeguati alle

esigenze di vita del lavoratore in caso di infortunio, malattia,

invalidità e vecchiaia ( art. 38 comma 2 Cost.), tutte posizioni

giuridiche soggettive che debbono ritenersi costituzionalmente

riconosciute anche agli stranieri in quanto espressione di diritti

inviolabili della persona umana.

Peraltro, gli elementi di conoscenza disponibili sono tali da fondare

il più che ragionevole dubbio che il Mohammed non avesse neppure

la concreta possibilità di accedere ad una occupazione in nero

nei settori che, secondo le cognizioni comuni, finiscono per avvalersi

di fatto, sia pure in un quadro di assoluta illegalità, di manodopera

straniera; infatti, per un verso non risulta dagli atti processuali che

l’imputato avesse esperienza e capacità nei campi dell’edilizia e

della ristorazione, per altro verso, risalendo il fatto giudicabile al

mese di marzo 2001 ed essendo allora lontane le epoche della raccolta

dei prodotti della terra in cui vengono notoriamente e in larga misura

impiegati lavoratori extracomunitari, non gli sarebbe stato possibile

soddisfare il proprio bisogno alimentare con i proventi di lavori

stagionali in agricoltura.

Quanto all’alternativa del ricorso ad enti di assistenza preposti

al soccorso degli indigenti, richiamata in una serie di arresti giurisprudenziali

della Corte di Cassazione, a partire dal 1961, per argomentare

dell’insussistenza del presupposto dell’inevitabilità altrimenti del

pericolo in ipotesi di reati commessi per sottrarsi a situazioni di

bisogno economico stante l’eliminabilità di esso attraverso l’intervento

di enti e strutture assistenziali, si osserva come il nostro ordinamento

giuridico, all’epoca dei fatti ed ancora all’attualità, non contemplasse e

 non contempli strutture e strumenti atti ad assicurare alle crescenti masse

di cittadini extracomunitari “ irregolari “ forme di mantenimento e di

assistenza in caso di indisponibilità di mezzi per vivere e come, anzi,

proprio l’impossibilità della comunità statale di approntare adeguate

risposte all’imponente disagio sociale espresso da tali masse sia alla base

degli interventi legislativi dell’ultimo decennio per introdurre restrizioni

e condizioni al diritto degli stranieri di soggiornare nel territorio della Repubblica.

Vi sono dunque seri motivi per dubitare che fosse esistente e concretamente

praticabile dall’imputato l’alternativa del ricorso ad organizzazioni sociali

votate all’accoglienza e alla nutrizione degli stranieri privi di occupazione

e di fissa dimora.

Peraltro, secondo autorevole dottrina ( De Francesco G.V. “ la proporzione

nello stato di necessità “ ), la valutazione in ordine al presupposto della

necessità di salvataggio – inevitabilità altrimenti del pericolo non può essere

disgiunta da quella sull’estremo della proporzione fra fatto e pericolo; esiste,

vale a dire, un “ nesso di reciproco condizionamento “ per cui l’operatore del

diritto, nel giudicare del profilo della inevitabilità della condotta dannosa

posta in essere dall’agente, deve tener conto anche del rapporto di valore

fra il bene “ salvato “ ed il bene “ sacrificato “quale concretamente realizzatosi.

Ebbene, nel caso di specie non vi è dubbio alcuno che il valore assiologico

dei beni che il Mohammed  ebbe a difendere dal pericolo di un probabile

grave pregiudizio sia superiore a quello degli interessi patrimoniali lesi,

attesa anche la tenuità del danno cagionato ( al limite dell’irrilevanza ), e che,

stante tale rapporto di valore e l’incoercibilità dell’istinto di conservazione

di beni essenziali quali la salute e la dignità umana, il bilanciamento degli interessi

confliggenti debba condurre a riconoscere la mancanza di un interesse dello Stato

a far prevalere i secondi mediante l’irrogazione all’imputato delle sanzioni penali

previste dalla norma incriminatrice indicata in epigrafe.

In conclusione, all’esito della disamina dei risultati dell’istruttoria dibattimentale,

si ritiene che l’allegazione da parte della difesa e dello stesso rappresentante della

pubblica accusa circa l’operatività in favore dell’imputato della causa di

giustificazione di cui all’art. 54 c.p. sia correlata ad un materiale probatorio tale

da far ritenere probabile l’esistenza dell’esimente invocata.

Le acquisizioni cognitive relative alle condizioni personali e sociali del Mohammed 

integrano cioè un principio di prova che, in assenza di seri elementi idonei ad

escluderne l’esistenza, impone a questo giudicante di formulare quanto meno un

giudizio di dubbio in ordine all’esistenza della causa di giustificazione dello “stato

di necessità “ e per l’effetto di pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato

ai sensi dell’art. 530 comma 3 c.p.p..

L’imputato va dunque mandato assolto dal delitto ascrittogli perché residua

il dubbio che il fatto concreto, conforme in astratto al tipo individuato dal

legislatore penale, sia stato commesso in presenza di una causa di giustificazione

e debba pertanto considerarsi ab origine privo del carattere dell’antigiuridicità.

S’impone, in ogni caso, ai sensi dell’art. 240 comma 2 n. 2 c.p., l’ordine di

confisca e di distruzione delle musicassette in sequestro, trattandosi di beni

di cui sono vietate la fabbricazione e l’alienazione in mancanza del

contrassegno SIAE.

 

                                P.Q.M.

 

Visto l’art. 530 comma 3 c.p.p., assolve Mohammed Tizio  dal delitto

ascrittogli per avere commesso il fatto versando in stato di necessità.

Visto l’art. 240 comma 2 n. 2 c.p. dispone la confisca e la distruzione

del materiale in sequestro.

IL GIUDICE                                                           

Dott. MARCO MAROCCHI                                               

                       

                                                                                                                                                                                                                                                       

 

 Commento di Gigi Trilemma

"La splendida sentenza di Marocchi segue la scia della sentenza anticopyright di Francione.

Pur tralasciando il discorso internettiano, la prosegue esaltando al massimo grado il sistema

esegetico sociologico, evidenziando una forma moderna di verdetto non più ancorato

strettamente alla legge, ma capace di spaziare nel retroterra sociale delle vicende

sottoposte al giudice.

Magistrale l'elevazione della "dannazione sociale" a scriminante per i minireati

commessi dai poveri diseredati, generando una forma di depenalizzazione

attuata dai giudici per una più equa distribuzione delle sanzioni tra forti e deboli.