Patrizia Reso

Vive a Cava de’ Tirreni. Sposata con Lucio Senatore  da una vita, hanno quattro meravigliosi figli e sono allietati dalla compagnia di  cani e gatti.

 Dopo studi scientifici (si definisce medico mancato per scelta), ha coltivato la passione giovanile per la storia e la letteratura. Divenuta giornalista, ha continuato ad interessarsi del sociale  con l’attiva partecipazione a realtà associative locali e/o nazionali e con l’organizzazione di eventi culturali di ampio respiro. Uno in particolare occupa un posto di rilievo nella sua storia personale: il soggiorno per una settimana, presso la città di Cava de’ Tirreni, di 18 ragazzi israeliani e libici, accompagnati dall’educatrice alla pace Angelica Edna Calò Livné, del gruppo Hai,  nel 2007.

La sua attenzione si è poi concentrata a quelle notizie del passato che tendono ad essere accantonate, o per distrazione o per una precisa volontà. Hanno così inizio i suoi viaggi negli archivi, dove riposano tutti gli atti amministrativi che si producono quotidianamente e che, col tempo, si trasformano in Storia della gente comune.

I libri che ha pubblicato  sviluppano temi  che vanno in questa direzione: solitudine delle donne; infanzia minata dalla violenza  degli adulti;  le origini meridionali (cavesi) della prima donna regista italiana, Elvira Coda Notari, lavoro per il quale ha ricevuto un riconoscimento dal Lions Club di Salerno nel 2011, la medaglia della Principessa Sichelgaita; partigiani, deportati  e storie di resistenza del profondo Sud. A quest’ultimo tema appartiene “Senza ritorno. Balvano ’44, le vittime del treno della speranza” : la riabilitazione umana e sociale, nonché storica, delle oltre 600 vittime del Treno 8017.

Considera  ed usa  la penna come strumento contro le ingiustizie che si perpetrano nel tempo.

 E' autrice del libro

Senza ritorno. Balvano ’44, le vittime del treno della speranza”, edito da Terra del Sole, 2103.

 

                                  

   Ancora una volta la Reso ha concentrato l’attenzione su una pagina di storia locale che si intreccia con quella nazionale,  rievocando una tragedia che si è consumata a marzo del 1944 e che ha determinato la morte di oltre 600 persone.

  Nella notte tra il 2 e il 3 marzo  del 1944 il treno merci 8017 si fermò sotto la Galleria delle Armi, prima di giungere alla stazione di Balvano,  per  una serie di circostanze, comprese quelle climatiche. Purtroppo il carbone utilizzato, per alimentare la locomotiva e  messo a disposizione dall’Esercito Alleato,  non era delle migliori qualità: produceva molte scorie  e pochissime calorie. Quella galleria, lunga quasi due chilometri, si trasformò in poco tempo in una camera a gas. Donne, uomini, bambini, giovani in erba  andarono incontro ad una morte tragicamente dolce.  I viaggiatori erano prevalentemente cittadini comuni,  persone che si adattavano a viaggiare stipati in vagoni merci per andare a Potenza a procurarsi da mangiare, a barattare pochi averi in cambio di cibo, ormai introvabile, per i propri figli. Persone che vivevano nella miseria prodotta da una lunga e tormentata guerra, passate però alla storia come contrabbandieri e delinquenti da dimenticare presto. Da qui il silenzio che è piombato su questa tragica vicenda; sui morti, anche concittadini  che, a distanza di quasi settant’anni,  ancora non sono noti; sono stati un lacerante dolore solo per i loro familiari, un dolore totalmente privato, pur essendo vittime civili di una guerra non del tutto finita.