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venerdì 6 marzo 2015

MANIFESTO COSTITUTIVO DEL C.A.O.S. – Comitato Abolizione Ordinamenti Segregazionisti

 
 
Visto l’inevitabile fallimento del sistema penale e la vergogna, ormai dimostrata, del sistema carcerario in tutti i Paesi, i quali intendono quegli istituti, ormai antiquati, come metodo di vendetta legale sugli autori o presunti tali di reato (e sempre che certi comportamenti senza vittime, come dimostra il proibizionismo sulle droghe, possano ancora definirsi reato), si indica la volontà politica di rottamare detto sistema penale perché criminale e criminogeno, per fermare l’immoralità stessa della punizione.  

 
 
Come primo passo, s’intende riaffermare la necessità di riportare il nostro Paese nella legalità repubblicana attraverso indulto e amnistia, strumenti già previsti dalla nostra Costituzione, per dare il via ad  una riforma di stampo liberale del sistema giustizia, nella consapevolezza che l’istituzione stessa del carcere è in quanto tale incostituzionale, per violazione dell’art. 27 della Costituzione, in quanto vendicativa e intrinsecamente  priva di valenza rieducativa.
 
Eliminare l’esercizio del “monopolio della forza” dal diritto proprio per riformarlo, e da noi stessi per fare nuova cultura, è un dovere politico.  Se introdurre il concetto di  libertà e responsabilità personali significa creare i presupposti del vivere civile,  diventa indispensabile una nuova forma di difesa personale contro lo Stato autoritario, che sappia coniugare nonviolenza, antiproibizionismo, diritto all’informazione  in un unico progetto politico liberale.  
 
Sottolineamo la crudeltà di un sistema che attribuisce ad esseri umani (i Giudici) l’autorizzazione a giudicarne altri, in piena contraddizione col principio evangelico e laico moderno del “non giudicare” e che suppone di riportare coloro che si sono o si sarebbero “macchiati” di fatti perseguibili  con  “l’espiazione” e con il dolore, in ambienti – veri e propri gulag – nei quali si pensa in modo irrazionale di  “educare alla libertà”  con la sua deprivazione.
 
In quel  salto nel premoderno,  voluto e forgiato da chi crede che la vendetta di Stato sia una sorta di “Diritto” di chi è stato vittima di reato, si finisce inevitabilmente in una macchina  “tritasassi”  in cui la sofferenza e la tortura vengono applicate come metodo che non sa nemmeno essere “rieducativo”.
 
 La fine del processo penale potrebbe spingere ad affidare ai giudici ed agli avvocati il nuovo ruolo di difensori dello Stato di diritto, di mediatori tra le parti, per al meglio risarcire (psicologicamente e materialmente)  le vittime di reato e per demolire, in collaborazione con la società civile, i motivi che al reato inducono.
 
Per questi motivi, oggi 20 febbraio 2015 a Milano, è stato costituito  il C.A.O.S.,  Comitato Abolizione Ordinamenti Segregazionisti.
 
I membri fondatori e promotori, dopo un approfondito e intenso dibattito – ben lungi dal ritenersi concluso – ritengono di dover promuovere iniziativa politica per il superamento di tutte le istituzioni totali di segregazione esistenti, fondate sulla discriminazione e sulla repressione dell’individuo e della sua dignità personale.
 
Tra tali Istituzioni spicca per la sua importanza, il Carcere, retaggio di una concezione premoderna, sulla quale poggia il modello retributivo-punitivo,  che non ha (e non ha mai avuto) alcuna ragion d’essere, né sul piano della difesa sociale, né su quello della compatibilità costituzionale.   Spaventoso è il numero delle sue vittime.
 
In particolare il Carcere, monotona applicazione del Codice Penale, che cioè prevede la sofferenza, la vendetta di Stato (perché non la tortura e la Pena di morte)  per ricomporre il Patto Sociale, nega il presupposto che il reato sia manifestazione parziale della personalità umana da trattarsi con una cultura di nonviolenza attiva e della pratica dell’ascolto.  Il Codice Penale incide sull’individuo nella sua totalità, sul suo tempo, sul suo spazio, sulla sua libertà e sulla sua dignità, ponendosi di fatto in contrasto con l’art. 27, c. 3 della Costituzione Certamente. 
 
Il Comitato ritiene che lo stesso Diritto Penale  sia per sua natura ciò che mina alla radice la natura intima della persona, che attraverso il giudizio sul cosiddetto “elemento soggettivo del reato” (cioè di una branca del diritto non laicamente determinabile) esprima valenze mistiche, religiose e morali non universali, bensì motivo di ulteriore discriminazione.  Ciò comporta anzitutto che siano eliminati i reati senza vittima (victimless crymes)  ed in modo particolare quelli relativi e conseguenti al flagello del proibizionismo sulle droghe.
 
Il Comitato rinnova l’impegno di coloro che intendono battersi sia per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) e le Istituzioni destinati a sostituirli nelle vergognose e note pratiche, sia per le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), in quanto fondate su di nozioni del tutto indeterminate, come quella di “pericolosità sociale” del malato psichiatrico. 
 
 
 
Il Comitato fa propria l’affermazione di Brossat – autore di “Scarcerare la società” – tesa a mettere in guardia, con Benjamin Costant, contro l’illusione umanitaria condotta esclusivamente contro la  pena capitale: «Le punizioni che si sono volute sostituire alla pena di morte non sono, nella maggior parte dei casi, che questa stessa pena inflitta con minuzia, quasi sempre in maniera più lenta e dolorosa».  Si afferma inoltre che  «Quando il diritto avrà fatto il suo ingresso in carcere» non saremo entrati  nell’era del «dopo carcere»  ma avremo un diritto incarcerato.    
 
Il Comitato auspica che, come fu a suo tempo per i manicomi, dei quali si ottenne con successo la semplice chiusura e non una irrealizzabile riforma, possa nascere e crescere nel tempo una vera e propria ondata di nonviolenza che possa radere ogni carcere, che, come a suo tempo i manicomi, sono Istituzioni totali, puramente e semplicemente irriformabili.
 
In sostituzione, per creare terra bruciata intorno alla  “delinquenza organizzata”  che trova nelle attuali Università del Crimine il suo primo centro di aggregazione, si chiede piuttosto di dare il via alla costituzione di situazioni rieducative, sul modello delle comunità e delle case-famiglia, per  consentire di radere definitivamente al suolo istituti di pena arcaici come i vari San Vittore e simili.
 
Giorgio Inzani     Diego Mazzola     Fabio Massimo Nicosia  Gianni Rubagotti Davide Leonardi    Domenico Letizia

http://www.radicalianarchici.it/2015/03/manifesto-costitutivo-del-caos-comitato.html