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Il
copyright è "la sifilide del territorio digitale" (R.
Stallman).
Lautreamont: perché le idee progrediscano è necessario il
"plagio" (e, quindi, anche la sua pre-condizione, cioe' la
"pirateria", la riproduzione libera nota wuming
www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap1iii.html#copyright).
- Rosa
Montero
la cultura è sempre così, strato
su strato di citazioni su citazioni, di idee che provocano la
nascita di altre idee, scoppiettanti carambole di parole che
attraversano il tempo e lo spazio
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LA SFIDA DEGLI ANTIBREVETTO "COPIARE È UN DIRITTO"
La
Open-Cola sfida Coca e Pepsi, rivela la propria ricetta di produzione e
dice: copiatemi. Linux, il programma di software gratuito, in pochi anni
è diventato il primo rivale del Windows di Microsoft. Ora c'è Wikipedia,
l'enciclopedia online che tutti possono copiare e integrare aggiungendo
nuove definizioni. E il popolo dei teen-agers continua imperterrito a
copiare musica gratis da Internet e si rifiuta di pagare le case
discografiche.
La rivolta contro la proprietà privata delle opere dell'ingegno invade
nuovi territori. Abbasso il copyright, viva il copyleft, è lo slogan di
un movimento anticapitalista che nasce nel cuore del sistema. Tra right e
left il gioco di parole allude a destra e sinistra, ma non solo:
contrappone il diritto d'autore remunerato e la "copia lasciata"
a disposizione di tutti, la libertà di copiare. Open-Cola è il primo
caso di un prodotto di consumo che nasce con "formula aperta",
nel senso che il produttore regala sul suo sito Internet le istruzioni per
fabbricarlo, ed è aperto a ogni suggerimento per migliorarlo.
Il modello è copiato dal mondo dell'informatica, dove fin dalle origini
una corrente libertaria e anticapitalista cercò di impedire
l'appropriazione privata delle innovazioni a fini di profitto. Nel lontano
1975 - agli albori del personal computer - nella Silicon Valley
californiana nasceva il celebre Homebrew Club, un'associazione di giovani
ricercatori appassionati di nuove tecnologie, ostili agli interessi della
grande industria, e pronti a tutto pur di impedire che l'establishment si
impadronisse delle loro scoperte. Lì nacque il termine hacker, che
all'origine non designava i cyberpirati bensì i giovani scienziati
animati da ideali antiautoritari e dal sogno di promuovere la massima
diffusione sociale delle nuove tecnologie.
Nel 1984 l'informatico Richard Stallman del Mit lanciò la Free Software
Foundation e il movimento dell'open source - "sorgente aperta" -
per promuovere la divulgazione gratuita dei codici-sorgente che
custodiscono i segreti di funzionamento dei programmi di software. L'etica
hacker ha trovato poi un alleato insperato e prezioso nella logica
dell'efficienza. Via via che il computer diventava uno strumento di massa,
e l'industria del software (Microsoft in testa) sfornava a getto continuo
nuovi programmi, molti informatici si sono persuasi che la formula del
software aperto si presta meglio a veloci correzioni e perfezionamenti. Il
segreto industriale che circonda i sistemi Windows, per esempio, fa sì
che solo i tecnici della Microsoft possono correggere i difetti che
regolarmente accompagnano le prime versioni.
Se invece tutti possono partecipare attivamente al miglioramento del
prodotto, lo sforzo corale dei consumatori motivati può dare risultati
eccellenti. All'inizio degli anni Novanta lo studente finlandese Linus
Torvalds lanciò il più celebre sistema operativo open source,
"sorgente aperta". Il suo Linux è disponibile gratis su
Internet, è una valida alternativa a Windows (lo usano già 18 milioni di
computer in tutto il mondo ed è consigliato nientemeno che dalla Ibm),
potete modificarlo, copiarlo, regalarlo ad altri senza pagare un
centesimo. In cambio della gratuità gli utenti sono invitati a segnalare
errori e a migliorarlo. Un gruppo di esperti seleziona le proposte valide,
e così Linux è in costante progresso grazie al volontariato di milioni
di appassionati informatici. Chi introduce una modifica di successo viene
anche premiato con riconoscimenti accademici, tale è il prestigio di
Linux negli ambienti universitari americani.
Sulla scia di Linux il movimento copyleft si trasforma in valanga. Ora ha
anche una legge che lo tutela, la General Public License: quando un
prodotto nasce con il marchio copyleft, può essere copiato cambiato e
distribuito da chiunque, ma sempre con l'obbligo della gratuità. Nessuno
può fare il furbo, brevettarlo e impadronirsene a fini di profitto. La
popolarità del copyleft si salda con vari fenomeni di rigetto del
copyright. C'è stato il celebre caso Napster, il sito che ha permesso a
milioni di adolescenti di "scaricare" da Internet canzoni e
brani musicali senza pagare un centesimo di diritti d'autore. Condannato
un anno fa dal tribunale di San Francisco, Napster ha generato però
dozzine di cloni, altri siti che continuano a sfuggire alla caccia delle
case discografiche. Crollano le vendite dei cd, e un'intera generazione di
teen-agers ormai dà per scontato che la musica non si paga.
A San Francisco è nata l[b4]Electronic Frontier Foundation per difendere
le libertà civili nell'èra digitale: tra l'altro promuove un modello di
copyleft chiamato Open Audio License, per i musicisti che vogliono offrire
le loro opere gratis su Internet senza finire nelle grinfie dell'industria
discografica. In un campo molto diverso, l'industria farmaceutica è sotto
assedio per l'esosità con cui pretende di estrarre profitti dai suoi
brevetti, vendendo farmaci salvavita (come le cure anti-Aids) a prezzi
inaccessibili per i paesi poveri. Dopo l'11 settembre un colpo inaspettato
alle multinazionali farmaceutiche lo ha sferrato George Bush, che ha
piegato le leggi sui brevetti imponendo alla Bayer di dimezzare il prezzo
dell'antibiotico per l'antrace.
Wikipedia è l'enciclopedia online che permette a chiunque di modificare e
integrare le sue "voci". E' un puro prodotto copyleft, ha già
20.000 articoli e ogni mese si arricchisce di nuovi contributi. "Alla
gente piace l'idea - dice il suo caporedattore Larry Sanger - che la
conoscenza possa essere distribuita e sviluppata liberamente". Ma
l'esperimento più rivoluzionario di copyleft riguarda nientemeno che un
processo in tribunale. Lawrence Lessig, uno dei massimi giuristi
dell'università di Stanford, sta preparando una causa storica contro la
legge americana sui diritti d[b4]autore.
Lo fa per conto di un editore online, la Eldritch Press, che vorrebbe
offrire su Internet libri il cui copyright è scaduto, ma è penalizzata
dalla nuova legge Usa che ha esteso la durata del copyright da 50 a 70
anni dopo la morte dell'autore. Il giurista Lessig ha lanciato un appello
a tutti gli studenti di diritto delle università americane, da Stanford a
Harvard, perché contribuiscano a definire assieme a lui gli argomenti
legali per contestare la legge sul diritto d'autore. E' nato così il
primo caso di Open-Law: gli argomenti legali sono a disposizione anche di
altre associazioni di cittadini che si mobilitano contro il copyright.
"In un mondo in cui cresce l'opposizione al potere delle grandi
aziende, ai diritti restrittivi sulla proprietà intellettuale e alla
globalizzazione, l'open source emerge come una possibile alternativa, un
mezzo per contrattaccare" ha scritto Graham Lawton sul New Scientist.
Con il copy-left anche il movimento no-global può scoprire di avere
un'altra freccia al suo arco: proprio in America, nel centro del
capitalismo mondiale, la legge consente di vietare la proprietà privata.
(LA
REPUBBLICA)
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Roma, 05/12/97
"Il copyright è di destra, il copyleft è di
sinistra"
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/s/stallman.htm
SOMMARIO:
 | L'intervistato introduce il concetto di
software libero, partendo dalla presentazione del sistema
operativo al quale lavora ormai da 14 anni, il sistema GNU (1)
(2).
|
 | Esiste una Free Software Foundation che
raccoglie fondi per il finanziamento dei programmatori che
lavorano alla realizzazione di software libero. Molti di questi
programmatori sono solo dei volontari e il loro lavoro è stato
molto facilitato dal kernel "Linux" (3).
|
 | Il lavoro da realizzare per il futuro è quello
di rendere anche il software libero semplice da utilizzare per
l'utente che non è un programmatore esperto (4).
|
 | Il concetto di software libero si oppone
nettamente a quello di copyright e all'idea che chi scrive
qualcosa abbia, poi, il diritto di decidere cosa devono farne
gli altri (5).
|
 | Il software libero si vende e il denaro
ricavato, in particolare nel caso della Free Software Foundation,
è utilizzato per sviluppare altro software libero (6).
|
 | L'intervistato spiega il concetto di copyleft (7).
|
 | Lavorando con del software libero si è meglio
protetti da eventuali errori che si possono manifestare nei
programmi: chiunque, infatti, può correggere eventuali errori o
segnalarli al programmatore, nel caso del software libero sempre
rintracciabile, da cui si è ricevuto il software (8).
|
 | E alla base di questo discorso resta la fiducia
che si ha nel prossimo, almeno nei confronti degli amici dai
quali si sceglie di ricevere una copia di software libero (9).
|
 | L'intervistato contesta l'intero sistema di
gestione e di diffusione dell'informazione che si basa sul
concetto di proprietà, soprattutto perché è un sistema il cui
scopo primario è il guadagno economico, piuttosto che la libera
circolazione delle idee (10).
|
 | L'intervistato passa a descrivere l'inizio
della sua attività di programmatore e il suo primo lavoro al
MIT di Boston (11),
|
 | spiegando quali motivi lo hanno, poi, spinto ad
abbandonare il MIT per dedicarsi al software libero (12). |

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INTERVISTA:
Domanda 1
Sistema operativo GNU: di cosa si tratta?
Risposta
GNU è il nome del sistema operativo a cui lavoriamo da 14 anni;
questo sistema è interamente costituito da software libero, e ciò
lo caratterizza rispetto a tutti gli altri software. Poiché è un
software libero, gli utenti hanno la "libertà", appunto,
di modificare il software stesso a seconda dell'uso che se ne vuole
fare, hanno la libertà di studiare come funziona il software; noi
diamo all'utente il codice sorgente - non c'è nulla di segreto
all'interno del suo software -, e l'utente ha la libertà di fare
copie e distribuirle in modo da condividerle col suo vicino. Inoltre
si ha la possibilità di fare versioni migliorate e diffonderle
sulla rete, al fine di un uso comune; di conseguenza, chiunque può
collaborare alla costruzione della sua comunità. Il significato di
software libero consiste in queste tre libertà che ho
sinteticamente riassunto. L'idea stessa di questo sistema è che
ogni sua parte è software libero, così un utente può usare un
computer che ha esclusivamente software libero per ogni funzione. In
questo modo non si è vincolati a nessun proprietario di programmi.
Domanda 2
Immagino che ciò sia utile ai programmatori, ma per quanto riguarda
gli utenti comuni?
Risposta
Per un utente comune è utile poter essere libero di fare una copia
del programma per il proprio amico. Condividere informazioni con i
propri amici è una delle azioni fondamentali dell'amicizia, e se
l'unica possibilità di condivisione è "underground",
furtiva, non è un bel vivere comune. Credo sia importante per
tutti, questo programma, non solo per i programmatori. Inoltre,
molte persone usano il software come parte del loro lavoro, ed in
questo caso è molto importante avere la libertà di modificarlo. Se
il software è libero, si può assumere un programmatore, o chiunque
voglia farlo, per operare le modifiche che si ritengono utili. Se il
software è "proprietario", nessuno tranne chi ne detiene
i diritti può apportarvi modifiche. E chi ne detiene i diritti sarà,
probabilmente, troppo occupato anche solo per ascoltarla.
Domanda 3
Come è nato il progetto, e quali obiettivi sono stati raggiunti?
Risposta
Ho cominciato a lavorare al programma GNU all'inizio del 1984, ed
ero l'unico, allora, a scrivere il software. Col passare del tempo e
a poco a poco, altri si sono uniti al progetto. Molti sono i
volontari, me compreso. Inoltre, la Free Software Foundation ha
raccolto fondi per pagare dei programmatori per lavorare al software
GNU. Un intero sistema operativo è composto di programmi diversi
che svolgono molte funzioni, e noi dovevamo trovare o scrivere un
programma per ognuna di queste funzioni. Durante gli anni ‘80 e
nei primi anni ‘90 abbiamo, a poco, a poco, colmato le lacune;
all'inizio degli anni ‘90, tra il 1992 e il 1993, l'ultima lacuna
è stata colmata: Linus Torvalds ha sviluppato un kernel che si
chiama Linux, e il risultato di tutte queste ricerche consiste nella
realizzazione di sistemi operativi liberi completi, i "Sistemi
GNU su base Linux".
Domanda 4
Come si svilupperà il software GNU in futuro?
Risposta
Per il futuro c'è molto lavoro da fare! Adesso abbiamo un sistema
che è compatibile con UNIX ed è facile come UNIX. Noi vogliamo
rendere i sistemi operativi liberi efficienti e semplici per la
gente comune, non solo per gli hacker; in questa prospettiva si sta
lavorando molto sulle interfacce grafiche in modo che si possa usare
il ‘mouse', come piace fare a chi non è un programmatore.
Domanda 5
Lei afferma di volere che le persone scrivano e distribuiscano il
software libero. Quali sono gli argomenti più comuni con cui i
proprietari di software reagiscono alle sue proposte?
Risposta
I proprietari di software raramente cercano di convincermi a non
scrivere software libero, perché riconoscono, in genere, che non c'è
modo di fermarmi e che questa è una mia scelta. Tuttavia, quando
dico alle persone che è ingiusto rendere il software privato, che
è ingiusto ed immorale, naturalmente, queste stesse persone non
sono d'accordo con me perché sto dicendo loro che c'è qualcosa di
ingiusto in ciò che fanno, e a nessuno piace sentirsi dire che si
è ingiusti e immorali! In genere, non c'è logica in nessuna delle
motivazioni spese a difesa del loro operato.
Domanda 6
Il software libero può essere venduto?
Risposta
Il modo migliore per avere un sistema operativo libero completo è
quello di comprare un CD ROM. In realtà, il significato di software
libero consiste anche nella libertà di venderne delle copie.
Tuttavia, quando si parla di software libero, si affronta una
questione riguardante la libertà, non il prezzo. Non voglio dire
che nessuno deve mai pagare per avere una copia del programma, ma
che una volta che se ne possiede una copia, si deve essere liberi di
cambiarlo, ridistribuirlo, fare versioni migliorate e pubblicarle.
Tale processo comprende la libertà di vendere il software nel
momento in cui si ridistribuisce. In realtà, vendere copie di
software libero è molto importante perché è un modo per
guadagnare, dando la possibilità di creare fondi per sviluppare
nuovo software libero: è quello che fa la ‘Free Software
Foundation'. Devo specificare che la ‘Free Software Foundation' è
un Ente di beneficenza ufficialmente riconosciuto negli USA, è come
una scuola o un ospedale, la gente può offrire alla fondazione una
donazione e dedurla dalle tasse. Ma la maniera principale in cui
raccogliamo soldi è vendendo copie di software libero, e vendiamo
anche manuali - "manuali liberi", naturalmente, perché
chiunque è libero di farne più copie e distribuirle -. Questi
ultimi si possono anche modificare; il testo del manuale nella
versione computerizzata è disponibile, lo si può prendere sulla
rete o sul nostro CD ROM. Quindi, si può scaricare il testo e
scrivere un manuale modificato; infine esso può essere stampato e
venduto. La ‘Free Software Foundation' vende copie di cose che
chiunque può copiare e chiunque può vendere. In questo modo
guadagniamo abbastanza denaro per pagare il personale, vale a dire
lo stipendio di quattro programmatori.
Domanda 7
Può spiegarci come funzione la General Licence?
Risposta
Il nostro scopo attraverso il progetto GNU è quello di dare libertà
a ciascun utente; quindi, vogliamo essere sicuri che ogni persona
che possiede una copia del nostro software ottiene anche le libertà
di cui ho parlato. Noi riusciamo ad ottenere ciò attraverso una
tecnica che si chiama 'copyleft'. L'idea del copyleft consiste nel
dare il permesso di modificare il programma, di distribuirlo, e di
pubblicarne una versione perfezionata. Ogni volta, però, che questo
programma viene distribuito, si devono usare esattamente i termini
sopra indicati senza cambiamenti; in tal modo, chiunque ottiene una
copia del software ottiene la stessa libertà che noi diamo
all'utente primo. Poiché le copie circolano da una persona ad
un'altra, e ad un'altra ancora, ogni persona della catena riceve le
stesse libertà che noi diamo in origine. Se noi rendessimo il
software di dominio pubblico permetteremmo alle varie società poco
scrupolose che producono software non libero di prendere i nostri
programmi e farne versioni modificate e di distribuirle come
software 'proprietario' senza alcuna libertà. Ciò significa che
molte persone, pur utilizzando il nostro software, non avrebbero
libertà nel senso che ho chiarito sopra; per noi, ciò
rappresenterebbe un fallimento per il nostro progetto, perché il
nostro scopo è dare la libertà alla gente. Con il 'copyleft' ci
assicuriamo che ognuno abbia libertà di utilizzo, e così via. 'GNU
General License' è il termine legale specifico per copyleft, quello
che usiamo per la maggior parte dei programmi; abbiamo, tuttavia,
anche altri metodi di 'copyleft' che usiamo in situazioni
particolari. Devo aggiungere che il 'copyleft' è giuridicamente
basato sul copyright, ed è per questa ragione che possiamo farlo
valere. Se qualcuno viola il nostro 'copyleft' distribuendo versioni
senza il codice sorgente o cercando di annettervi altre restrizioni,
viola le leggi del copyright; di conseguenza noi possiamo fare causa
a tale soggetto all'atto della violazione. In genere, se qualcuno
procede in tale modo col nostro software, gli mandiamo una lettera,
e ciò è sufficiente per farlo smettere; naturalmente, questi
individui non vogliono affrontare un processo. Aggiungo che si può
vedere il 'copyleft' come un portare via le armi ai proprietari di
software e usarle contro di loro. Il copyright è usato per uno
scopo tendenzialmente di destra: soggiogare gli altri, farsi pagare
con tutto il loro denaro. Il 'copyleft' è usato con uno spirito di
sinistra, uno scopo di sinistra: incoraggiare le persone a cooperare
e ad aiutarsi reciprocamente e a dare a tutti la stessa libertà.
Domanda 8
Nel caso in cui il programma si dovesse rompere, a chi ci si
rivolge?
Risposta
Noi risolviamo questo problema molto meglio di quanto non avvenga
nel mondo del software commerciale, e la ragione è che quando
qualcuno prende un programma proprietario, non ha nessun'idea di ciò
che c'è dentro e non ha alcun modo di scoprirlo. Si deve soltanto
sperare e fidarsi che non ci sia nulla di pericoloso in quel
programma, poiché può accadere anche un fatto di questo genere. Ci
sono compagnie che mettono nel software informazioni personali su
una persona a chiunque le richieda. Microsoft ha messo cose nel
software che diranno alla Microsoft stessa tutto quello che è stato
installato nel proprio computer. Questo è inammissibile! E la
Microsoft dice "In realtà il software pone una domanda. Se uno
ci fa attenzione, se ne accorge." Naturalmente, molte persone
non ci badano e non sanno che il software di una certa compagnia
diffonde continuamente le informazioni personali di chi lo usa. E
qualcuno potrebbe cominciare a vendere software proprietario che
contiene qualcosa di pericoloso e l'utente potrebbe non saperlo mai.
E' possibile che un individuo metta qualcosa di pericoloso anche in
un programma libero, ma con quest'ultimo è sempre disponibile il
codice sorgente. E se Lei, ad esempio, non legge il codice sorgente,
qualcun altro potrebbe farlo. Certo, bisogna rendersi conto che le
cose che non vanno presenti nel software - chiunque ne sia l'autore-
sono, per la maggior parte, errori casuali; quando la Microsoft
scrive programmi, commette degli errori, quando io scrivo programmi
faccio errori, tutti i programmatori commettono degli errori. Di
conseguenza, il grosso pericolo non viene dai danni volontari, ma da
un errore nel programma! Di nuovo, il software libero ha un
vantaggio perché molti degli utenti sono programmatori, e sono
costantemente alla ricerca di errori, me li dicono e li risolvono.
Di fatto, io, come programmatore di software libero ricevo
continuamente aiuto da altre persone in tutto il mondo che risolvono
ogni tipo di problema si trovi nel mio software. Mi capita di
ricevere un messaggio che dice: "Un giorno stavo leggendo una
certa parte del programma e ho visto qualcosa che non sembrava del
tutto giusto. È sicuro che sia giusto?" Io vado a controllare
e, molto spesso, mi accorgo che c'è un errore. In sintesi, gli
altri mi aiutano a far sì che il programma funzioni. La Microsoft
non ha questi aiuti, e se c'è un difetto in un programma Microsoft,
molto probabilmente è possibile che passino sei mesi o un anno
prima che lo eliminino. In effetti, uno degli aspetti del sistema
informatico che interessa alla gente è la sicurezza, e,
naturalmente, ogni sistema operativo ogni tanto ha qualche difetto
che lo compromette. Possiamo dire, infine, che nei sistemi operativi
liberi questi difetti vengono eliminati molto rapidamente: il
difetto viene segnalato e, in genere, viene mandata una soluzione
sulla rete cosicché, chiunque voglia, la può installare nel
proprio programma.
Domanda 9
Con un software libero chi è il responsabile dell'errore?
Risposta
Per quanto riguarda il software libero, la persona da cui si riceve
la copia è responsabile. Se si vuole, dunque, essere sicuri sul
software, ci si deve procurare la copia da qualcuno di cui ci si
fida. Faccio un esempio: se Lei prende una copia di software nuovo
dalla 'Free Software Foundation', Lei sa che si tratta della
versione fatta da noi, non modificata da nessun altro. Allo stesso
modo una compagnia potrebbe essere ingannata da qualche infida spia
o da un terrorista che vende a Lei software proprietario progettato
per distruggerle il computer: come si fa a scoprirlo? Intanto, si
presume semplicemente che se si tratta di una compagnia, essa vuole
continuare a lavorare e quindi non farebbe mai una cosa simile. La
stessa cosa vale per la 'Free Software Foundation'. Il nostro
obbiettivo è dare alla gente l'alternativa di un software libero 'autosufficiente';
sarebbe quindi stupido, autodistruttivo, per noi, mettere qualcosa
nel software che possa irritare gli utenti, si sa che cerchiamo di
fare del nostro meglio. Questo è tutto quello che si può sapere di
coloro che producono software: cercano di fare del loro meglio per
renderlo buono. Allo stesso modo, se qualcuno distribuisce una
versione modificata del nostro software, ci si può fidare. Oppure,
si può prendere una copia del programma da un amico e se ci si fida
di lui, si sa che non cercherà di colpirci e si sa che starà
attento anche lui ad installarsi buone versioni del software. Quindi
anche questa è una cosa che si può fare in piena tranquillità. È
proprio come se Lei andasse a casa di un amico e gli chiedesse un
bicchiere di latte; a meno che non si tratti di uno psicopatico o di
un assassino, il Suo amico non le metterà il veleno nel latte. La
gente a volte fa cose mostruose, ma normalmente ci fidiamo degli
amici, è fondamentale fidarsi degli amici. Come si potrebbe vivere
altrimenti?
Domanda 10
E cosa può dirci a proposito di questioni decisive come quelle
riguardanti la circolazione delle informazioni?
Risposta
I detentori dell'informazione, l'industria del copyright, stanno
facendo una campagna mondiale per cambiare le leggi in tutti i paesi
in modo da avere più potere per controllare quello che fanno tutti:
questa è la loro attività principale. In questo momento vogliono
avere il controllo totale di tutti gli usi delle informazioni che
sono state pubblicate, e giustificano tale obiettivo affermando che
il pubblico ne trarrà vantaggio. Tuttavia, non analizzano in
dettaglio i motivi per i quali il pubblico dovrebbe ottenere dei
vantaggi per il fatto che i proprietari detengono il potere
sull'informazione. Costoro dicono soltanto: "fidatevi, dateci
più potere, e il pubblico ne avrà dei vantaggi". Ciò è
stupido, è come dire: "paga il latte il doppio e avrai latte
migliore". La conseguenza di tale operazione sarebbe l'aumento
vertiginoso del prezzo del latte! E, naturalmente, avremmo un latte
straordinario, il migliore che si sia mai visto. Fuor di metafora,
io sostengo che questo è stupido. C'è un principio chiamato
'profitti calanti', e i proprietari, fondamentalmente, vogliono
ignorarlo perché vogliono semplicemente il potere assoluto. Essi,
ad esempio, vogliono rendere illegale il fatto che un utente possa
permettere ad un amico di vedere il suo computer per leggerci un
libro. Anche se il libro l'ha avuto legalmente e sta sul suo
computer legalmente, loro vogliono rendere illegale il fatto che il
suo amico lo legga; e se il suo amico vuole comunicare in rete, la
situazione peggiora: se lui manda il libro attraverso la rete -per
metterlo semplicemente sul suo schermo in modo da poterlo vedere e
leggere, anche solo temporaneamente- tale azione sarebbe illegale.
Quando un individuo legge un libro, se ne forma, temporaneamente,
una copia sulla retina. La prossima volta, i detentori
dell'informazione, diranno che è una violazione del copyright fare
una copia sulla retina e che quindi ci vuole un permesso per leggere
il libro! In Unione Sovietica ogni copista aveva un sorvegliante il
cui compito era di osservare cosa veniva copiato e assicurarsi che
nessuno facesse copie illegali, perché prevenire le copie illegali
era una delle priorità del governo sovietico. L'industria del
copyright vuole fare la stessa cosa, con la differenza che allo
scopo utilizzerebbero sorveglianti computerizzati, sorveglianti
robot. E, ancora, sarà illegale eliminare questo 'robot
sorvegliante' dal computer. In tal modo, l'industria del copyright
cerca di interferire nella vita dell'utente in un modo molto più
diretto e seccante di quanto non abbia mai fatto prima. Ai detentori
del copyright non importa se hanno abbastanza denaro, se le
pubblicazioni continuano e se le librerie sono piene di libri, ma
vogliono avere tutto il denaro che possono desiderare. Questa è
ragione per la quale cercano di cambiare le leggi in Italia e in
altri paesi, ed è importante per gli utenti dell'informazione
organizzarsi politicamente su questo fronte opponendosi a queste
decisioni. La legge sul copyright è nata con il torchio per la
stampa. Nel mondo antico, quando il modo per copiare un libro era
quella di farsene una copia a penna, non c'era il copyright.
Chiunque sapesse scrivere poteva copiare un libro e, in principio,
poteva copiarlo bene come chiunque altro; fare una copia era come
fare cento copie. L'unico modo per fare cento copie era trascriverlo
cento volte. Il torchio per la stampa ha creato una situazione
diversa, per cui la maniera migliore per fare copie era la
produzione di massa: si compone il testo una volta, lo si prende e
lo si stampa cento volte. È molto più veloce che comporre il testo
una volta e stamparlo una volta. Nessuno lo farebbe. È troppo
stupido. La gente, dunque, si è abituata all'idea che l'unico modo
di fare libri fosse la produzione di massa. In questo sistema,
nell'era del torchio per la stampa, il copyright era un sistema
ragionevole perché poneva limiti solo agli editori e agli autori.
Il copyright non poneva limiti ai comuni lettori come Lei e me perché
noi non avremmo potuto copiarci il libro, non avremmo posseduto un
torchio. Come si fa a copiare un libro? Cosa si intende per questo?
Se si vuole un'altra copia, si va in libreria e si compra un'altra
copia. Il copyright, in realtà, è uno scambio, un accordo, in cui
il pubblico rinuncia alla libertà di fare copie; in cambio ha la
speranza di vedere le librerie piene di tanti libri che possono
comprare; ciò rappresentava un buon affare nell'era del torchio per
la stampa, perché noi, che apparteniamo al pubblico comune, non
avremmo potuto copiare libri, comunque. Che differenza fa rinunciare
a una libertà di cui non si può usufruire? Oggi non siamo più
nell'era del torchio per la stampa! Il computer ci dà un sistema
diverso, in cui chiunque possa leggere qualcosa ne può anche fare
una copia alla volta e mandarla a un amico. Ciò è molto utile e
positivo, è un modo per cooperare con il prossimo, fa parte dei
rapporti di disponibilità che stanno alla base della società.
Questa libertà a cui abbiamo rinunciato, che abbiamo ceduto, è
ridiventata utile, e, di conseguenza, non è più un affare così
vantaggioso cederlo in cambio di qualcos'altro. Ora vogliamo tenerci
parte di quella libertà per poterla usare, e, quindi, dovremmo
ridurre il potere del copyright. Forse basterebbe avere un sistema
di copyright che limitasse la vendita commerciale di copie, che
limitasse la ridistribuzione di massa delle copie; tuttavia, fare
una copia occasionale per un amico dovrebbe essere una operazione
consentita a chiunque. È un diritto fondamentale dell'uomo e
dovremmo costituire organizzazioni di persone, utenti
dell'informazione in tutti i paesi, persone che leggono, persone che
ascoltano la musica; chiunque usi qualsiasi tipo di informazione
dovrebbe organizzarsi per poter esigere il diritto di condividere
copie con gli amici, come diritto umano fondamentale che è ancora
più importante, perché è un diritto aiutare il proprio amico! Non
è solo il diritto di fare qualcosa che è giusto per se stessi. Il
diritto di avere una sufficiente alimentazione, un alloggio dove
vivere è fondamentale, ma è altresì di enorme importanza la
libertà di parola e la libertà di stampa, così come la libertà
di condividere l'informazione.
Domanda 11
Dove è iniziata la sua attività?
Risposta
Sono stato affascinato dai computer appena ne ho sentito parlare, e
volevo imparare a programmarli. Avevo 12 anni quando, durante un
campo estivo, uno dei consiglieri aveva un manuale di un computer
che usava per la scuola. Così, ho letto il manuale e sono rimasto
affascinato, quindi ho pensato a cose facili che avrei potuto fare
con il programma e mi sono trascritto il software: morivo dalla
voglia di programmare! Non vidi, di fatto, un computer, se non molto
tempo dopo, quando frequentavo l'ultimo anno delle superiori; a quel
tempo cominciai a frequentare un laboratorio dell'IBM a New York
dove mi facevano programmare il loro computer, e cominciai a
scrivere un progetto molto complesso, che non ho mai finito, che
riguardava i compilatori e l'espansione del linguaggio di
programmazione diffuso allora. In seguito, durante l'estate di
quell'anno, mi dettero un lavoro estivo e mi assunsero per scrivere
un programma in fortran. Realizzai il programma in un mese e passai
il resto dell'estate a scrivere altri programmi, come un processore
di testi, per puro divertimento; poiché scoprii quanto fosse
scadente il 'fortran' giurai che non l'avrei mai più usato, e da
allora non ho mai più scritto nessun programma in quel linguaggio.
Ma abbiamo un compilatore in 'fortran' nel nuovo sistema nel caso
che un masochista volesse scrivere in fortran o che uno ne avesse
bisogno. In seguito, dopo un anno di università ad Harvard, scoprii
i laboratori di informatica al MIT, e andai lì con la speranza di
prendere i manuali del loro sistema; mi dettero, invece, un lavoro,
e da allora in poi lavorai lì fino alla fine del 1983. Ed è così
che cominciai a scoprire cosa fosse una comunità di condivisione di
software. Appena arrivai cominciai a far parte della comunità; e,
in questa comunità, se qualcuno stava lavorando a qualcosa cosa che
fosse, in qualche modo, utile, chiunque poteva averne una copia. Si
poteva usare il programma oppure operarvi cambiamenti, staccarne una
parte, vale a dire tagliare dei pezzi e usarli in qualche altro
programma che si vuole scrivere. Se qualcuno aveva già scritto il
codice per fare una certa cosa, non si aveva bisogno di riscriverlo
e lo si poteva copiare dal suo programma. Ebbi una bellissima
impressione di quello che succedeva perché sentivo che si stava
lavorando tutti insieme per far progredire la conoscenza umana, che
non lavoravamo come nemici l'uno dell'altro, che eravamo tutti in
un'unica squadra, insieme per il bene dell'umanità. Mi piace
sentire questa sensazione di condividere un bene comune! Odio,
viceversa, la sensazione di lavorare contro altre persone; io voglio
provare la sensazione di lavorare per l'umanità. Questa comunità
di cooperazione di persone che condividevano il software, purtroppo,
si disgregò nei primi anni '80. Una persona diede l'esempio,
scrivendo un programma e vendendolo ad una società; dopo di lui,
altre persone dalla coscienza "fiacca" seguirono il suo
esempio. Dissero: "C'è uno che è stato non cooperativo e sta
facendo soldi". Credevano che ci guadagnasse; in seguito, è
venuto fuori che non ci aveva ricavato molto. Lui stesso oggi dice
che la conseguenza principale della sua decisione fu l'insuccesso
del suo programma. Comunque, poiché allora pensarono che ci
guadagnasse parecchio, altri lo imitarono e la gente smise di
cooperare. E così vidi la mia parte della società disgregarsi e
diventare una giungla dove vige la legge del più forte. Fui molto
addolorato quando questo accadde. Cominciai, allora, a cercare il
modo per creare una nuova società da qualche parte nel mondo; avevo
fatto parte di una comunità di cooperazione che era morta. Mi
dimisi dal mio lavoro al MIT per cominciare il progetto 'GNU' perché
volevo essere sicuro di poter diffondere il software GNU come
software libero. Non volevo che il MIT potesse fermarmi. E, negli
USA, quando il personale di un'università - e io facevo parte del
personale- crea dei programmi, l'università stessa li può prendere
e venderli se vuole. Volevo assicurarmi che questo non avvenisse,
altrimenti il mio lavoro sarebbe andato sprecato. L'unico modo in
cui potevo essere sicuro che non sarebbe successo e che avrei potuto
usare il 'copyleft', che mi sembrava molto importante, era quello di
lasciare il mio lavoro. Ho lasciato il mio lavoro per cominciare il
progetto 'GNU' nel gennaio del 1984.
Domanda 12
Non Le piaceva il modo in cui facevano ricerca al MIT?
Risposta
Non direi questo, perché al MIT non hanno sempre un modo solo di
fare ricerca. Sapevo, però, che era possibile. Inoltre, non volevo
trovarmi nella posizione di dover ottenere il permesso di diffondere
il software come software libero, volevo essere assolutamente sicuro
prima di scrivere il software che avrei potuto farlo libero; volevo
essere sicuro di poter usare il 'copyleft' perché avevo visto la
vecchia società crollare per il fatto che era troppo facile per la
gente poter rifiutare di collaborare, troppo facile guadagnare ad
essere non-cooperativo. Il 'copyleft', viceversa, stabilisce una
forma di cooperazione, di condivisione del proprio lavoro. Mi
sembrava che usare il 'copyleft' avrebbe dato alla comunità una
buona spina dorsale, una buona capacità di tutelarsi dagli abusi,
perché se la gente si sente sopraffatta o sfruttata continuamente
comincia a scoraggiarsi e a mettersi sulla difensiva. Oltre, quindi,
agli effetti diretti veri e propri dell'uso del 'copyleft' e degli
effetti pratici ottenuti incoraggiando molta gente a contribuire con
le loro migliorie al programma, penso ci sia anche un effetto
psicologico, dovuto al fatto che poiché le persone vedono che c'è
una certa dose di difesa della comunità, sentono che la comunità
è autosufficiente. Sentono che cooperare con la comunità ha un
senso. E per concludere: buon hacking a tutti!
|
http://www.galileonet.it/archiviop/special.asp?id=3507
(15 Marzo 2002)
TECNOLOGIE
L'avanzata del copyleft*
di Graham Lawton (New Scientist, Gran Bretagna)
Se negli ultimi mesi siete stati a una fiera informatica forse
l'avete vista: una lattina color argento, con il logo di una
linguetta a strappo e a fianco la scritta "opencola".
Dentro c'è una bevanda frizzante che somiglia molto alla Coca-Cola
e alla Pepsi. Ma sulla lattina c'è scritto qualcosa che rende
questa bevanda diversa: "Controllatene l'origine su opencola.com".
Andate alla pagina web indicata e vedrete qualcosa che non c'è sul
sito della Coca-Cola o della Pepsi: la ricetta della cola. Per la
prima volta nella storia potete realizzare l'originale a casa
vostra. OpenCola è il primo prodotto di consumo open source
(sorgente aperta). Definendolo open source il suo fabbricante sta
dicendo che le istruzioni per realizzarlo sono aperte a tutti.
Chiunque può produrre la bevanda, modificarne e migliorarne la
ricetta, a condizione che la nuova formula rimanga di dominio
pubblico. È un modo piuttosto insolito di fare affari: la Coca-Cola
non dà via i suoi preziosi segreti commerciali. Ma è proprio
questo il punto. OpenCola lancia un segnale importante: una
battaglia che da tempo oppone due diverse filosofie di sviluppo dei
programmi informatici si è estesa al resto del mondo. Quello che è
cominciato come un dibattito tecnico sul modo migliore di correggere
gli errori dei software sta diventando un dibattito politico sulla
proprietà della conoscenza e su come essa è usata: da un lato c'è
chi crede nella libera circolazione delle idee, dall'altro chi
preferisce definirle "proprietà intellettuale". Nessuno
sa come andrà a finire. Ma in un mondo in cui cresce l'opposizione
al potere delle grandi aziende, ai diritti restrittivi sulla
proprietà intellettuale e alla globalizzazione, l'open source sta
emergendo come una possibile alternativa, un mezzo per
contrattaccare. E in questo esatto momento voi state contribuendo a
verificarne la validità.
Le origini
Il movimento dell'open source è cominciato nel 1984 quando
l'informatico Richard Stallman lasciò il suo lavoro al
Massachusetts Institute of Technology (Mit) e fondò la Free
Software Foundation. L'obiettivo era creare software di alta
qualità che fossero aperti a tutti. Stallman ce l'aveva con le
aziende che proteggono i loro programmi con brevetti e copyright e
ne tengono segreto il codice sorgente (il programma originale,
scritto in un linguaggio informatico come il C++). Stallman
considerava questa pratica dannosa: il risultato erano programmi di
cattiva qualità, pieni di errori e, peggio ancora, soffocava la
libera circolazione delle idee. Stallman era preoccupato del fatto
che, se gli informatici non potevano più imparare dai reciproci
codici, l'arte della programmazione sarebbe decaduta (New Scientist,
12 dicembre 1998, p. 42).
La mossa di Stallman ebbe vasta eco nella comunità informatica e
ora ci sono migliaia di progetti simili. La stella del movimento è Linux,
un sistema operativo creato all'inizio degli anni Novanta dallo
studente finlandese Linus Torvalds e oggi installato su circa
diciotto milioni di computer in tutto il mondo. Quel che distingue i
programmi open source dal software commerciale è il fatto che sono
liberi, sia in senso politico sia in senso economico. Se volete
usare un prodotto come Windows Xp o Mac Os X dovete pagare un
compenso e accettare di rispettare una licenza che vi vieta di
modificare o condividere il software. Se invece volete usare Linux o
un altro pacchetto di programmi open source potete farlo senza
pagare un centesimo, anche se diverse aziende vi venderanno il
software insieme a dei servizi di assistenza. Potete anche
modificare il software a piacimento, copiarlo e darlo ad altri.
Questa libertà è un invito - alcuni dicono una sfida - agli utenti
ad apportare miglioramenti. Così migliaia di persone lavorano
costantemente su Linux, aggiungendo nuove caratteristiche e
individuandone gli errori. I loro contributi sono esaminati da un
gruppo di esperti e i migliori sono aggiunti al sistema operativo.
Per i programmatori, la fama dovuta a un contributo riuscito è la
migliore ricompensa. Il risultato è un sistema stabile e potente
che si adatta rapidamente al cambiamento tecnologico. Linux ha un
tale successo che perfino l'Ibm lo installa sui computer che vende.
I programmi open source sono coperti da uno speciale strumento
legale che si chiama General Public License (Gpl). Anziché porre
limiti al modo in cui il software può essere usato, come prevede la
licenza informatica standard, la Gpl - nota anche come copyleft -
garantisce quanta più libertà possibile (vedi www.fsf.org/licenses/gpl.html).
I programmi coperti da Gpl - o un'analoga licenza copyleft - possono
essere copiati, modificati e distribuiti da tutti, a patto che siano
redistribuiti sotto un regime di copyleft. Questa restrizione è
cruciale, perché impedisce che il materiale diventi un prodotto
proprietario. Rende inoltre il software open source diverso dai
programmi che sono semplicemente gratuiti. Nelle parole della Free
Software Foundation, la Gpl "rende il software libero e
garantisce che resti libero". L'open source si è dimostrato un
ottimo modo di scrivere programmi informatici. Ma esprime anche una
posizione politica che mette al centro la libertà di espressione,
diffida del potere delle grandi aziende e non vede di buon occhio la
proprietà privata della conoscenza. Secondo Eric Raymond, il guru
dell'open source, è "una visione libertaria del giusto
rapporto che ci dovrebbe essere tra gli individui e le
istituzioni".
Ma le aziende informatiche non sono le sole a sigillare la
conoscenza e a renderla disponibile solo a chi è pronto a pagare.
Ogni volta che acquistate un cd, un libro o una lattina di Coca-Cola
pagate per avere accesso alla proprietà intellettuale di qualcun
altro. Con i vostri soldi acquistate il diritto ad ascoltare,
leggere o consumare i contenuti, ma non a rimaneggiarli o a farne
delle copie e redistribuirle. Non sorprende, allora, che le persone
attive nel movimento dell'open source si siano chieste se i loro
metodi non funzionassero anche con altri prodotti. Finora nessuno ne
è certo, ma ci stanno provando in molti.
Prendete OpenCola. Anche se inizialmente era solo uno strumento
promozionale per spiegare i programmi open source, la bevanda ora
vive di vita propria. L'omonima società di Toronto è diventata più
nota per questa bevanda che per il software che voleva promuovere.
Laird Brown, capo stratega dell'azienda, ne attribuisce il successo
a una diffusa sfiducia verso le grandi multinazionali e "la
natura proprietaria di quasi tutto ciò che ci circonda". Un
sito web che distribuisce il prodotto ha venduto 150mila lattine.
Negli Stati Uniti gli studenti politicizzati hanno cominciato a
modificare la ricetta per le loro feste.
L'industria discografica
OpenCola è un caso fortunato e non pone alcuna reale minaccia alla
Coca o alla Pepsi, ma altrove qualcuno sta usando il modello
dell'open source per sfidare gli interessi consolidati. Uno dei
bersagli è l'industria musicale. In prima linea nell'attacco c'è
l'Electronic Frontier Foundation (Eff), un gruppo di San Francisco
creato per difendere le libertà civili nell'era della società
digitale. Nell'aprile del 2001 l' Eff
ha pubblicato un modello di copyleft chiamato Open Audio License (Oal).
L'idea è permettere ai musicisti di sfruttare le proprietà della
musica digitale - facilità di duplicazione e distribuzione - anziché
combatterle. I musicisti che distribuiscono le loro canzoni sotto un
regime di Oal consentono che il materiale sia copiato, eseguito,
rimaneggiato e ridistribuito secondo la stessa licenza. In questo
modo possono fare affidamento sulla "distribuzione virale"
per essere ascoltati. "Se ci sono persone a cui queste canzoni
piacciono, sosterranno l'artista per assicurare che continui a
produrre musica", dice Robin Gross dell'Eff.
È ancora presto per giudicare se l'Oal catturerà l'immaginazione
così come ha fatto l'OpenCola. Ma è già chiaro che parte della
forza dei programmi open source non può essere applicata alla
musica. Nell'informatica l'open source permette agli utenti di
migliorare i programmi eliminando gli errori e le parti del codice
inefficienti, ma non è chiaro come questo possa avvenire con la
musica. In realtà le canzoni non sono "open source": i
file disponibili su www.openmusicregistry.org, il sito musicale
dell'Oal, finora sono tutti in formato Mp3 e Ogg-Vorbises che
permettono di ascoltare la musica ma non di modificarla. Perché un
artista di successo dovrebbe mettere in circolazione le sue canzoni
sotto un regime di Oal? Molti gruppi hanno protestato per come gli
utenti di Napster distribuissero le canzoni a loro insaputa; perché
adesso dovrebbero consentire la distribuzione senza limiti o
permettere a degli estranei di armeggiare con la loro musica? Certo
è improbabile che abbiate mai sentito parlare di qualcuno dei venti
gruppi che hanno reso disponibile le loro canzoni sul sito web dell'Oal.
È difficile sottrarsi alla conclusione che l'Open Audio è solo
un'opportunità per artisti sconosciuti di farsi conoscere.
L'enciclopedia aperta
I problemi con l'open music non hanno comunque scoraggiato chi vuole
provare i metodi dell'open source in altri settori. Le enciclopedie,
per esempio, sembrano un buon terreno. Come i software, sono
modulari e sono basate sulla collaborazione, hanno bisogno di
aggiornamenti regolari e migliorano con il controllo di esperti. Ma
il primo tentativo, un repertorio online chiamato Nupedia,
non ha avuto grande successo. Dopo due anni sono state completate
solo venticinque delle 60mila voci che aveva previsto. "Con
questo ritmo non sarà mai una grande enciclopedia", ammette il
caporedattore Larry Sanger. Il problema è che gli esperti che
Sanger vuole reclutare perché scrivano gli articoli hanno scarsi
incentivi a partecipare: non guadagnano punti accademici come i
programmatori che si dedicano ad aggiornare Linux, e d'altra parte
Nupedia non può pagarli.
È un problema che riguarda la maggior parte dei prodotti open
source: come invogliare la gente a contribuire? Sanger sta studiando
il modo di ricavare dei soldi da Nupedia preservandone la libertà
dei contenuti. I banner pubblicitari sono una possibilità, ma la
sua speranza è che i professori universitari comincino a citare gli
articoli di Nupedia in modo che gli autori acquisiscano crediti
accademici.
C'è un'altra possibilità: confidare nella buona volontà
collettiva della comunità dell'open source. Un anno fa, frustrato
dai lentissimi progressi di Nupedia, Sanger ha lanciato un'altra
enciclopedia: Wikipedia,
dal nome del programma open source WikiWiki che permette a chiunque
di modificare le pagine sul web. È un progetto molto meno formale
di Nupedia: chiunque può scrivere o modificare un articolo su
qualsiasi argomento, il che probabilmente spiega le voci sulla birra
e su Star Trek. Ma anche il suo successo. Wikipedia contiene già
19mila articoli e ogni mese si arricchisce di migliaia di nuovi
contributi. "Alla gente piace l'idea che la conoscenza possa e
debba essere distribuita e sviluppata liberamente". Sanger è
convinto che con il tempo migliaia di dilettanti correggeranno gli
eventuali errori e colmeranno ogni lacuna, finché Wikipedia non
diventerà un'enciclopedia autorevole con centinaia di migliaia di
voci.
In aiuto degli avvocati
Un altro esperimento interessante è il progetto OpenLaw
del Berkman Center for Internet and Society della Harvard Law School.
Gli avvocati del Berkman sono specializzati in ciberspazio,
copyright, crittografia e così via, e il centro ha forti legami con
l'Eff e la comunità dei programmi open source. Nel 1998 Lawrence
Lessig, oggi docente alla Stanford Law School, ricevette
dall'editore online Eldritch Press la richiesta di intentare una
causa contro la legge statunitense sul copyright. La Eldritch prende
dei libri il cui copyright è scaduto e li pubblica sul web, ma la
nuova legge che estende il copyright da 50 a 70 anni dopo la morte
dell'autore limitava la sua fonte di approvvigionamento di nuovo
materiale. Lessig invitò gli studenti di giurisprudenza di Harvard
e di altre università a contribuire a definire gli argomenti legali
per contestare la nuova legge attraverso un forum online, che poi è
diventato OpenLaw.
Normalmente gli studi legali scrivono gli argomenti per il
dibattimento nello stesso modo in cui le aziende informatiche
scrivono il codice dei loro programmi. Gli avvocati discutono un
caso a porte chiuse e, anche se il prodotto finale viene reso
pubblico in tribunale, le discussioni, o il "codice
sorgente", che hanno portato alla sua realizzazione restano
segrete. OpenLaw costruisce invece i suoi argomenti in pubblico e li
mette in circolazione coperti da copyleft. "Abbiamo usato
deliberatamente come modello il software libero", spiega Wendy
Selzer, responsabile del progetto OpenLaw dopo il passaggio di
Lessig a Stanford. Oggi lavorano al caso Eldritch una cinquantina di
esperti e OpenLaw si occupa anche di altre cause.
"Ci sono più o meno gli stessi vantaggi dei programmi open
source", dice Selzer. "Centinaia di persone analizzano il
'codice' alla ricerca di errori e suggeriscono come correggerlo.
Intanto qualcun altro prende una parte poco sviluppata
dell'argomento, ci lavora sopra e poi la reinserisce". Armata
degli argomenti costruiti in questo modo, OpenLaw ha fatto avanzare
il caso Eldritch all'inizio giudicato invincibile e adesso sta
cercando di ottenere un dibattimento di fronte alla Corte suprema.
Ma ci sono degli inconvenienti. Gli argomenti sono di dominio
pubblico fin dall'inizio, perciò OpenLaw in tribunale non può
contare sulla sorpresa. Per lo stesso motivo non può occuparsi di
cause dove la discrezione è importante. Ma se la questione è di
interesse pubblico il metodo open source ha grandi vantaggi. I
gruppi per i diritti dei cittadini, per esempio, hanno preso alcuni
degli argomenti legali di OpenLaw e li hanno usati altrove. "I
cittadini li usano nelle lettere al Congresso o li mettono sui
volantini", dice Selzer.
Il movimento per i "contenuti aperti" è ancora all'inizio
ed è difficile prevedere fin dove arriverà. "Non sono sicuro
che esistano altre aree dove l'open source possa funzionare",
dice Sanger. "Se ci fossero le avremmo già esplorate".
Anche Eric Raymond ha espresso dei dubbi. Nel saggio del 1997 The
Cathedral and the Bazaar (La cattedrale e il bazar) ha messo in
guardia dall'applicare i metodi open source ad altri prodotti.
"La musica e la maggior parte dei libri non sono come i
programmi informatici, perché in generale non hanno bisogno di
essere corretti o aggiornati". Senza questo bisogno i prodotti
guadagnano poco dall'esame e dal rimaneggiamento di altre persone,
perciò un sistema open source dà pochi benefici. "Non voglio
indebolire l'argomento vincente dei programmi open source legandolo
a un possibile perdente", ha scritto Raymond.
Oggi, però, la sua posizione è leggermente cambiata. "Sono più
disposto ad ammettere che un giorno potrei parlare anche di aree
distinte dal software. Ma non ora. Il momento propizio sarà quando
i programmi open source avranno vinto la battaglia delle idee.
Raymond si aspetta che succederà intorno al 2005.
E così l'esperimento prosegue. Il contributo di New Scientist è
pubblicare questo articolo in regime di copyleft. Significa che
potete copiarlo, redistribuirlo, ristamparlo per intero o in parte,
e in generale farne quello che vi pare, a patto che anche voi
rendiate pubblica la vostra versione con un copyleft e rispettiate
gli altri termini della licenza. Vi chiediamo anche di informarci di
qualsiasi uso facciate di questo articolo inviando un'email a copyleft@newscientist.com.
Un motivo di questa decisione è che così facendo possiamo stampare
la ricetta dell'OpenCola senza violarne il copyleft. Se non altro
questo dimostra la capacità del copyleft di diffondersi. Ma c'è
anche un altro motivo: vedere quel che succede. Che io sappia questo
è il primo articolo di giornale pubblicato con un copyleft. Chissà
quale sarà il risultato. Forse l'articolo scomparirà senza aver
lasciato alcuna traccia. Forse sarà fotocopiato, ridistribuito,
rieditato, riscritto, copiato su pagine web, volantini e articoli in
tutto il mondo. Non lo so, ma non è questo il punto: la questione
non è più di mia competenza. La decisione adesso sta a tutti noi.
Il "codice sorgente" di questo articolo e i dettagli sulle
condizioni del copyleft sono alla pagina www.newscientist.com/hottopics/copyleft
la traduzione che vi proponiamo è quella apparsa su
Internazionale dell'8-14 marzo 2002
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La vendetta dei fan contro i cd anti-copia
di Gerardo Antonio Cavaliere
Quello che accade ha dello straordinario: due fan stanno intentando una
causa contro le ricche case discografiche, perche' contrari alla politica
dei cd anti-copia. "Si vuole impedire la libera fruizione della
musica" - affermano - "oltre che abbassare notevolmente il
livello qualitativo di alcuni supporti" ...
URL: http://www.studiocelentano.it/editorial/cavaliere/190602.asp
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LIMITI AL COMPENSO DA VERSARE ALLA SIAE PER LA
RIPRODUZIONE DI LIBRI DI TESTO
Il senatore Scalera ha proposto il disegno di legge n.1159, con il
quale si intende porre un limite massimo al compenso da versare alla SIAE
per la reprografia introdotto dalla legge 18 agosto 2000 n.248, al fine di
contemperare il diritto allo studio con l’esigenza di tutela del diritto
d’autore ...
URL: http://www.studiocelentano.it/editorial/turini/020702.asp
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Manifesto
copyDOWN
http://copydown.inventati.org/manifesto.html
CopyDOWN
(cD) e' un progetto che nasce dal desiderio di costruire un portale sul
variegato panorama del No_Copyright e delle battaglie per un libero
accesso e una libera circolazione dei saperi.
cD vuole essere una comunita' partecipata ed aperta senza appartenenze o
forme di identita' definibili che la leghino a nulla che non sia questo
suo intento generale. cD vorrebbe riuscire a comunicare con il maggior
numero di persone possibili per poterle coinvolgere in una rete fitta e
orizzontale di condivisione di saperi. Ipotizziamo un processo di
liberazione dai vincoli di produttivita' dei momenti, degli spazi di
espressione, di cultura che noi ci immaginiamo collettivi.
Abbiamo individuato alcuni punti strategici per favorire la libera
circolazione dei saperi:
a. costruire una solida comunita' basata sulla condivisione liberata e non
mercificata di risorse, conoscenze e strumenti.
b. implementare un motore di ricerca di un albero di directory che
indicizzi tutte le risorse no_Copyright (non in violazione del copyright,
nb) gia' presenti in rete, in modo da evitare di lavorare due volte su una
stessa cosa, e da facilitare l'accesso a queste risorse
c. contattare e collaborare con autori/editori/creatori/inventori/artisti/scribani/
che vogliono tentare di liberare le proprie produzioni dalla schiavitu'
della mercificazione; il loro quotidiano dai codici a sbarre.
d. agitare e provocare attraverso azioni e pratiche, anche consapevolmente
illegali, una seria riflessione sulla problematica della libera
circolazione dei saperi, al fine di tendere alla realizzazione di
comunita' basate sulla condivisione e non sull'appropriazione dei beni
immateriali.
chiunque ci stia ascoltando, leggendo, pensando e si ritrovi in tutto
questo puo' collaborare con noi e partecipare al progetto iscrivendosi
alla mailing list:
copydown@inventati.org
DOWNload
a COPY - UPload an IDEA
per
un libero accesso e una libera circolazione dei saperi
http://copydown.inventati.org
CopyDOWN
copyDOWN e' una provocazione, un gioco o una strategia? copyDOWN e' prima
di tutto una delle forme di mobilitazione che si stanno attuando, e si
realizzeranno presto, nel contesto delle mobilitazioni per il Diritto alla
Libera Circolazione dei Saperi. E' una provocazione come potrebbe esserlo
un ipotetico Napster letterario, ma non avra' nulla da spartire col noto
server centralizzato che sta a suo modo ridefinendo i confini del
copyright in Rete.
copyDOWN non si limitera' a distribuire files ma cerchera' nel suo piccolo
di deturnare il copyright che da jurassico diritto alla copia diventa un
libertario "diritto al download":
Download a copy - upload an idea. E' un gioco perche' invitera' non solo
al libero scambio di files, ma soprattutto a sprigionare la creativita'
che l'industria (discografica - editoriale- ecc.) drasticamente comprime
entro i confini del deja vu di una merce in vendita. E' una strategia di
libera circolazione dei saperi in rete - e nelle sottoreti perche' spera
di diventare un nonluogo nomade e rizomatico di fruizione/scambio, ludico,
creativo e anonimo.
E' Freenet (decentralizzato), e non napster (server centralizzato) il
modello a cui ci ispiriamo, per stimolare strategie di condivisione dei
saperi aldifuori degli angusti corridoi delle case editrici.
Perche' come dice Ian Clarke, ideatore di Freenet, "credo che il
copyright sia non piu' proponibile, in quanto inattuabile. (...) e
moralmente sbagliato, perche' limita la liberta' di agire. (...) ed e'
oltretutto inutile perche' non ne trae beneficio nessun artista, ma
unicamente l'industria".
copyDOWN si interfaccera' con tutti noi con una struttura a directories:
una directory per ogni sezione in cui inserire le proprie auto-produzioni
artistiche e letterarie. Saranno benvenuti glipseudonimi. Sara' possibile
uploadare nuove sezioni e produzioni per ogni dowload effettuato dalla
Rete. Ma soprattutto ogni testo inserito verra' automaticamente
trasferitonelle sottoreti Freenet e GNUtella dove si passa da un computer
all'altro senza intermediari, e dove la produzione letteraria si
anonimizza da se'. Perche' se Omero e Shakespeare erano solo pseudonimi,
si esaurisce anche in
rete il culto autoriale dell'opera d'arte... Situazionismo?
Delegittimazione delle leggi sul diritto d'autore? La Rete come
biblioteca universale dove depositare una copia di ogni produzione
letteraria? Di tutto e di piu'.
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UN MILIONE DI DOLLARI PER IL NO
COPYRIGHT!
Un anonimo donatore ha elargito la consistente
somma di un milione di dollari per incoraggiare e aiutare una ricerca
universitaria che abbia lo scopo di diminuire il grande potere delle leggi
sul copyright. L’intenzione della benefica offerta mira a trovare un
corretto equilibrio fra i diritti di proprieta’ intellettuale e cio’
che viene denominato materiale di “pubblico interesse”.
URL: http://www.studiocelentano.it/editorial/articolo.asp?id=357
di G. Cavaliere
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HACKERS
ED ANTICOPYRIGHT
Gli
Hacklabs, moltiplicatisi dopo il secondo hackmeeting italiano
(www.hackmeeting.org), sono quei luoghi dove gli hackers fondono le
proprie conoscenze, discutono degli usi sociali della tecnologia e
contestano l'appropriazione privata degli strumenti del comunicare.
Con
singolari iniziative.
Il
Loa hacklab di Milano, ad esempio, nato e cresciuto al centro sociale
Bulk, si distingue per l'opera di alfabetizzazione all'uso critico dei
computer e alla diffusione di sistemi aperti e gratuiti per far funzionare
i computer.
Discepoli
di Linux e di tutti gli altri strumenti software progettati
collettivamente e con libera licenza di distribuzione, i membri del Loa
hanno fatto propria la proposta dell'obiezione di coscienza rispetto
all'utilizzo di software proprietario (e a pagamento) nelle università, e
hanno avviato una campagna contro il carattere antisociale del diritto
d'autore sostenendo che esso "anziché proteggere il vino, protegge
la bottiglia" e non salvaguarda gli interessi degli autori ma quelli
della burocrazia che ne gestisce i diritti (www.ecn.org/loa).
Con
una serie di incontri a Milano, a Bologna e a Roma, hanno affrontato
l'argomento della Gnu Economy, ovvero di quella particolare forma di
economia, solidale, cooperativa e non mercantile, che è legata alla
produzione di software, libri e musica che incorporano le quattro
caratteristiche dei prodotti rilasciati sotto licenza Gnu-Gpl
(Gnu-General Pubic License), e cioè: la disponibilità illimitata
di modifica, copia e distribuzione dei prodotti del sapere
per migliorare la qualità della vita della comunità, con il solo
vincolo di includere in ogni successiva modifica e distribuzione la stessa
garanzia di libertà assicurata dalla licenza di "un bene prodotto
collettivamente".
Poiché
libero non significa gratuito, ma liberamente distribuibile e modificabile
da tutti - i prodotti free costano meno ma si pagano - i loaniani
precisano che per guadagnarsi da vivere con prodotti liberamente
utilizzabili i programmatori possono farsi pagare per la
personalizzazione, la manutenzione e la formazione all'uso del software
che vendono alle aziende, mentre musicisti e scrittori no-copyright
possono assicurarsi un reddito rinunciando all'intermediazione commerciale
della vendita delle loro opere e distribuendole attraverso la rete a costi
assai ridotti a un numero elevato di acquirenti.
La
discussione tuttora in corso sul danno sociale derivante dall'applicazione
rigorosa del copyright e dalle ipotesi di brevettabilità del software è
per i loaniani l'occasione per rivendicare il carattere collettivo di
ogni forma di saperecontro l'abuso di chi se ne appropria etichettandolo
con un marchio multinazionale.
Come
dargli torto? Dopotutto "privato" è il participio passato di
"privare".
(A. Di Corinto e T. Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della
rete, Manifestolibri, Roma 2002
http://www.hackerart.org/storia/hacktivism.htm)
|
|
http://www.singsing.org/stampa/bsa/
"Copiare software è reato"
ma è stata ritirata la pubblicità di BSA.
Lo spot è stato bloccato, ritirato e riconosciuto illegale dal garante .
Sulle reti televisive Mediaset, e in molte riviste e pagine di giornali specializzati La campagna pubblicitaria di BSA, Business Software Alliance, ovvero l'associazione che riunisce i maggiori produttori di software commerciale per combattere la pirateria e perseguire legalmente chi la pratica.
La campagna era partita in contemporanea a Smau 2000 ma ora è stata fermata e dichiarata illegale
Copiare Software non è reato! Segnalazione/Denuncia di pubblicità ingannevole ai sensi del Decreto Legislativo
n. 25/01/1992 n. 74."
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ricevuto da parte di Emmanuele Somma, in qualità di "semplice cittadino, consumatore di software e programmatore"la denuncia. Sotto accusa è lo spot radiotelevisivo "Copiare Software è Reato" della BSA, Business Software Alliance, trasmesso a livello nazionalesu stampa e televisione, a partire dall'ultima settimana di ottobre. In particolare il testo dello spot recita: "Quarantaquattro software su cento sono duplicati, copiati, venduti come originali. Utilizzare software copiati in azienda è un reato. Con la nuova legge si rischiano fino a tre anni di reclusione. Per controllare se nella tua azienda il software è legale, contatta BSA."
Purtroppo per BSA le cose non stanno così, la semplice operazione di copiare software non è illegale. Il tono
dello spot era intimidatorio e anche le immagini che lo accompagnavano. Questi alcuni passaggi della denuncia:
"...la rappresentazione della situazione ritrae un'Italia e le sue istituzioni senza le minime garanzie di uno stato di diritto ed è quindi di dubbio gusto ma soprattutto presumibilmente non veritiera o corretta ai sensi del comma 2 dell'articolo 1 del citato Decreto Legge ...non è illegale neppure quando si tratta di copie di riserva di software coperti da licenze commerciali...sicuramente è però completamente scorretto non aver opportunamente considerato che è proprio attraverso la legittima copia e distribuzione pubblica anche gratuita che prolifera e aumenta la diffusione del software NON commerciale, con licenze di libera distribuzione, appartenenti alla famiglia del software cosiddetto libero come la GNU Public License o le licenze di distribuzione a codice aperto, comunemente denominate Open Source, o di dominio pubblico senza ulteriori licenze di distribuzione."
Sulla base di queste evidenze, Emmanuele Somma chiede quindi "all'Autorità di intervenire per garantire la non criminalizzazione, il diritto all'immagine, nonché anche quelli economici e patrimoniali degli utenti e di quanti esercitano attività commerciali, industriali, artigianali e professionali avvalendosi di software libero, di pubblico dominio, a codice aperto o comunque non commerciale la cui copia e distribuzione è completamente lecita e non comporta, e non deve comportare, alcun tipo di criminalizzazione."
L' iniziativa a sostegno dell'open source arriva da Interlex, rivista d'informazione online su diritto e tecnologia. Il 19 ottobre il direttore Manlio Cammarata pubblica una lettera aperta - inviata poi al Dipartimento della Funzione Pubblica, all’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione e al Ministero del Tesoro - sotto l'esplicita intestazione "Soggezione informatica dello Stato italiano alla Microsoft". In pratica, vista l'ampia penetrazione anche in Italia di Linux e applicazioni open source in ambito didattico, istituzionale e imprenditoriale, si spinge per l'adozione di tale software negli apparati della pubblica amministrazione. Ciò risulta d'altronde in piena sintonia con specifici documenti approvati prima dal Parlamento francese e poi da quello danese, a testimonianza di un chiara pratica anti-monopolistica che va concretizzandosi a livello globale e istituzionale. L'uscita di Interlex è inoltre il naturale sbocco di un crescente fermento in tal senso, in parte veicolato dall'intervento di ALCEI al Forum per la società dell'informazione (giugno '99) e da una precedente lettera aperta diffusa proprio all'interno della pubblica amministrazione.
Il documento ha raccolto già 1200 firme di supporto in due settimane, con annessa risonanza su testate d'informazione online e offline. Insieme a numerosi messaggi di feedback, il successo ha sorpreso finanche lo stesso Cammarata, il quale si è affrettato a diffondere un addendum per spiegare che si non tratta di una "campagna contro, ma di una campagna per".
Meglio anche qui riprendere testualmente i passaggi più significativi: "L'iniziativa della lettera aperta non è contro la Microsoft, non è contro il Ministero del tesoro, non è contro il Dipartimento della funzione pubblica, non è contro l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione....Ora c'è una situazione nuova, perché lo strapotere della casa americana viene messo in discussione da varie parti e per diversi motivi...Ma l'elemento determinante è che negli ultimi tempi i sistemi operativi e le applicazioni open source si sono evoluti anche nelle interfacce e nella facilità di impiego, avvicinandosi molto a quell'impostazione "amichevole" che è uno dei motivi del successo dei programmi della casa di Redmond."
In conclusione, la lettera aperta "non è una crociata, è una proposta. Non è contro qualcosa o qualcuno, ma è per un ulteriore passo avanti nella modernizzazione della pubblica amministrazione e del sistema-Paese, un passo che soltanto ora è possibile proporre."
Il Giurì chiamato a giudicare lo spot "copiare software e' reato" per l'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, dopo un regolare esposto, lo ha condannato e quindi fermato per pubblicita' ingannevole "prot. /am - 588 ...il messaggio televisivo non e' conforme agli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, e ne ordina la cessazione".
La ragione fondamentale e' la mancata considerazione del software non commerciale dimenticato dallo slogan "copiare software e' reato"; il giurì, dunque, ha riconosciuto che esiste un numero eccezionale di prodotti, non realizzati dalle multinazionali e dai grandi gruppi, che prolifera per la forza di volonta' di sviluppatori autonomi che in tutto il mondo sfornano freeware (gratuito) e shareware (da poche decine di migliaia di lire. Questo software può, legalmente, essere copiato e distribuito a patto di pagare i diritti (quando essi sono richiesti). Al contrario lo spot avrebbe potuto lasciare intendere che non è così e danneggiare il sistema di distribuzione dello shareware e del freeware che si basa proprio sulla "copia" autorizzata dei prodotti
Il Giurì ha giudicato ingannevole e scorretto lo spot. Una chiara vittoria contro lo strapotere delle multinazionali del software.
Questo il testo della comunicazione ufficiale, prontamente rigirato online dallo stesso Emmanuele Somma:
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Mail inoltrata da "I.A.P."
Milano, 14 dicembre 2000
prot. /am - 588
Egregio Signor
Emmanuele Somma
Segnalazione messaggio pubblicitario "Copiare software è reato", della Business Software Alliance trasmesso sulle reti Mediaset
Con riferimento alla segnalazione in oggetto, con la presente Le comunichiamo che, dopo l'esame del caso da parte del Comitato di Controllo e la decisione di trasmettere gli atti al Giurì, ai sensi degli artt. 2, 8 e 9 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, nella sua riunione del 12/12/00, l'organo giudicante dell'Autodisciplina Pubblicitaria ha emesso il seguente dispositivo:
"Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che il messaggio televisivo non è conforme agli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, e ne ordina la cessazione."
Appena disponibile provvederemo a trasmettere la decisione integrale, comprendente anche la relativa motivazione.
Grati per la collaborazione, porgiamo i migliori saluti.
La Segreteria
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É il caso di aggiungere il testo integrale degli articoli (violati) in questione:
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Dal Codice di Autoregolamentazione Pubblicitaria
Art. 2 - Pubblicità ingannevole.
La pubblicità deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l'identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti.
Art. 8 - Superstizione, credulità, paura.
La pubblicità deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura.
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Éstata quindi ascoltata la denuncia di un cittadino nei confronti delle multinazionali del software, le quali pur di difendere i propri interessi commerciali non esitano a lanciare campagne tanto intimidatorie quanto indiscriminate. Si tratta di una vittoria importante perché finalmente si pone fine a un tipico abuso d'informazione, dando altresì pubblico riconoscimento alle diffuse lamentele contro similari campagne pubblicitarie - anche se rimangono tuttora pochi i singoli che decidono di far davvero qualcosa. In tal senso, la conclusione positiva di questo caso potrebbe stimolare l'avvio di iniziative più massicce a tutela dell'open source da una parte e in netta opposizione a certe pratiche scorrette dall'altra.
Per dovere di cronaca va rammentato che, all'indomani della denuncia, un comunicato della BSA aveva definito lo spot "un normale messaggio pubblicitario, necessariamente espresso in termini chiari e comprensibili a tutti". E quanti criticavano l'iniziativa pubblicitaria, avevano interpretato l'episodio "in modo distorto, al fine di bloccare la campagna per la sensibilizzazione delle imprese al controllo della legalità del software." La precisa disposizione delle Autorità preposte dimostra tuttavia che le cose non stavano né stanno così. E a rimanere bloccata stavolta non è altro che la campagna della BSA.
Il punto, ancora un volta, è che si preferisce far finta di nulla e ricorrere a terminologia chiaramente scorretta. Al generico concetto di "software copiato" in questo caso occorrerebbe sostituire il più preciso "software contraffatto". Bisogna inoltre smetterla di ignorare l'ampia fetta di utenti di ogni livello, dall'imprenditoria locale alle mega-corporation ai singoli, che in ogni paese del mondo ricorre al software ed ai sistemi open source per le proprie attività quotidiane. Non è un certo un caso che certe crociate siano tirate da Microsoft & co., stavolta riuniti sotto la bandiera dell'organizzazione nonprofit internazionale BSA.
Grazie quindi a Emmanuele Somma per essersi fatto carico di portare la delicata questione all'attenzione delle Autorità, nella speranza che la vittoria serva da monito ai potentati del software commerciale. Anche se è chiaro che occorrerà continuare a vigilare contro analoghe operazioni ambigue, per difendere al contempo la diffusione dell'open source in ogni ambito e con ogni mezzo possibile.
Dulcis in fundo, sull'onda della decisine del Giurì è appena sorta una mailing list finalizzata alla raccolta di messaggi di approvazione, condivisione, aiuto e apporto non solo intorno a questa e iniziative similari, ma anche - riprendendo la nota diffusa online - di quant'altri vogliano "rendere la società più libera e trasparente sotto tutti i punti di vista, anche quello del software e dell'informatica in generale."
Il gruppo virtuale, si chiama "fronda-it". La lista si propone anche come strumento operativo per un obiettivo più generale, quello di coordinamento delle iniziative sulla frontiera digitale in Italia.
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ARCHEOLOGIA ANTICOPYRIGHT
Nel 1958
nasce l'Internazionale Situazionista ed il gruppo Fluxus57. In
un'atmosfera conseguente ai lavori svolti nel decennio precedente dal
Lettrismo, dal gruppo Cobra, dal Movimento Internazionale per un Bauhaus
Immaginista e dal Laboratorio Sperimentale di Alba, così come dal lavoro
delle avanguardie nella prima metà del secolo, i due gruppi porranno una
forte attenzione alla necessità di rendere lo spettatore protagonista
attivo dell'opera d'arte e ad una partecipazione collettiva nell'atto
creativo.
"L'internazionale
situazionista rigettò per prima il concetto stesso di copyright
concedendo a chiunque senza alcuna limitazione, se non quella della
responsabilità personale, il diritto di riprodurre i propri testi"
(G. Bessarione in I fiori di Gutenberg, tr. It. in Scelsi, 1994,
pag. 223).
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COPYRIGHT: Apriamo un
chiosco per copiare CD ?
http://www.ricordati.com/brevi/news33633.htm
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http://www.studiocelentano.it/newsflash_dett.asp?id=2905
(ANSA) - ROMA, 24 LUG - Un manuale di autodifesa contro una legislazione
sempre piu' restrittiva sull'uso di internet: l' iniziativa e' promossa
dall'associazione Newglobal.it. Presentato oggi in Senato anche il sito
P2P@newglobal.it al quale chiedere chiarimenti su come difendere il
diritto alla libera condivisione alla conoscenza. 'Ormai gli unici diritti
garantiti - ha detto il senatore dei Verdi Fiorello Cortiana - sono quelli
delle grandi multinazionali'. L'iniziativa fara' felici gli orfani di
Napster. /RED []
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Nel corso del convegno sulla Bossi-Fini Francione ha
sostenuto la legalizzazione del mercato di cd contraffatti creando un
mercato di serie b con cooperative di extracomunitari che così verrebbero
tratti fuori dall'illegalità.
L'artista Andrea Serafini al riguardo ha proposto una maniera assai
semplice di risolvere il problema delle merci false vendute dagli extra
comunitari.
Basterebbe coinvolgere stilisti di moda, produttori di dischi, libri e
video (o quant'altro ti venga in mente) nella produzione di articoli
specifici destinati solo al mercato gestito dagli extra comunitari.
Se ne otterrebbero innumerevoli vantaggi:
- non verrebbero più messi in commercio falsi, ma articoli originali
- verrebbe messo in regola un settore della popolazione al momento
decisamente svantaggiato
- i "grandi nomi" ne otterrebbero una indubbia pubblicità
Basterebbe coinvolgerne uno o due nella nuova linea MAROC e gli altri
seguirebbero a ruota.......
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LE MISURE CONTRO I
CRACKATORI DI DVD VIOLANO LA LIBERTA' DI PAROLA
http://www.studiocelentano.it/newsflash_dett.asp?id=5940
Una Corte di Appello californiana ha ribaltato un provvedimento
consistente nel bloccare per quattro anni la pubblicazione di un programma
per crackare DVD, poiche' esso viola la liberta' di manifestazione del
proprio pensiero.
LOS ANGELES, USA - Una Corte di Appello californiana ha ribaltato un
provvedimento consistente nel bloccare per quattro anni la pubblicazione
di un programma per crackare DVD, poiche' esso viola la liberta' di
manifestazione del proprio pensiero. L'attore, la DVD Copy Control
Association, aveva citato in giudizio tempo fa Andrew Bunner, per
violazione dei suoi diritti di proprieta' intellettuale, poiche' aveva
reso pubblico su Internet un sistema per bypassare una tecnica per
criptare i DVD. Oggi, pero', il Sesto Circuito della Corte di Appello
della California ha rigettato le pretese dell'attore, che aveva vinto in
primo grado (rivela CNET News). [G.A. Cavaliere]
di G. Cavaliere
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L'evoluzione della specie: da Napster al social networking
Quando Napster raggiunse nel 2000, in poco
piu’ di 1 anno, i 60 milioni di utenti, il file sharing
esplose come fenomeno di massa catturando l'attenzione del
grande pubblico, dei media e di tutte le major.
In realta’ Napster non fu il primo software di file
sharing realizzato (di gran lunga preceduto dalle IRC), ma
ebbe sicuramente il merito di catturare l'attenzione degli
utenti, grazie alla sua semplicita’ d'uso ed intrinseca
viralita’.
Caratteristica tecnica di Napster era la struttura
"centralizzata" della propria rete; in altri termini Shawn
Fanning - inventore di Napster - aveva predisposto
un'architettura basata su un server centrale di
riferimento - una sorta di motore di ricerca - cui
potevano collegarsi tutti i client.
Ogni volta che un utente si collegava, riceveva le
in dicazioni dal server sugli utenti con cui poter
scambiare file e stabilire a quel punto una connessione
diretta (peer to peer).
Questa struttura, per quanto tecnicamente vincente, rese
pero’ Napster facilmente vulnerabile agli attacchi delle
Majors.
Infatti fu sufficiente individuare e bloccare il server
centrale, per mettere fuori uso Napster.
Napster fu chiuso, salvo risorgere di recente, ma questa
volta come servizio a pagamento.
Dalla chiusura di Napster in poi, proprio a causa dei
potenziali rischi giudiziari, gli sviluppatori di software
di file sharing hanno iniziato a creare sistemi sempre
piu’ delocalizzati, cosi’ da evitare che la chiusura di un
unico server potesse compromettere il funzionamento
dell'intera rete.
Ecco nascere, quindi, reti ibride e reti completamente
decentralizzate, caratterizzate da diversi software client
in continua evoluzione (WinMX, Kazaa, Emule, ecc).
La presenza di reti "s enza testa" mise subito in luce
l'impossibilita’ di stoppare i sistemi di file sharing,
come era invece stato possibile con Napster.
Come e’ possibile, infatti, bloccare un sistema composto
da centinaia di milioni di pc autonomi, sparsi in tutto il
mondo, che scambiano miliardi di file alla settimana?
La soluzione, scelta in primis dalla RIAA, l'associazione
delle case discografiche americana, e’ stata allora quella
di procedere con cause e denunce a 360°); questo
ha pero’ provocato un ulteriore sviluppo dei sistemi di
file sharing nella direzione di software, oltre che
delocalizzati, anche in grado di garantire privacy e
anonimato.
Un esempio recente e’ Mute.
(Basato sullo studio delle formiche (!), questo sistema:
- utilizza crittografia (Blowfish) per proteggere il
contenuto dei file scambiati;
- rende anonimo l'utente trasformando l'indi rizzo IP in un
IP virtuale;
- non mette in connessione diretta i pc degli utenti che
scambiano file tra loro (l'utente A, in base a un
algoritmo random, scarica da B passando ad esempio per C e
D).
In sostanza i software di nuova generazione sono in grado
di usare crittografia; nascondere l'indirizzo IP di chi si
collega attribuendo un indirizzo virtuale diverso ogni
volta che si scambia un file; creare connessione indiretta
tra chi scambia i file passando attraverso altri "nodi" (=
pc collegati) che non sono a conoscenza della destinazione
finale.
E’ evidente che sistemi di questo tipo (crittografati,
anonimi e indiretti) rendono l'individuazione degli utenti
decisamente complicata ed estremamente onerosa (occorrono
specialisti, strumenti tecnici di alto livello, risorse e
tempo).
In ogni caso, anche volendo ammettere che le task force
governative di turno, riescano a compiere le suddette
attivita’ di c ontrollo velocemente e a costo zero, il
problema non sarebbe risolto.
Anzitutto anche individuando l'indirizzo IP di una
macchina non c'e’ certezza di individuare l'utente.
Infatti l'indirizzo IP puo’ corrispondere a decine o
centinaia di utilizzatori (pensiamo ad esempio alle
Universita’ o agli Internet Cafe’); l'intestatario del
contratto puo’ essere un soggetto diverso
dall'utilizzatore (contratto intestato al padre, mentre
l'utilizzatore e’ il figlio); l'indirizzo IP puo’ essere
usato abusivamente (ad esempio facendo war driving su una
rete wireless; in altri termini ci si collega abusivamente
a una rete wireless intestata ad altri e la si usa per i
propri download).
E ancora. Ammettiamo per un momento, a prescindere da ogni
questione di diritto e concernente la privacy, che venga
sviluppato un sistema "perfetto" in grado di monitorare
con certezza, velocita’ e precisione tutti gli utenti che
scambi ano file illegalmente.
Anche questo strumento sarebbe inutile.
Infatti le reti di social networking (negli Stati Uniti la
nuova "big thing" del web), caratterizzate dall'avere un
accesso limitato ai soli invitati secondo la teoria dei 6
gradi di separazione, potrebbero ad esempio essere usate
per scambiarsi file in sicurezza lontano da sguardi
indiscreti.
I sistemi di file sharing si sono evoluti passando da una
struttura trasparente e centralizzata ad una
invisibile/mascherata/crittografata/decentralizzata.
Tale nuova struttura rende di fatto impossibile
controllare, in modo facile e economico, gli utenti e i
relativi contenuti scambiati.
In ogni caso, anche qualora si riescano a decrittografare
i contenuti e scoprire l’identita’ di chi scarica, in
tempi rapidi e a costi contenuti, bisogna considerare che
il numero degli utenti coinvolti e’ comunque altissimo (60
milioni solo negli Stati Uniti), in crescita (nel marzo
2004, Kazaa, il piu’ famoso software di file sharing, e’
stato scaricato da 2 milioni utenti) e il rischio poi, ad
esempio, di risalire a minori alla fine dell'indagine, e’
molto elevato.
Reazioni nel mondo: risultati e conseguenze
Negli ultimi 5 anni, nel mondo, le reazioni degli aventi
diritto (Major, Associazioni di categoria, titolari del
diritto d'autore) al dilagante fenomeno del file sharing,
sono state incentrate sulla repressione. Alcuni casi
recenti:
USA, Settembre 2003: 261 utenti sono stati denunciati
dalla RIAA
USA, Febbraio 2004: 531 utenti denunciati dalla RIAA
Canada, Febbraio 2004: 29 utenti denunciati in Canada
USA, Marzo 2004: altri 532 utenti denunciati dalla
RIAA
UK, Marzo 2004: l’associazione inglese - BPI - ha
annunciato che intraprendera’ una campagna di informazione
e sporgera’ denunce (sono 8 milioni gli utenti inglesi che
scaricano file).
Le azioni legali intraprese non hanno pero’ portato il
risultato atteso sotto molti profili.
Il numero di utenti che scambiano files non e’ diminuito.
I software di file sharing non sono spariti (come il dopo
Napster sembrava promettere) ma sono al contrario
proliferati. L'esito giuridico delle vertenze sta avendo
esiti alterni e in alcuni casi un effetto boomerang sugli
attori che hanno instaurato le cause. La recente sentenza
Canadese ne e’ un esempio lampante.
La Corte Canadese si e’ infatti pronunciata a favore della
legalita’ del P2P (la sentenza e’ in verita’ ben piu’
articolata e ricca di sfaccettature), obbligando a un
brusco arresto la locale CRIA (Associazione delle Case
Discografiche Canadese) e aprendo in questo modo un buco
nel sistema.
Infatti, poiche’ il file sharing avviene su scala
mondiale, questa sentenza rende pressoche’ va na qualunque
normativa repressiva in qualunque altro paese del mondo
(ai big uploaders sarebbe infatti sufficiente spostarsi in
Canada per operare indisturbati).
Giuridicamente sussistono inoltre notevoli complicazioni
sia probatorie sia per individuare correttamente in
giudizio le diverse fattispecie; tra tutte rileva la
differenza tra furto e scambio, spesso volutamente
confusa, ma di fondamentale importanza.
Nel file sharing non si ruba qualcosa a un altro, non la
si sottrae dal pc di un altro utente; la si scambia, la si
baratta, la si condivide con modalita’ che possono
cambiare di volta in volta anche in modo inconsapevole.
Le denunce e le cause hanno poi sollevato la curiosita’
dei ricercatori interessati a stabilire fino a che punto
il file sharing incida sul business delle Major e fino a
che punto non siano invece discriminanti altri fattori (il
prezzo troppo alto dei CD; la scarsita’ di conten uti
proposti; la concorrenza di altri prodotti multimediali
piu’ appetibili; la crisi economica; ecc).
A questo proposito sta facendo scalpore la ricerca
presentata in questi giorni da 2 professori delle
Universita’ di Harward e North Carolina in cui si afferma
che non e’ rinvenibile una incidenza statisticamente
rilevante sul calo di vendite dei CD,imputabile all'uso
del file sharing.
La ricerca e’ stata effettuata su quasi 2 milioni di file
monitorati per 17 settimane e il risultato riportato
indica 1 mancato acquisto di CD ogni 5.000 download.
E’ importante sottolineare che a questa ricerca ne vengono
comunque contrapposte altre, parimenti autorevoli (es.
Forrester), che invece rilevano una pesante incidenza del
file sharing sulla vendita di musica / video.
I principali players del mercato stanno poi cercando di
vendere musica e video v ia Internet: Apple ha ad esempio
venduto 50 milioni di canzoni tramite il proprio negozio
ondine Itunes (le canzoni sono vendute a 99 cents)
e molti altri protagonisti stanno aprendo negozi di
musica on line (es. Wal mart e Microsoft).
E’ da considerare pero’ che il rapporto tra file
disponibili su un negozio on line e file presenti nelle
reti P2P e’ stimato essere addirittura di 1 a 260 !
Infine i produttori di software, come sopra accennato,
sono stati stimolati ad aggiungere funzionalita’ per
l'anonimato degli utenti e la crittografia dei file
scambiati (con conseguente rischio di utilizzo di queste
tecnologie - nell'impunita’ - per finalita’ ben piu’ gravi
rispetto al file sharing, quali terrorismo e
pedopornografia).
Numerose sono state e sono le denunce/cause intentate sia
agli utenti, sia ai produttori di software di file sharing
e prodotti correlati. Questa politica da alcuni
considerata come "denuciare il proprio potenziale
cliente", non sembra portare risultati positivi e non
lascia intravedere spiragli per il futuro.
A questo riguardo occorre considerare che su Internet e
nel settore dei "dati digitali", ogni tentativo di
limitare l'accesso ad una risorsa, censurare contenuti o
proteggere file e’ puntualmente fallito.
Basti pensare all'esempio - forse il piu’ eclatante - del
Red Firewall cinese, il sistema che vieta ai cittadini
cinesi di navigare liberamente (sistema eludibile grazie
al software sviluppato dal gruppo di hacktivisti Cult of
the Dead Cow; alla protezione CSS per i DVD
(craccata da un giovane norvegese, per
questo denunciato ma poi assolto; piu’ in generale
a qualunque software in circolazione,
il cui crack e’ facilmente disponibile in rete.
Le proposte
Occorre premettere ad oggi nessuno ha ancora trovato una
soluzione soddisfacente per conciliare la tutela del
diritto d'autore (= compensare chi produce), con il
diritto alla privacy e liberta’ di scelta degli utenti.
Certo e’ che il file sharing e’ uno strumento tecnico
straordinario che viene e verra’ usato in futuro anche per
moltissime applicazioni sia B2B sia B2C.
Il file sharing e’ uno strumento straordinario per la
diffusione della Cultura e del Sapere in genere e puo’
contribuire a far conoscere anche artisti sconosciuti in
modo istantaneo in tutto il mondo.
Sulle reti p2p, poi, e’ bene ricordare che non circolano
solo musica e video ma anche libri, documentazione tecnica
e materiale introvabile nei negozi.
Bloccarlo, oltre a non essere possibile, sarebbe contrario
al l'evoluzione naturale della tecnologia.
Scambiare file, inoltre, e’ ormai un’attivita’
diffusissima (e considerata normale dagli utenti), che le
Major piu’ attente ai consumatori riusciranno, prima o
poi, a trasformare in un nuovo canale di business (avere a
disposizione uno strumento di distribuzione cosi’
capillare e funzionante non rappresenta di per se’ uno
strumento eccezionale?); dovranno pero’, con tutta
probabilita’, modificare il proprio approccio cosi’ come
e’ successo nell'industria automobilistica americana ai
tempi di Ford o quando e’ nata la radio.
In questo contesto estremamente articolato emergono pero’
2 proposte che, per quanto non immuni da critiche,
appaiono particolarmente accurate, documentate e basate
sull'esperienza americana di questi anni.
Entrambe individuano come primaria la legalizzazione dei
sistemi di file sharing a fronte, in un caso, di un canone
volontario mensile, nell'altro caso di una tassa a monte
su prodotti e servizi concernenti il file sharing.
In particolare, la EFF (Electronic Frountier Foundation)
storica associazione per le liberta’
civili, propone un pagamento di un canone mensile che
autorizzi gli utenti a scaricare file. Si parla di un canone di
pochi dollari, circa 5 dollari a utente, pagati su base
volontaria (Voluntary Collective Licensing of Music File
Sharing) e solo fino a quando si desidera usufruire del
servizio.
Il sistema mutuato dal modello radiofonico, prevede la
raccolta del canone da parte di un organismo indipendente
e la relativa redistribuzione ai rispettivi autori.
La seconda proposta, presentata dal Prof. Fisher della
Stanford University (probabilmente lo studio piu’
esaustiv o svolto ad oggi in materia di file sharing),
suggerisce l'imposizione di una tassa a monte sull'accesso
a banda larga (ISP access) e/o sui supporti che ruotano
attorno al file sharing (masterizzatori di CD, CD vergini,
lettori MP3, ecc.).
Anche in questo caso, l'importo risultante dai calcoli
matematici dello studioso e’ di pochi dollari al mese (6
dollari ) e anche in questo caso sarebbe raccolto da una
realta’ ad hoc e redistribuito agli aventi diritto. Da
notare che calcolando la sola tassazione sull'ISP access,
il Prof. Fisher calcola un raccolta pari a 2.5 miliardi di
dollari all'anno, solo negli Stati Uniti.
Nessuno ha oggi una soluzione efficace e definitiva ai
problemi sollevati dall'uso del file sharing.
Due proposte, della EFF e del Prof. Fisher - per quanto
non risolutive e da perfezionare - sono pero’ sulla stessa
lunghezza d 'onda e hanno il merito di segnare in qualche
modo la via da percorrere prospettando per la prima volta
soluzioni concrete e soddisfacenti per tutte le parti
coinvolte.
Entrambe propongono il pagamento di pochi dollari al mese
per compensare i titolari di copyright, a fronte della
legalizzazione del P2P.
Commissione Cultura della Camera dei Deputati: Audizione
informale nell’ambito dell’esame del disegno di legge di
conversione del decreto legge n. 72 del 2004, recante
interventi contro la diffusione telematica abusiva di
materiale audiovisivo e a sostegno delle attivita`
cinematografiche e dello spettacolo di (...) esperti in
materia di information technology e del professor Stefano
Rodota`, Garante per la protezione dei dati personali.
Abstract della relazione del Dott. M. Montemagno
© 1999–2004 STUDIOCELENTANO.IT
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5 APRILE 1993
SENTENZA N° 57/93
DELLA PRETURA CIRCONDARIALE DI LANCIANO SEZIONE DISTACCATA DI ATESSA
Nella causa penale iscritta
al n. X R.G.A.P. contro
1) YY (omissis)
libero-presente
IMPUTATO
del reato di cui all’art.
1 L. 29.7.81 n.106 por avere abusivamente riprodotto a fine di lucro
dischi e musicassette senza l’autorizzazione della SIAE di cui poi
faceva uso con l’emittenza radiofonica “HH” di ZZ.
Accertato il 29.8.91
In esito all’odierno
dibattimento le parti così concludevano:
- il P.M. : assoluzione
perchè il fatto non costituisce reato;
- il difensore: assoluzione
perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato; in via
subordinata si associa alle richieste del P.M..
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Le risultanze processuali
hanno consentito di escludere la responsabilità dell'imputato in ordine
al reato ascrittogli.
Giova premettere che la
fattispecie di cui all'art. 1 l. 406/1981, contestata all'imputato, nel
penalizzare la riproduzione di dischi ed altri supporti, senza averne
diritto ("abusivamente"), postula una attività di copiatura, da
intendersi nel senso di
formazione di esemplari il più possibile identici all’originale
(interpretazione logico-letterale) ed è finalizzata alla repressione del
dilagante fenomeno della c.d. pirateria discografica (esercitantesi
utilmente ed ampiamente sul versante della abusiva registrazione di audio
cassette, richiedente minimi mezzi tecnici): ciò che è confermato dalla
stessa rubrica sotto la quale la legge in argomento è stata promulgata,
oltre che del fine di lucro richiesto dalla norma in esame
(interpretazione teleologico-sistematica).
Corollario dell’approccio
dianzi precisato (già evidenziato in giurisprudenza) è che la
riproduzione, per essere potenzialmente lesiva dell'interesse tutelato,
deve avvenire in un numero significativo di esemplari, circostanza questa
logicamente sottesa al richiesto fine lucrativo dianzi tratteggiato.
Orbene, questo essendo il
significato ed il fine della norma di cui in epigrafe, devesi rilevare che
la mera attività di copiatura, peraltro non abusiva - essendo la stessa
imposta dalla legge n. 223/1990 che nel ribadire che la diffusione di
programmi radiofonici ha carattere di preminente interesse generale (art.
1) statuisce l'obbligo per le emittenti radiofoniche di registrare
ogni loro trasmissione e di conservare i nastri
per almeno 3 mesi (art. 20) - appare indispensabile per il corretto e
proficuo funzionamento delle stazioni radiofoniche, sotto il duplice
profilo dell’approntamento di basi musicali diffondibili in assenza di
personale e della messa in onda di programma in differita, stante
oltretutto la sua natura “effimera”.
Perseguendo la citata norma
il fine di repressione della c.d. pirateria discografica e non quello di
repressione dell’emittenza radiofonica, la quale peraltro ha
indubbiamente anche una matrice costituzionale (art. 21 Cost.), devesi
ritenere che la precisata attività di semplice registrazione su supporti
magnetici di dischi e musicassette posta in essere da una stazione radio,
non è prevista dalla legge come reato, siccome coessenziale all'esercizio
dell'emittenza radiofonica di cui lo stesso legislatore auspica il
pluralismo.
Di talchè YY deve essere
assolto dal reato ascrittogli perché il fatto non è previsto dalla legge
come reato. Segue per legge la restituzione del materiale in sequestro.
P.Q.M.
VISTO L’ART.530 C.P.P.
ASSOLVE YY DAL REATO A LUI
ASCRITTO PERCHE’ IL FATTO NON E' PREVISTO DALLA LEGGE COME REATO.
ATESSA 31 MARZO 1993
|
http://www.studiocelentano.it/editorial/articolo.asp?id=970
Regolamentazione e deregolamentazione dei diritti d'autore in rete
di Marco Cappato, Deputato europeo
M. Cappato - Il progresso
tecnologico degli ultimi quindici anni ha prodotto il piu’ alto numero
di innovazioni della storia dell'umanita’ nel piu’ breve lasso
temporale. Nel frattempo il legislatore, invece di limitarsi alla
definizione di poche regole generali, ha cercato di rincorrere il ritmo
dell'innovazione opponendo una visione conservatrice e protezionista -
sistematicamente proibizionista - alle possibilita’ offerte dalla
creativita’ di ricercatori e programmatori. Negli ultimi anni la Rete,
nata come spazio di liberta’, e’ divenuta molto spesso luogo dove il
controllo si attua non solo attraverso le leggi che ne regolano l'accesso
e l'utilizzo, ma anche attraverso i codici utilizzati per costruirne
l'architettura.
Coloro che sostengono e promuovono lo sviluppo delle nuove tecnologie nei
paesi in transizione verso un sistema democratico o in regimi illiberali,
devono tenere presente che, sia nel primo che nel secondo caso, tanto
piu’ lo "spazio virtuale" sara’ considerato libero ed aperto
- libero alla critica ed allo scrutinio del pubblico, e aperto al
contributo degli programmatori e disegnatori di software - tanto maggiore
e sostanziale sara’ la portata di tale promozione.
L'atteggiamento
“protezionista” di decine di paesi democratici, e’ il risultato da
una parte delle pressioni di chi sostiene siano a rischio i diritti
d'autore e di riproduzione, oppure la possibilita’ di brevettare
invenzioni, e dall'altra di chi - come le grandi multinazionali
dell'intrattenimento e del software - teme il danno economico della
riduzione di parte dei profitti legati a modelli produttivi
"tradizionali".
Al di la’ dei timori di alcuni
dei soggetti interessati, in parte giustificati dalla mancanza di
un'adeguata circolazione di informazioni in merito alle possibilita’ di
sviluppo di nuove tecniche di distribuzione di “prodotti”
tradizionali, la possibilita’ di scambiare contenuti attraverso la Rete
come la possibilita’ di scrittura "collettiva" di programmi,
rappresentano novita’ da valorizzare e favorire.
La regolamentazione - o, piu’
spesso, la deregolamentazione - puo’ certamente comportare in termini di
profitto dei sacrifici iniziali per alcuni, dal restringimento temporale
della validita’ dei diritti d'autore alla non brevettabilita’ di
funzioni dei programmi software, ma il sacrificio di oggi va iscritto in
un processo di cambiamenti che interesseranno sempre piu’ le forme - e
probabilmente anche i contenuti - della comunicazione umana e dello
"stare insieme" di centinaia di milioni di persone. Gia’ oggi
ci sono comunita’ che, in particolare su questioni relative alla Rete o
al software, si sono evolute fino a divenire veri e propri gruppi di
pressione politica.
Crea dunque crescente
preoccupazione il fatto che l'affermarsi di innovazioni tecnologiche si
scontri sistematicamente con la proibizione o la protezione ritenute
uniche misure di governo possibile dei nuovi fenomeni. Le recenti
decisioni legislative in decine di paesi di sottoporre a un rigido regime
penale lo scambio di file secondo il sistema cosiddetto “Peer to Peer”
(P2P) si iscrivono in questa linea di “mal-governo” della Rete che ha
ripercussioni negative, se non drammatiche, anche sul mondo degli
sviluppatori di software.
|
Il
quotidiano informatico adotta la Creative Commons Public
License per i contenuti che distribuisce sul proprio
sito. Nei prossimi mesi la localizzazione italiana della
CCPL. Un commento
Mancano solo pochi mesi al varo formale della licenza
Creative Commons per l'Italia e questo grazie
all'impareggiabile lavoro dei tanti che si sono prestati
fin qui a trovare una via alla "localizzazione"
di licenze di distribuzione delle opere che contribuiscono
in modo sostanziale al concetto di copyleft, evoluta
alternativa al copyright tradizionale. Nell'attesa, chi
scrive su Punto Informatico ha scelto di offrire un
piccolo contributo adottando la Creative Commons Public
License (CCPL) generica per tutti i contenuti pubblicati
dal sito.
Le licenze Creative Commons (vedi qui
il sito italiano) hanno l'obiettivo di rendere disponibili
a tutti al massimo grado le opere dell'ingegno: è
l'autore a determinare quale grado di "libertà"
attribuire alle proprie creazioni. Come nel copyright
tradizionale, il copyleft di Creative Commons tutela
l'autore, consentendo, per esempio, la libera
ridistribuzione della sua opera ma soltanto se la paternità
della stessa viene correttamente a lui attribuita ad ogni
riproduzione.
Punto Informatico ha scelto le licenze CCPL denominate
"Attribution-NonCommercial-NoDerivs". Si tratta
di una formula di licenza che permette a chiunque lo
desideri di riproporre le news e gli altri contenuti
pubblicati dal sito, riproduzioni che dovranno avere tre
caratteristiche: il testo originale non potrà essere
modificato, la fonte dovrà sempre essere associata al
testo e la riproduzione non potrà avvenire, salvo
esplicita autorizzazione, qualora l'uso dei contenuti
abbia finalità commerciali.
Molti sono gli aspetti giuridici irrisolti per le presenza
di una CCPL sul sito di una testata giornalistica gestita
da una società editrice italiana, aspetti che dovranno
essere chiariti e che già sono stati in parte discussi
sulle liste di settore, a partire da CC-it.
Ad ogni buon conto coloro che realizzano i contenuti di
Punto Informatico utilizzeranno, da oggi in poi, la
formula "alcuni diritti riservati", quel
"some rights reserved" che si sta rapidamente
diffondendo in Internet e che ora si trova anche su tutte
le pagine del sito del quotidiano informatico.
Le licenze Creative Commons (qui
una bozza di quella che potrà presto divenire la
piattaforma giuridica italiana) si deve al lavoro di tanti
(vedi anche Creative
Commons, gli scopi del progetto su CopyDOWN) e, tra
loro, di Lawrence Lessig, considerato il più autorevole
studioso di copyright (per conoscere più da vicino il
pensiero di Lessig un punto obbligato di partenza è il
suo blog).
Di seguito l'editoriale del direttore di Punto
Informatico.
Da qualche parte la rivoluzione del copyleft deve
cominciare e, negli anni, pensatori del calibro di
Lawrence Lessig hanno gettato le fondamenta di una nuova
cultura del copyright. Nasce dall'impulso innovativo di
una rete che già oggi permea un numero consistente di
attività umane e che domani sarà semplicemente
l'ambiente dinamico in cui si muoveranno gli uomini,
almeno quelli dei paesi ricchi, e il centro del mercato
dell'informazione.
Nel suo piccolo, Punto Informatico ha conosciuto una
crescita costante - e non parlo tanto dei lettori (761mila
a giugno) quanto dei contenuti - e ha saputo percorrere a
modo suo una strada di alto profilo, cercando di
raccontare le cose della rete e della tecnologia dopo
averle fatte proprie. Attraverso i forum ha acceso la
possibilità per i fruitori di questa informazione di
diventare loro stessi contributori del giornale. Ed è
giusto ricordare che quando PI aprì i forum non v'era
altro sito di informazione italiano ad aver fatto
altrettanto.
Da oggi PI intraprende, pur con qualche incertezza
giuridica, la via di Creative Commons. L'adozione di un
nuovo modello di libera distribuzione della conoscenza non
solo affrancherà la redazione dalle numerose email di chi
chiede di ripubblicare i contenuti di PI:-) ma soprattutto
costituirà un piccolo, piccolissimo contributo alla
creazione di un'alternativa progredita all'attuale
copyright che, come ho già scritto tante volte in tanti
anni su queste pagine, con l'avvento della rete non si è
spostato di una virgola e per questo ha mutato la sua
natura: incapace di adattarsi alla rete stessa oggi ne
tramortisce quelle promesse di libertà e di condivisione
che Internet ha annunciato fin dal suo primo apparire.
Quindi, per togliere i dubbi a chi volesse averne,
l'adozione di Creative Commons è anche per noi
l'affermazione di una "nuova legalità" e non
certo "solo" una dichiarazione di principio.
Paolo De Andreis
punto-informatico.it/p.asp?i=48841
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http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap2_IV.html#copyright1
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NO COPYRIGHT: LE CASE EDITRICI HANNO TUTTO DA GUADAGNARCI
Wu Ming 2
Negli ultimi tempi, il dibattito su diritto d'autore e relative
violazioni, assume sempre più spesso le forme di un'altra disputa, quella
sul trattamento della tossicodipendenza. In entrambi i casi, le questioni
in ballo sono sia di natura pratica che etico-morale, ma le seconde - su
cui chiunque può dire la sua - prendono comunque il sopravvento, facendo
dimenticare (o addirittura falsando) cifre, dati, esperienze concrete.
Risultato: non si arriva da nessuna parte, prevalgono le idee preconcette,
mentre sedicenti 'addetti ai lavorì dimostrano di non avere nemmeno una
vaga idea di quello che stanno dicendo. In un caso come nell'altro, gli
sforzi di chi cerca di tenere i piedi per terra, portare esempi reali,
citare precedenti, alla lunga sono votati al fallimento, poiché si sa,
anche una dimostrazione matematica - volendo - può essere soggetta a
valutazioni del tutto extra-scientifiche. A meno che...
A meno che non si intervenga per tempo. Se il mondo della musica è ormai
allo sbando, incapace di inseguire i mutamenti che presto spazzeranno via
la produzione discografica così come le conosciamo, nel campo editoriale
l'isteria non è ancora alle stelle, e forse c'è lo spazio per una
discussione più attenta alla realtà delle cose. In questa prospettiva,
almeno tre esempi emblematici andrebbero presi in considerazione.
1) Due anni fa, all'inizio del 2001, lo scrittore di fantascienza Eric
Flint ha dato vita a un progetto rivoluzionario. Ha convinto il proprio
editore a costruire una biblioteca virtuale, con accesso gratuito, dove
rendere disponibili molti romanzi della casa editrice tuttora in commercio
nelle librerie. Senza nessun tipo di iscrizione a pagamento, è possibile
collegarsi al sito www.baen.com e
scaricare sul proprio computer la versione elettronica di decine di
romanzi, in cinque diversi formati di presentazione.
Operazione suicida, si potrebbe pensare. Ogni testo scaricato è una copia
non venduta, direbbero certi analisti di mercato al soldo delle
multinazionali del disco. Ebbene, qualunque considerazione di carattere 'ideologicò
viene spinta nell'angolo da un dato inconfutabile: la maggior parte degli
autori ha aumentato le vendite da quando i suoi libri sono comparsi sugli
scaffali della biblioteca di Eric Flint. Un esempio su tutti: Mother of
Demons, dello stesso Flint, ha venduto 9694 copie dal settembre '97 a
fine 2000. Nell'anno e mezzo successivo, col testo liberamente scaricabile
dal sito, ha raddoppiato le vendite in libreria: 18500 copie.
Senza dubbio quest'aumento può essere giustificato in molti modi. Il
romanzo in questione è l'esordio di Flint, che nel frattempo è diventato
un autore più noto, dunque più venduto. Atteniamoci dunque al risultato
minimo: la presenza di questo romanzo nella biblioteca gratuita non ha
danneggiato né Flint né l'editore. Lo stesso, se permettete l'autocitazione,
è accaduto a Wu Ming/Luther Blissett. Q, il romanzo che da più
tempo è disponibile gratis in diversi formati sul sito www.wumingfoundation.com,
continua a vendere molto bene nella versione cartacea, e non accenna a
smettere.
Ma c'è di più. Chi sostiene che la disponibilità on-line di un prodotto
culturale (che sia musica, narrativa o altro) nuoce alle vendite di quel
prodotto sotto qualsiasi forma, può sottoporre alla nostra attenzione
grafici disastrosi, senza tuttavia poter dimostrare il nesso fondamentale
tra calo delle vendite e downloads gratuiti del prodotto. Al contrario,
Eric Flint può esibire migliaia di e-mail nelle quali i lettori dei suoi
romanzi affermano: di aver scaricato un suo testo per vedere com'era, di
averne lette alcune pagine a video, di aver visto che ne valeva la
pena, di essere corsi ad acquistarlo in libreria, o di averne regalate in
giro diverse copie, o di averne parlato bene a molti amici (tutta
pubblicità gratis...).
In ogni caso: se qualcuno ha letto il libro grazie alla biblioteca, ma non
ha comprato la copia su carta e non ne ha parlato in giro, resta comunque
uno che senza la biblioteca non avrebbe comprato tout court e che non può
essere considerato un 'dannò per le vendite di Flint. Zero da zero non fa
meno uno.
Inoltre, il passaparola funziona anche al contrario: se uno resta deluso
da un libro per cui ha pagato 15 euro, ne sconsiglierà l'acquisto anche
ad altri. Se invece gli succede con un testo disponibile gratuitamente,
basta che dica: "A me non è piaciuto, ma prova tu stesso...".
Nessun venditore di auto vieta ai potenziali acquirenti un giro di prova
sui suoi modelli, con la scusa che gli consumano le gomme e la benzina. Se
lo facesse, potrebbe chiudere baracca.
Eppure, una strana paura continua a far da scudo contro argomentazioni
tanto banali, e viene da pensare che se il libro fosse nato oggi, si
discuterebbe sulla legittimità di prestarlo a un amico, e le biblioteche
sarebbero considerate un grave attentato alle vendite di un autore e
pertanto messe fuori legge.
Molti, nel mondo discografico, rispondono a esempi come questi sostenendo
che gli editori sono fortunati, perché il libro resta un oggetto unico,
difficilmente riproducibile, a differenza del CD. Senz'altro una
differenza importante, ma non sostanziale. Come dimostra il prossimo
esempio.
2) La casa editrice O'Reilly è specializzata in manuali - cartacei e
on-line - su linguaggi di programmazione, software, nuove tecnologie. Non
è una presenza piccola, sul mercato. Alcuni titoli del catalogo vendono
centinaia di migliaia di copie. Ora, un manuale di questo tipo non è il
classico oggetto che ingenera feticismo: anche stampato su fogli A4 svolge
bene la sua funzione. Eppure, le vendite in libreria dei testi che
sono venduti anche on-line - suscettibili dunque di essere piratati - non
ha subito flessioni.
Secondo O'Reilly, tale 'piraterià fa parte comunque dei rischi del
commercio, tanto quanto il furto in una libreria 'fisica' . Con la
differenza che il furto è più dannoso, perché fa sparire un testo dagli
scaffali, ma non dai registri del negozio, in modo che il libraio finisce
per non riordinarlo, credendo di averlo, e i potenziali compratori
finiscono per non trovarlo (e questo potete segnarlo davvero come 'meno
uno'!)
O'Reilly aggiunge di non avere nulla in contrario se un acquirente di un
suo libro on line lo mette in condivisione tramite Internet. Da che mondo
è mondo, i libri si prestano. Questo tipo di 'pirateria' , al peggio, è
una sorta di tassazione progressiva: colpisce un autore quanto più è
famoso, e lo ricambia rendendolo ancor più famoso. In fondo, per un
qualsiasi artista, l'oscurità è un nemico molto peggiore della
pirateria. Il discorso è diverso se qualcuno mette in vendita un suo
manuale su un altro sito. La cosa sorprendente, però, è che simili
violazioni vengono segnalate dagli stessi lettori. O'Reilly ha una
spiegazione per questo.
Sul sito della casa editrice c'è una sezione particolare: si chiama
Safari Bookshelf. Con dieci dollari al mese è possibile sottoscrivere
questo servizio, che permette una ricerca per parole chiave all'interno di
tutto il catalogo. L'utente può poi inserire i testi che più lo
interessano in uno scaffale virtuale con dimensioni limitate (ci stanno un
certo numero di libri e basta), per una durata di 30 giorni, rinnovabili.
I testi dello scaffale si possono leggere integralmente, nonché stampare.
Nessun
sito pirata offre altrettanto. E gli utenti ritengono che O'Reilly
si sia guadagnato i suoi dieci dollari.
Quest'esperienza dimostra che la 'piraterià si combatte con servizi
competitivi a prezzi competitivi.
Se il futuro ci regalerà libri elettronici talmente straordinari da
mandare in soffitta le versioni su carta, gli 'editorì si potranno sempre
offrire servizi come questo: siti che selezionino i testi migliori dal mare
magnum delle pubblicazioni mondiali, che proponganònuovi autorì ,
che non abbiano un costo eccessivo, che permettano di scaricare copertine
particolari, più altri servizi intertestuali...
Quando simili prodotti vedranno la luce, dobbiamo supporre che anche il
pagamento on-line si sarà evoluto. Che basterà un clic per pagare a un
certo autore due o tre euro per scaricare un suo testo trovato nel sito
del tal editore, più la copertina, più altre notizie, più la rassegna
stampa...Io immagino che i clic sarebbero molti (e metterebbero nelle
tasche degli autori più soldi delle attuali royalties
dieci-per-cento-sul-prezzo-di-copertina.). E certo: innescherebbero scambi
on-line, e passaparola
e quant'altro. Che male c'è?
Se persino il prestigioso Massachussets Institute of Technology si sta
muovendo in questa direzione...
3) Il progetto OpenCourseWare del MIT è un tentativo di riportare
l'Università al suo scopo originario: rendere universale la cultura,
piuttosto che razionarla e rivenderla solo a chi può permettersela.
All'indirizzo http://ocw.mit.edu, fin
dall'ottobre dello scorso anno, sono consultabili i materiali di
insegnamento utilizzati dai docenti di numerosi corsi tenuti al MIT. Nel
giro di quattro o cinque anni il progetto conta di coprire l'intero
spettro dei 2000 corsi che si svolgono nell'istituto.
Da un lato, come detto, il progetto ha una funzione sociale. Senza poter
godere di tutti i servizi riservati agli iscritti, molte persone potranno
accedere al contenuto delle lezioni di uno degli istituti più prestigiosi
del mondo. Tra queste molte persone sono compresi anche i professori di
altre università , che potranno utilizzare quei materiali, nonché
integrarli ulteriormente, in una sorta di 'docenza open source' dalla
quale gli studenti hanno tutto da guadagnare.
In realtà , anche Charles Vest, presidente del MIT, spera di guadagnarci
qualcosa. E non solo prestigio, fama, riconoscimenti. In molti di questi
corsi, infatti, si fa riferimento a testi editi dallo stesso MIT. Vest è
sicuro che le vendite di quei testi registreranno un'impennata. Gli basta
citare, a questo proposito, l'esperienza di un'altra istituzione
accademica, la National Academic Press, che sul sito http://books.nap.edu
ha reso accessibili tutti i 2100 volumi del suo catalogo. Volumi costosi,
come
sono spesso questi manuali (la NAP pubblica per l'Accademia delle
Scienze, l'Istituto di Medicina e l'equivalente americano del nostro CNR).
Volumi in vendita, in un'altra sezione del sito. Ebbene, con 40.000 copie
vendute on-line, lo scorso anno si segnala come il più redditizio per la
NAP. Senza, tuttavia, che si siano registrate flessioni nelle vendite
tramite altri canali (numero verde, librerie, club...).
Questi esempi dimostrano che ci sono alternative praticabili per
salvaguardare i diritti degli utenti, sfruttare al meglio le potenzialità
della Rete e avere bilanci in attivo. Molte delle grandi multinazionali
dell'intrattenimento sono cadute nella trappola repressiva e stanno
pagando le conseguenze di una lotta impari contro la società intera.
Altre possono seguirle sulla stessa strada oppure scoprire che, oltre i
pregiudizi, può sopravvivere un profitto più 'eticò, più responsabile,
ma non per que
sto meno soddisfacente.
5----------
Sempre sulle questioni del copyright, ecco il link a un articolo di Wu
Ming 1 apparso su L'Unità del 6 febbraio u.s. Vi sono esposte nei
dettagli le "strategie" dell'industria discografica e
multimediale per far fronte alla cosiddetta "pirateria".
"Strategie" fatte di espedienti tecnologici, gabelle
intollerabili e manovre repressive che avranno come unico risultato
l'accelerazione della metastasi. L'industria discografica come la
conosciamo oggi non ha più di due anni di vita di fronte a sé. Requiescat
in pacem.
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/finedellemajor.html
6----------
NO COPYRIGHT: LA VITTORIA DEL PUNK
Wu Ming 5
Ricordate cosa scrissero gli occupanti di Piccadilly sul grande edificio
abbandonato di cui si erano impadroniti, prima che arrivasse la polizia?
"Siamo la scritta sul vostro muro".
George Melly, The Writing On The Wall, aprile 1975.
Il punk rock fonda un'estetica che non ha bisogno dell'industria musicale
e nemmeno dell'industria culturale in senso lato per svilupparsi e per
proliferare producendo senso.
La fanzine fotocopiata (il punk è impossibile senza
fotocopiatrice) è preferibile alla rivista patinata.
I gruppi divengono importanti prima di essere messi sotto
contratto, senza aver fatto nemmeno un disco.
Tre accordi, basso, chitarra, batteria sono preferibili all'enfasi tecnica
dei gruppi progressive.
è una scena che vede nella vicinanza tra performer e pubblico una
condizione di appartenenza, e che tende anzi ad abbattere decisamente
quella barriera. Anzi, è una scena in cui propriamente il pubblico non
esiste: chi segue il punk è , almeno in pectore, un punk.
Il verticismo che vede in cima alla piramide la star, poi i suoi
manutengoli, i clienti, le groupies, i fan, il pubblico-che-compra-il
disco e così via è sostituito da una spazio di comunicazione potenziale
che è allo stesso tempo una comunità .
Nel luglio del 1975 l'Inghilterra era in piena recessione. Gli indici di
disoccupazione erano i peggiori dalla Seconda Guerra mondiale. Non
sembrava una crisi congiunturale. Non era quella la percezione della
gente, quantomeno. Era la fase avanzata di un declino che sembrava
inarrestabile.
La produzione calava. La spesa pubblica aveva raggiunto il 45% del reddito
nazionale. Nel novembre 1975 il cancelliere Denis Healey presentò un
pacchetto di tagli alla spesa pubblica per tre miliardi di sterline.
"No Future" non fu lo slogan provocatorio di una band di rock'n
roll con tendenze teppistiche & anarcoidi. Fu una constatazione.
Nel 1975, paradossalmente, l'industria musicale poteva apparire in buona
salute. Aveva reagito all'apertura di mercato indotta dai fenomeni
economici, sociali e culturali dei '60 organizzandosi in corporation
multinazionali che detenevano il 60% del mercato britannico. All'epoca,
il prog rock (Genesis, Yes eccetera) rappresentava ancora l'opzione di chi
seguiva "un certo tipo di musica"; e in quella fase la
globalizzazione era annunciata, ad esempio, da gruppi ultra-pop come gli
Abba. Dopo la vittoria a
l festival dell'Eurovisione nel 1974, il gruppo svedese era diventato
"il" fenomeno, dal punto di vista commerciale. Registravano in
Svezia, vendevano il prodotto a una multinazionale americana e cantavano
in inglese per il mercato europeo.
è interessante anche un altro dato: nel 1975 il 30% delle vendite
complessive sul mercato britannico era rappresentato dalle raccolte
antologiche di una etichetta (K-Tel) che propagandava i prodotti con spot
televisivi.
Come puntualizza John Savage in England's Dreaming riferendosi al
clima del periodo: "Pubblicità televisive, catene di vendita
funzionali, espedienti fiscali, nostalgia istituzionalizzata: tutto ciò
riempiva lo spazio congestionato della cultura pop".
Unica via di fuga, il culto sotterraneo per la musica nera, radicato
principalmente nel nord del paese, ma connesso a preoccupazioni
sull'"oscurità " e l'"invisibilità " che rendevano
problematica una sua affermazione come fenomeno di largo consumo.
Dal punto di vista sociale e economico il biennio '75-'77 rappresenta
dunque una fase di recessione. Dal punto di vista culturale si passò
da una fase di stallo a una rivoluzione.
Vi ricorda qualcosa?
|
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/copyleft_booklet.html
 |
Dall'inserto
"Booklet" della rivista "Il Mucchio Selvaggio", n.
526, dal 25 al 31 marzo 2003:
Il
copyleft spiegato ai bambini
Per sgombrare il campo da alcuni equivoci
di Wu Ming 1
"Ma se chiunque può copiare i vostri libri e fare a meno di
comprarli, voi come campate?" Questa domanda ci viene fatta
sovente, il più delle volte seguita da quest'osservazione: "Ma il
copyright è necessario, bisogna pure tutelare l'autore!".
Questo genere di enunciati rivela quanto fumo e quanta sabbia la cultura
dominante (basata sul principio di proprietà) e l'industria
dell'entertainment siano riuscite a gettare negli occhi del pubblico.
Nei media e negli encefali imperversa l'ideologia confusionista in
materia di diritto d'autore e proprietà intellettuale, anche se il
rinascere dei movimenti e le trasformazioni in corso la stanno mettendo
in crisi. Fa comodo solo ai grassatori e ai parassiti d'ogni sorta far
credere che "copyright" e "diritto d'autore" siano
la stessa cosa, o che la contrapposizione sia tra "diritto
d'autore" e "pirateria". Non è così.
I libri del collettivo Wu Ming sono pubblicati con la seguente dicitura:
"E' consentita la riproduzione, parziale o totale, dell'opera e la
sua diffusione per via telematica a uso personale dei lettori, purché
non a scopo commerciale". Alla base c'è il concetto di "copyleft"
inventato negli anni Ottanta dal "free software movement" di
Richard Stallman e compagnia e ormai diffusosi in tanti settori della
comunicazione e della creatività, dall'informazione scientifica alle
arti.
 |
"Copyleft"
(denso gioco di parole intraducibile in italiano) è una filosofia che
si traduce in diversi tipi di licenze commerciali, la prima delle quali
è stata la GPL [GNU Public License] del software libero, nata per
tutelare quest'ultimo e impedire che qualcuno (Microsoft, per fare un
nome a caso) si impadronisse, privatizzandoli, dei risultati del lavoro
di libere comunità di utenti (per chi non lo sapesse, il software
libero è a "codice-sorgente aperto", il che lo rende
potenzialmente controllabile, modificabile e migliorabile dall'utente,
da solo o in collaborazione con altri).
Se il software libero fosse rimasto semplicemente di dominio pubblico,
prima o poi i rapaci dell'industria ci avrebbero messo sopra le grinfie.
La soluzione fu rivoltare il copyright come un calzino, per
trasformarlo da ostacolo alla libera riproduzione a suprema garanzia di
quest'ultima. In parole povere: io metto il copyright, quindi sono
proprietario di quest'opera, dunque approfitto di questo potere per dire
che con quest'opera potete farci quello che volete, potete copiarla,
diffonderla, modificarla, però non potete impedire a qualcun altro di
farlo, cioè non potete appropriarvene e fermarne la
circolazione, non potete metterci un copyright a vostra volta, perché
ce n'è già uno, appartiene a me, e io vi rompo il culo.
In
concreto: un comune cittadino, se non ha i soldi per comprare un libro
di Wu Ming o non vuole comprarlo a scatola chiusa, può tranquillamente
fotocopiarlo o passarlo in uno scanner con software OCR, o - soluzione
molto più comoda - scaricarlo gratis dal nostro sito
www.wumingfoundation.com. Questa riproduzione non è a fini di lucro, e
noi la autorizziamo. Se invece un editore estero vuole farlo tradurre e
metterlo in commercio nel suo paese, o se un produttore cinematografico
vuole farci il soggetto di un film, in quel caso l'utilizzo è a fini di
lucro, quindi questi signori devono pagare (perché è giusto che ci
"lucriamo" anche noialtri, che il libro l'abbiamo scritto).
Tornando alla domanda iniziale: ma noi non ci perdiamo dei soldi?
La risposta è un secco no. Sempre più esperienze editoriali dimostrano
che la logica "copia piratata = copia non venduta" di logico
non ha proprio niente. Altrimenti non si capirebbe come mai il nostro
romanzo Q, scaricabile gratis ormai da tre anni, sia arrivato
alla dodicesima edizione e abbia superato le duecentomila copie di
venduto.
In realtà, nell'editoria, più un'opera circola e più vende.
Autorevoli esempi ci vengono dagli USA - che pure sono un paese
ossessionato dalla proprietà intellettuale - e li ha esposti con
cristallina precisione il mio collega Wu Ming 2 in un articolo che
potete leggere qui:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap2_IV.html#copyright1
Anche senza scomodare il Massachussetts Institute of Technology, basta
spiegare in soldoni cosa succede coi nostri libri: un utente X si
collega al nostro sito e scarica, mettiamo, 54; lo fa
dall'ufficio o dall'università, e quivi lo stampa, non spendendoci una
lira; lo legge e gli piace; gli piace talmente tanto che decide di
regalarlo, e non può certo fare la figura di regalare una risma di
fogli A4! Indi ragion per cui, va in libreria e lo compra. Una copia
"piratata" = una copia venduta. C'è chi ha scaricato un
nostro libro e, dopo averlo letto, lo ha regalato almeno sei o sette
volte. Una copia "piratata" = più copie vendute. Anche chi
non regala il libro, perché è in bolletta, comunque se gli piace ne
parla in giro e prima o poi qualcuno lo comprerà o farà come descritto
sopra (download-lettura-acquisto-regalo). Se a qualcuno il libro non
piace, almeno non ha speso un centesimo.
In questo modo, come succede per il software libero e per l'Open Source,
si concilia l'esigenza di un giusto compenso per il lavoro svolto da un
autore (o più genericamente di un lavoratore della conoscenza) con la
tutela della riproducibilità dell'opera (vale a dire del suo uso
sociale). Si esalta il diritto d'autore deprimendo il copyright,
alla faccia di chi crede che siano la stessa cosa.
Se la maggior parte degli editori non si è ancora accorta di questa
realtà ed è ancora conservatrice in materia di copyright, è per
questioni più ideologiche che mercantili, ma crediamo non tarderà ad
accorgersene. L'editoria non è a rischio di estinzione come l'industria
fonografica: diverse le logiche, diversi i supporti, diversi i circuiti,
diverso il modo di fruizione, e soprattutto l'editoria non ha ancora
perso la testa, non ha reagito con retate di massa, denunce e processi
alla grande rivoluzione tecnologica che "democratizza"
l'accesso ai mezzi di riproduzione. Fino a qualche anno fa un
masterizzatore di cd lo aveva a disposizione solo una sala d'incisione,
oggi ce l'abbiamo in casa, nel nostro personal computer. Per non parlare
del peer-to-peer etc. Questo è un cambiamento irreversibile, di
fronte al quale tutta la legislazione sulla proprietà intellettuale
diventa obsolescente, va in putrefazione.
Quando il copyright fu introdotto, tre secoli fa, non esisteva alcuna
possibilità di "copia privata" o di "riproduzione non a
fini di lucro", perché solo un editore concorrente aveva accesso
ai macchinari tipografici. Tutti gli altri potevano solo mettersi
l'anima in pace e, se non potevano comprarseli, semplicemente rinunciare
ai libri. Il copyright non era percepito come anti-sociale, era l'arma
di un imprenditore contro un altro, non di un imprenditore contro il
pubblico. Oggi la situazione è drasticamente cambiata, il pubblico non
è più obbligato a mettersi l'anima in pace, ha accesso ai macchinari
(computer, fotocopiatrici etc.) e il copyright è un'arma che spara nel
mucchio.
Ci sarebbe anche un altro discorso da fare, spostandosi ancora più a
monte: noi partiamo dal riconoscimento della genesi sociale del sapere.
Nessuno ha idee che non siano state direttamente o indirettamente
influenzate dalle relazioni sociali che intrattiene, dalla comunità di
cui fa parte etc. e allora se la genesi è sociale anche l'uso deve
rimanere tale. Ma questo è un discorso troppo lungo. Spero di essermi
spiegato bene. Per ulteriori chiarimenti: giap@wumingfoundation.com

Per ulteriori chiarimenti (lista di link a cura di Wu Ming 1 e Wu Ming
2):
|
COPYRIOT
riproduci-diffondi-condividi
I libri, la musica e l’arte nell’
accezione più estesa del termine, sono sottoposti a rigide regole
commerciali, che non permettono la condivisione, la riproduzione e la
diffusione, ma solo la distribuzione a scopi di lucro: riproduci diffondi
condividi: questi dovrebbero essere i princìpi di una cultura libera,
garantita e gratuita per tutti. Tuttavia la SIAE, ad esempio, celandosi
dietro la falsa nomea di mecenate difensore dei diritti d’autore, cerca
d’impedire un’universale divulgazione dei saperi. E’ per questo che
chiamiamo copyriot (copiaribelle) la pratica comune di riappropriazione
del diritto ai saperi. Il copyriot diventa cosi riprodotto e
riproducibile in ogni sua forma; dalle proiezioni pirata di film alle
trasmissioni radio foniche, dalla riproduzione e dalla trasmissione di
libri e materiali culturali, allo scambio e alla masterizzazione di cd e
dvd. Nel vivere quotidianamente una realtà scolastica sempre più
precaria e sottostante alle leggi del mercato grazie alla riforma
morattila, un ruolo centrale, ad esempio rispetto al caro-libri, lo
rivestono proprio le tasse sull’intelligenza. Le aulette autogestite
nelle scuole e gli spazi occupati sono diventati anche luoghi di copyriot
ovvero di socialità, aggregazione e rivendicazione di mezzi per accedere
alla cultura e all’informazione; momenti di reale autoformazione che
nasce dal confronto e dallo scambio. Sotto il nome Copyriot si racchiudono
tutte quelle pratiche di violazione delle leggi che difendono gli elevati
profitti dovuti alle speculazioni sulla cultura. La produzione artistica e
letteraria di musica, libri, film sta diventando sempre più la merce fra
le merci. Copyriot è la risposta, la concretizzazione di un’alternativa
attraverso cui l’autogestione e la condivisione di idee, di produzioni e
spunti liberamente articolati sono veramente di tutti. Non si tratta solo
di spazi fisici che riprendono nuova vita, ma anche dell’abbattimento
delle barriere che tentano di soffocare le contraddizioni che gli studenti
producono quotidianamente a partire dalle scuole.
http://www.abruzzosocialforum.org/mayday/news/1022005305106.html
|
A Stoccolma sfilano i pirati
Un'importante associazione anti-copyright inscena una manifestazione-provocazione, per promuovere il diritto alla copia e l'accesso libero all'informazione
da punto-informatico del 09/05/05
Stoccolma - Erano più di 800 i manifestanti che hanno aderito ad una singolare "chiamata alle armi" di una celebre organizzazione che in Svezia da tempo si batte contro il progressivo irrigidimento della legislazione a favore dei detentori di copyright e contro, a loro dire, i diritti di fruizione delle opere.
Domenica primo maggio a Stoccolma gli 800 si sono radunati (vedi foto in basso) al grido di "libera circolazione dei saperi, diritto alla copia e alla condivisione", tutte divenute parole chiave di una protesta montante in diversi paesi. In questo caso il diritto alla copia è stato fisicamente "ribadito" mediante un massiccio scambio di supporti tra i partecipanti all'evento.
Postato da francio il Monday, 09 May @ 12:27:54 CEST (0 letture)
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Da Sek Ettwo
Giovedi' 12 maggio... ore 18.30...
Giornata di sole, ottima per una scampagnata, ma tutto
sommato e' apparsa ottima anche per un volantinaggio
anti copyright davanti al ricordi Megastore di Via del
Corso a Roma.
Cosi' armati di volantini, di biciclette e cd
autoprodotti un gruppo di circa trenta attivisti ha
deciso di piazzarsi davanti l'ingresso del noto
commerciante di musica.
Molte persone si sono soffermate a scambiare qualche
chiacchera con gli svolantinatori. Abbiamo regalato
decine di cd autoprodotti (dalla techno al blues),
riscuotendo un'interessante successo. Quasi tutti i
clienti dello Store dichiarano di
condividere/scaricare musica online, ritenendo
eccessivi i costi imposti dal mercato.
Insomma (quasi)tutti spirateggiano, con piu' o meno
consapevolezza, tutti apprezzano i regali e tutti
conoscono il file sharing... la pirateria fa passi da
gigante........
Una medesimo distribuzione di materiale e' stata fatta
all'Universita' di Roma Tre, facolta' di Lettere nella
mattinata.
Sabato e domenica, presso gli spazi di L38squat e ZK
ci sara' un festival di gruppi indipendenti sui
medesimi contenuti
(http://italy.indymedia.org/news/2005/05/790537.php).
Segue il testo del volantino distribuito.
----------------------------------------------
La Pirateria libera!
Il copyright contrasta la libera circolazione del
sapere.
Informazioni e musica, arte in genere, libri come
canzoni, teatro e cinema: le mille facce
dell'espressione e della cultura sono quasi sempre
sottomesse al guadagno di pochi, grassi, ricchi
editori, case discografiche, manager, produttori e
speculatori che si arricchiscono sulle spalle
dell'artista il quale a sua volta, nel caso delle
star, si arricchisce sulle spalle di chi ama l'arte e
compra cd a prezzi esasperati.
E' un problema che sembra avere una sola ed unica
soluzione: abolire il copyright, allontanare il
business dalla cultura, alimentare la libera
circolazione del sapere.
La tecnologia oggi ci da una mano e milioni di persone
in tutto il mondo gia' lo fanno; in quale casa non
esiste almeno un cd masterizzato? Chi non ha mai
fotocopiato un libro? E' la cosa piu' normale del
mondo, violare il copyright, difendersi spontaneamente
dai costi eccessivi imposti dai sostenitori della
propriet? delle idee.
Data questa "naturalezza" che senso ha dunque il
copyright? Non e' forse spontaneo passarsi
informazioni, diffondere cultura, condividere il
sapere?
Siamo qui per ribadire questo. Per non sottomettersi
alle leggi delle major e delle multinazionali, per
rilanciare l'indipendenza della musica e
dell'espressione in genere, dal business e dalla
mercificazione della cultura.
Monopolio delle ricchezze, monopolio dei mezzi di
informazione, monopolio dei brevetti: questo e' il
copyright. Assicurare tramite leggi e repressione
guadagni sempre maggiori a chi sull'arte specula.
"...sarebbe una possibilita' incommensurabilmente
fruttuosa, per un numero qualsiasi di persone, di
usare nello stesso tempo le cose astratte (le idee, la
musica, le informazioni) in un qualsiasi numero di
luoghi diversi". (B.R. Tuker)
E' semplice. Qualcuno, poiche' aveva i mezzi di
produzione, ha deciso di legittimare la proprieta'
delle idee. In un mondo in cui i potenti si arrogano
il diritto di possedere tutto, oggi privatizzano anche
i pensieri, i progetti, i suoni, i sogni. Ma le idee
non possono avere padroni. Non possono essere uno
strumento di guadagno, perche' significa imbrigliarle
in una logica del tutto opposta alla loro natura.
Un'idea nasce per essere espressa, diffusa,
confrontata, vissuta, non venduta. Le idee
appartengono a tutto il mondo e per il mondo devono
circolare liberamente senza nessun prezzo e nessun
diritto d'autore, lasciando la propriet? intellettuale
a tristi e triti artisti, disposti a imbavagliare la
creativit? umana.
Loro arriverebbero a privatizzare anche ogni sospiro
che emettiamo, noi arriveremmo a un mondo senza
denari...
Dalla parte dei Pirati!
------------------------------------------------
www.tmcrew.org/laurentinokkupato/
www.tmcrew.org/zk
________________,,,,...;;;;:::::!!!!|||||>>>sktt0|
"La specializzazione e' roba da insetti,
l'uomo dovrebbe essere capace di fare
qualunque cosa!!!"
|
Wu Ming 1
Meglio del gingko biloba. Lottare contro il copyright fa
bene alla memoria
Se nel futuro remoto saranno all'opera archeologi, siederanno inquieti e
perplessi di fronte alle poche vestigia dell'era del capitalismo come
sull'orlo di un buco nero, con l'antimateria che sfiora la punta delle
scarpe e fa rabbrividire di solletico. Già, perché il nostro tempo
rischia di diventare niente più che un enigma, come Atlantide, come Mu,
come la civiltà che dipinse le piste di Nazca. La formazione sociale
che dalla notte dei tempi ha prodotto la maggiore quantità di
informazioni rischia di essere tra le meno conosciute nei secoli a
venire. Le uniche "testimonianze" che siamo più che sicuri di
tramandare sono scorie nucleari, rifiuti tossici e rovine. Ma come, e la
letteratura, la scienza, il cinema, la musica...?
I problemi, a una prima occhiata, sono tre:
 | la deperibilità dei materiali (e quindi dei supporti
dell'informazione);
|
 | l'obsolescenza delle tecnologie (parte della generale obsolescenza
pianificata delle merci);
|
 | la proprietà intellettuale, per difendere la quale si impone
un'informazione "a numero chiuso" che non è consentito
copiare. I monaci che durante il medioevo copiarono e salvarono gli
antichi libri, oggi sarebbero perseguibili a norma di legge. |
Diversi romanzi e racconti di science fiction descrivono il
grande problema di un futuro senza passato. Il più volte citato
racconto di Robert Silverberg Breckenridge and the Continuum1
ha in comune con The Telling, l'ultimo romanzo di Ursula K. Le
Guin2 l'idea che il problema
si possa risolvere soltanto narrando e copiando, copiando e narrando,
facendo circolare le storie, rimuovendo gli ostacoli a questa
circolazione.
Le Guin, nata nel 1929, è la grande decana della s-f libertaria,
creatrice del famoso ciclo dell'Ekumene. Anche The Telling fa
parte del ciclo ma, come tutti gli altri episodi, si può leggere anche
da solo. Sul pianeta Aka vige la dittatura dello
"Stato-Azienda", una sintesi di fanatismo neoliberista e
"polpottismo", che insediandosi ha cercato di distruggere
tutte le storie e i miti pre-esistenti. Le comunità, tra cui quella
rangmana della città di Okzat-Ozkat, resistono e ricorrono a mille
sotterfugi pur di continuare a raccontare storie. "The
Telling", la Narrazione, è per l'appunto il nome di questa
religione del raccontare, priva di entità soprannaturali, con elementi
affini al taoismo e allo zen. "Dharma senza karma" è una
delle descrizioni approssimative che ne dà la protagonista, la
terrestre Sutty, inviata dall'Ekumene per studiare questa cultura di
resistenza e, copiandone i testi, salvarla dall'estinzione.
Ad un certo punto un maz (sciamano-narratore) afferma che non solo la
guerra e lo sfruttamento ma anche l'inquinamento e l'ecocidio sono
conseguenze di un grave disturbo nella trasmissione delle storie, di
un'interferenza causata dalla logica capitalistica:
Senza la narrazione, le rocce, le piante e gli animali vanno avanti
benissimo. Ma le persone no. Le persone vagano smarrite. Non
distinguono una montagna dal riflesso della montagna in una
pozzanghera. Non distinguono un sentiero da un dirupo. Si fanno male.
Si arrabbiano e si fanno male a vicenda. Vogliono troppo. Trascurano
le cose. Le coltivazioni non vengono seminate. Ne vengono seminate
troppe. I fiumi si sporcano di merda. La terra è sporca di veleno. La
gente mangia cibo avvelenato. Tutto è confuso. Tutti stanno male.
Nessuno si prende cura della gente malata, delle cose malate. Ma
questo è grave, gravissimo, no? Perché badare alle cose è il nostro
compito, no? Badare alle cose, badare a noi stessi. Chi altri dovrebbe
farlo? Gli alberi? I fiumi? Gli animali? Quelli fanno solo ciò che
sono. Ma noi siamo qui, e dobbiamo imparare in che modo starci, come
fare le cose, come mandare avanti le cose nel modo giusto. Il resto
del mondo sa il fatto suo. Noi sappiamo soltanto come imparare. Come
studiare, come ascoltare, come parlare, come narrare. Se non
raccontiamo il mondo, noi non conosciamo il mondo. Ci perdiamo nel
mondo, moriamo. Ma dobbiamo raccontarlo bene, in modo veritiero.
Chiaro? Dobbiamo prenderci cura di esso e raccontarlo com'è davvero.
Ecco cos'è andato storto. Laggiù, laggiù nella regione di Dovza
[...] Ingannare la gente per denaro! Arricchirsi con le bugie,
tiranneggiare la gente! Non c'è da meravigliarsi se la polizia ha
preso il potere!
Il capitalismo disturba la trasmissione delle storie. E' un modo di
produzione terrorizzato dal "passatismo" e dunque ammalato di
futurofobia: in nome dell'eterno presente della produzione e del
consumo, pregiudica la trasmissione della cultura e della memoria ai
nostri discendenti (e nel mentre ne mette in pericolo la salute e la
vita stessa).
Viviamo un nuovo incendio della biblioteca di Alessandria, silenzioso e
invisibile. I nastri si graffiano e smagnetizzano, le pellicole
sbiadiscono, le memorie elettroniche si deteriorano, la carta si
sbriciola. Tra i "testimoni" che resistono e sopravvivono,
molti rimangono muti perché abbiamo perso le tecnologie utili a
interrogarli.
Dal paleolitico in avanti è aumentata sempre più la fragilità e la
vulnerabilità dei supporti. I disegni di Altamira e Lascaux, affidati
alla nuda roccia, sono sopravvissuti per quindicimila anni, per essere
rinvenuti - rispettivamente - nel 1879 e nel 1940 (e rischiare oggi, nel
caso di Lascaux, di essere cancellati da un fungo portato dalle orde di
turisti). Il Codice di Hammurabi, inciso su una stele di diorite circa
quattromila anni fa, è stato trovato e tradotto nel 1901. La stele di
Rosetta, incisa su basalto nel 196 a.C., è stata tradotta da
Champollion più di duemila anni dopo. Le tavolette d'argilla incise in
cuneiforme, diffuse in Mesopotamia dal III° al I° secolo a.C., sono
ancora leggibili. Molti documenti scritti su papiro (fino al IV° secolo
d.C.) e su pergamena sono consumati ma in genere leggibili e
restaurabili (e in ogni caso ci sono). La carta utilizzata fino al 1870
circa è ingiallita ma integra.
Al contrario, la carta di cellulosa fabbricata dal tardo Ottocento fino
a oggi viene consumata dagli acidi che contiene3.
Si è calcolato che sia già andato distrutto il 25% dei libri post-1870
presenti nelle biblioteche di tutto il mondo. Alcuni cilindri di cera
per fonografo, benché logori, sarebbero ancora ascoltabili, ma
scarseggiano i fonografi. I dischi in vinile si riempiono di graffi e
piccoli buchi, cominciano a "friggere" e "saltare",
ascoltandoli li si uccide. I film su pellicola (acetato di cellulosa)
sono fragilissimi e vanno restaurati sempre più spesso. Il suono dei
nastri magnetici si fa via via più sordo e ovattato, e spesso non c'è
più modo di leggerli, come accade alle vecchie cartucce Stereo 8.
L'immagine dei VHS si fa sempre più sbiadita.
E il digitale?
Lo sviluppo vorticoso dell'hardware e del software si
brucia tutti i ponti alle spalle. Abbiamo già perso una sterminata
quantità di dati salvati (per modo di dire) su floppy da 5,25 pollici,
perché abbiamo rottamato i computer che potevano leggerli. Ora tocca ai
floppy da 3,5. Inoltre, sono state spinte all'estinzione numerose specie
di software (chi è più in grado di leggere un testo scritto
in Wordstar?).
La diffusione di software libero, dal codice-sorgente aperto,
può essere una soluzione: limita l'obsolescenza pianificata dell'hardware
[il suo fine è girare bene su qualunque macchina, non farti comprare un
computer nuovo] e tutela la "biodiversità" [si basa sulla
libera collaborazione, non c'è interesse a fare piazza pulita dei
"perdenti"]. Rimane però la deperibilità dei supporti
magnetici e magneto-ottici. Anche i dati immagazzinati su un cd o cd-rom
non rimangono al sicuro per molto tempo: sempre più spesso i cd
cominciano a "saltare" e a "incantarsi" come
facevano i dischi in vinile (anche se la dinamica è diversa). E'
questione di tempo prima che succeda la stessa cosa ai dvd.
Oggi si fanno esperimenti su batteri usati come "biblioteche",
documenti salvati su filamenti di DNA (versione nanotecnologica dei
quipos incaici). Insomma, stiamo passando al supporto più deperibile di
tutti i tempi, per giunta impossibile da decifrare - e persino da
riconoscere come tale - da chi non disponga della necessaria tecnologia.
Una nuova frontiera dell'informazione chiusa.
Di fronte a quest'ordine di problemi, che dovremmo fare? Tornare a
incidere i messaggi sulla pietra? Sul pianeta non resterebbe una sola
montagna.
No, l'unica è fare come gli amanuensi d'antan: copiare,
copiare, copiare. In gergo tecnico si chiama "migrazione" (nel
caso di dati spostati continuamente da un computer a uno più nuovo) o
"refreshing" (nel caso di dati spostati da un supporto vecchio
a uno nuovo: dall'analogico al digitale etc.). A pensarci, è sempre
successo: "migrazione" di un testo da un libro logoro a un
libro nuovo, "refreshing" di un documento dalla scrittura
umana alla stampa. Dobbiamo continuare a farlo. Ma il capitale fa di
tutto per metterci i bastoni tra le ruote. Qui rientra il problema del copyright,
della proprietà intellettuale, come ha spiegato Paolo Attivissimo:
L'avvento dei sistemi anticopia permette di creare supporti
revocabili. Consente al discografico e al magnate di Hollywood di
definire una data di scadenza, di limitare l'esecuzione a determinate
persone o a determinati luoghi o apparecchi. Sono cose che già
avvengono adesso, per esempio, con i dischi promozionali degli Oasis
allegati ai giornali, con i codici regionali dei DVD e con i film e
brani musicali scaricati dai siti legali come Movielink.com (che fra
l'altro è accessibile solo dagli USA, come volevasi dimostrare).
In sostanza, la diffusione dei sistemi anticopia... cambia
drammaticamente le carte in tavola. I brani digitali protetti possono
essere disattivati a distanza e hanno comunque una data di scadenza
intrinseca: infatti dipendono da formati proprietari, da un sistema
operativo specifico e da un hardware specifico, che fra pochi
anni saranno obsoleti e non più disponibili, e non possono essere
trasferiti ad altro supporto (se non ricorrendo alla pirateria), perché
sono cifrati. La cultura diventa revocabile.
Chissà come saranno contenti gli storici del futuro, quando non
potranno studiare la musica, i film e i libri digitali del nostro
secolo perché non sarà possibile sproteggerli: i supporti
esisteranno ancora, e i singoli bit saranno perfettamente
leggibili, ma non ci sarà modo di decodificarli, perché si saranno
perse le chiavi di accesso. (Paolo Attivissimo, Pirati?
No, custodi della cultura, www.apogeonline.com, 17 dicembre
2002).
Attivissimo prosegue e conclude:
...qualcuno, grazie al cielo, si sta adoperando per preservare la
nostra cultura e tramandarla ai posteri nonostante i tentativi di
imbrigliarla. L'ironia della situazione è che questo
"qualcuno" non è un'istituzione, una biblioteca o un ente
governativo: è un pirata informatico.
Infatti le copie pirata di film e DVD non contengono codici di
protezione, e usano formati non proprietari per consentirne la massima
diffusione. Quei formati sono indipendenti dal sistema operativo e
sono pienamente documentati, per cui per le generazioni future sarà
banale ricreare la tecnologia per leggerli. Lo stesso non si può dire
per i formati benedetti dai grandi gruppi dell'industria del disco e
del cinema, che ambiscono anche a blindare l'hardware [...]
Come gli amanuensi nel medioevo, questi mastri masterizzatori creano
copie delle opere, che così non andranno perse per colpa della miopia
collettiva di un'epoca. Certo non è questo lo scopo primario delle
loro duplicazioni, ma è un gradevole effetto collaterale da non
sottovalutare (Ibidem).
In parole ancor più povere: il copyright è nemico (e la
"pirateria" è amica) del futuro, della migrazione, del refreshing.
A voler essere pignoli, Attivissimo si pone il problema di un antidoto
all'obsolescenza delle tecnologie e dei formati proprietari, ma non
quello della deperibilità dei supporti. Non siamo tanto sicuri che nel
futuro "i supporti esisteranno ancora, e i singoli bit
saranno perfettamente leggibili". Tuttavia, l'antidoto (migrazione
e refreshing grazie alla "pirateria") funziona anche
per quest'altro veleno. Continuando a raccontare, tutto rimane in
movimento e ci si protende oltre l'eterno presente.
Chiaramente, al mondo non c'è solo il problema della testimonianza e
della trasmissione della memoria: c'è anche un'intera vita da
riconquistare, per noi e per le persone di cui siamo gli antenati. Per
questo compito, la critica pratica alla proprietà intellettuale è
condizione necessaria ma non sufficiente, perché il problema è la
proprietà tout court. Siamo talmente condizionati dal No
Future da non capire che la terra e la Terra non sono proprietà di
nessuno, al contrario, ci sono state "concesse in usufrutto"
dai posteri, dei quali tendiamo a dimenticarci. Un giorno saranno qui, e
noi non ci saremo più. Dovremmo riconsegnare loro la terra in
condizioni migliori di come l'abbiamo trovata, e invece potrebbero
ereditarla piena zeppa di scorie, miasmi e veleni. Se proprio non
riusciamo a invertire la rotta, cerchiamo almeno di lasciar loro
testimonianze, così potranno studiarci, condurre ricerche sul perché
eravamo così stronzi... e arrivare a qualche conclusione che a noi
sfugge.
Bologna, 18 ottobre 2003
Note
1. Cfr. Wu Ming, Giap! Storie per
attraversare il deserto, Einaudi, Torino 2003.
2. In italiano La salvezza di Aka,
Mondadori 2002 e "Urania" n. 1471, 30/07/2003.
3. Da qui in avanti cfr. Tullio Gregory e
Marcello Morelli (a cura di), L'eclisse delle memorie, Laterza,
Roma-Bari, 1994, e Alexander Stille, La memoria del futuro. Come sta
cambiando la nostra idea del passato, Mondadori, Milano 2003.
OMNIA
SUNT COMMUNIA. Indice degli scritti di Wu Ming su copyright,
proprietà intellettuale e"pirateria"
|
SCARICHIAMOLI!
L'accesso pubblico al sapere e la libera fruizione delle opere
dell'ingegno rappresentano un minimo comune denominatore per movimenti
tra loro diversi ( Open Access [1], Open Content
[2], Free Software [3] / Open Source
[4], Web Accessibility [5]), che si occupano di
problemi diversi, ma che trovano una base condivisa nello sviluppo
"aperto" della Società della Conoscenza.
In armonia con i principi promossi da questi movimenti, vorremmo che le opere
dell'ingegno finanziate (a fondo perduto) con soldi pubblici e
le opere di pubblico dominio [6] fossero:
 | pubblicamente accessibili (facilmente reperibili
su Internet);
|
 | universalmente accessibili (accessibili anche per
i diversamente abili);
|
 | liberamente fruibili (non occorre pagare per:
leggere un testo, vedere un'immagine, ascoltare una musica);
|
 | legalmente fruibili (l'utente è certo di poter
scaricare un file nella piena legalità);
|
 | ottimamente fruibili (qualità digitale idonea a
garantire una buona visualizzazione e/o un buon ascolto). |
Inoltre, vorremmo che le opere dell'ingegno finanziate (a fondo
perduto) con soldi pubblici fossero:
 | persistentemente non soggette a tutti o ad alcuni diritti
di utilizzazione economica [7] (l'autore rilascia la
propria opera con licenza open content persistente [8] o con licenza
libera copyleft [9]: innanzitutto, ciò consente a chiunque di
riprodurre l'opera e di metterla in circolazione);
|
 | persistentemente non soggette a diritti connessi
[10] all'esercizio del diritto d'autore (altri diritti esclusivi che
impediscono, innanzitutto, di riprodurre l'opera e di metterla in
circolazione). |
Alcuni esempi:
 | i ricercatori che producono letteratura scientifica grazie a
finanziamenti pubblici, anziché cedere gratuitamente i propri
diritti di utilizzazione economica alle multinazionali dell'editoria
(ed essere costretti a pagare gli alti prezzi delle riviste
scientifiche per accedere ai risultati della propria ricerca),
dovrebbero rilasciare le proprie opere con licenze open content e
metterle a disposizione di tutti, in archivi aperti;
|
 | le pubbliche amministrazioni, anziché spendere i soldi dei
contribuenti per pagare licenze alle multinazionali del software (e
royalties per eventuali modifiche al software) dovrebbero utilizzare
software libero, ottenere il supporto di fornitori locali (attivando
un circolo virtuoso di investimenti e valorizzazione delle risorse
economiche e culturali locali), promuovere la riusabilità dei
programmi e garantire che questi ultimi siano privi di elementi che
consentano la trasmissione indesiderata di dati personali a terzi
(tale garanzia è possibile solo per sistemi il cui codice sorgente
sia liberamente accessibile da parte dello Stato e di tutti i
cittadini);
|
 | gli archivi fotografici dei musei finanziati con soldi
pubblici (sono la stragrande maggioranza) dovrebbero essere
consultabili per via telematica, e le fotografie delle opere di
pubblico dominio presenti nei suddetti archivi dovrebbero essere
liberamente riproducibili ed utilizzabili da tutti, senza la
necessità di particolari autorizzazioni;
|
 | gli audiovisivi contenuti negli archivi della RAI, prodotti
grazie a finanziamenti pubblici, dovrebbero essere a disposizione di
tutti gli abbonati RAI, senza la necessità di adempiere ad alcun
ulteriore obbligo pecuniario;
|
 | le registrazioni dei concerti di musica classica eseguiti al
Quirinale (stiamo parlando di opere di pubblico dominio) dovrebbero
essere archiviate e messe a disposizione di tutti i cittadini della
Repubblica. |
La nostra campagna sta ricevendo un grande sostegno sia da parte della
società civile sia da parte del "popolo della rete": essa non
si limita ad un ristretto dialogo tra "addetti ai lavori", si
tratta, invece, di un esempio di democrazia partecipativa fondata su un
utilizzo intelligente di Internet e sulle inesauribili energie di una
rete che, consapevole delle proprie possibilità, esclama: Scarichiamoli!.
[1] Definition
of Open Access Publication
[2] Learn
More about Creative Commons
[3] The
Free Software Definition
[4] The
Open Source Definition
[5] Web
Accessibility Initiative (WAI)
[6] Opere dell'ingegno su cui non sono presenti né diritti di
utilizzazione economica né diritti connessi; il diritto alla
paternità dell'opera e il diritto all'integrità
dell'opera (diritti morali d'autore) sono,
invece, diritti inalienabili, imprescrittibili
e irrinunciabili: benché un'opera sia diventata di
pubblico dominio (a causa dell'estinzione dei diritti di utilizzazione
economica e dei diritti connessi), l'autore o i suoi eredi (nel caso in
cui l'autore sia deceduto) continuano ad esercitare in modo esclusivo i
due diritti morali sopraindicati.
[7] Diritto di pubblicare l'opera;
diritto di utilizzare economicamente l'opera;
diritto di riprodurre l'opera;
diritto di trascrivere l'opera;
diritto di eseguire, rappresentare o recitare in pubblico l'opera;
diritto di comunicare al pubblico l'opera;
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Relativamente al software:
diritto di effettuare la riproduzione, permanente o temporanea, totale o
parziale, del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo o in
qualsiasi forma;
diritto di effettuare la traduzione, l'adattamento, la trasformazione e
ogni altra modificazione del programma per elaboratore, nonché la
riproduzione dell'opera che ne risulti;
diritto di effettuare qualsiasi forma di distribuzione al pubblico,
compresa la locazione, del programma per elaboratore o di copie dello
stesso.
[8] Licenze per opere dell'ingegno diverse dal software e dalla
documentazione relativa al software, in base alle quali nessun diritto
di utilizzazione economica è riservato, oppure uno o più diritti di
utilizzazione economica sono riservati. Le opere derivate dall'opera
originaria, devono rispettare gli stessi termini e le stesse condizioni
della licenza avente ad oggetto l'opera originaria.
[9] Licenze per il software libero e licenze per la documentazione
relativa al software libero in base alle quali nessun diritto di
utilizzazione economica è riservato. I programmi per elaboratore
derivati dal programma originario, devono rispettare gli stessi termini
e le stesse condizioni della licenza avente ad oggetto il programma
originario.
[10] Diritti del produttore di fonogrammi, diritti dei produttori di
opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in
movimento, diritti relativi all'emissione radiofonica e televisiva,
diritti degli artisti interpreti e degli artisti esecutori, diritti
relativi ad opere pubblicate o comunicate al pubblico per la prima volta
successivamente alla estinzione dei diritti patrimoniali d'autore,
diritti relativi ad edizioni critiche e scientifiche di opere di
pubblico dominio, diritti relativi a bozzetti di scene teatrali, diritti
relativi alle fotografie, diritti relativi alla corrispondenza
epistolare, diritti relativi al ritratto, diritti relativi ai progetti
di lavori dell'ingegneria, altri diritti indicati dalla legge 22 aprile
1941, n. 633.
(dalla
Home page http://www.scarichiamoli.org/main.php)
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CHI SONO I CRIMINALI ?
DATI NIELSEN DICEMBRE 2004: CRESCONO GLI ACCESSI AD INTERNET
Più di una famiglia italiana su due ha un Personal Computer in casa,
ma non tutti sono connessi a Internet.
Sono i dati sulla diffusione di Internet e dell'ICT in Italia, secondo
il rapporto aggiornato al giugno 2004 dell'Osservatorio Permanente della
Società dell'Informazione, realizzato dal dipartimento per l'Innovazione
e le Tecnologie e Federcomin, con la collaborazione di due istituti di
ricerca come IDC e Nielsen Media Research.
Secondo l'osservatorio, quasi 27 milioni di italiani (pari al 47 per
cento della popolazione) hanno accesso a Internet da casa.
Il 56 per cento delle famiglie italiane dispone di un Pc domestico, in
linea con gli altri Paesi dell'Europa centrale, ma abbastanza lontano dal
grado di penetrazione del Pc nelle famiglie del Nord Europa (la Svezia ha
una penetrazione di Personal computer nelle famiglie pari al 72 per
cento).
Di tutti i Pc domestici, l'81 per cento è collegato a Internet, mentre
le famiglie con accesso a Internet, sul totale delle famiglie italiane,
sono pari a circa il 42 per cento, con un incremento del 10 per cento
negli ultimi dodici mesi.
Di queste, il 33 per cento ha una connessione a banda larga; un dato
che, per l'Osservatorio, è il secondo tasso di crescita in Europa, dopo
il 13 per cento della Germania.
Sul fronte delle imprese, sono 100.000 quelle che operano nel comparto
della Information and Communication Technology (ICT), mentre gli addetti
occupati ammontano in Italia al 4,4 per cento dell'occupazione totale,
ancora sotto la media europea
ITALIA, PRIMO PAESE PIRATA IN EUROPA (DATI GENNAIO 2005)
"In Italia oltre 4 milioni di persone scaricano da Internet film e
otto milioni scaricano musica".
E' quanto ha dichiarato il capitano Gaetano CUTARELLI della Guardia di
Finanza al "Simposio di Cinema", dedicato alla pirateria nel
corso della manifestazione "Capri - Hollywwod", in programma
fino al 2 gennaio nell'isola.
"Siamo il primo paese d'Europa ad alimentare il mercato pirata, ma
ricordiamo che in nazioni come Vietnam e Bolivia esiste solo il mercato
illegale.
La prevenzione è importante, basti pensare che il solo annuncio della
Legge URBANI ha fatto calare del 30% la pirateria via Internet.
QUESTI DATI CONFERMANO CHE CON L'AVANZARE DI INTERNET LE LEGGI ATTUALI,
A TUTELA DELLA PROPRIETA' INTELLETTUALE, DIVENGONO OBSOLETE. PRESTO AVREMO
UN INTERO POPOLO ITALIANO CRIMINALE .
Comitato per la salvaguardia della Cultura Europea
pubblicato su comunicati.net
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-----Messaggio originale-----
Da: costanzodagostino@libero.it [mailto:costanzodagostino@libero.it]
Inviato: sabato 11 febbraio 2006 18.26
A: adramelek
Oggetto: LA SIAE E' ALLA FRUTTA
FRANCIA: SACEM, NO AL DOWNLOAD LIBERO
La società di autori francese SACEM ha lanciato una raccolta di firme
sul proprio sito (www.sacem.fr) per “difendere l’esistenza degli
autori”, minacciata dalla recente approvazione, da parte dell’Assemblea
nazionale, di un emendamento al progetto di legge sulla riforma del
diritto d’autore.
Il provvedimento legalizza il download da Internet di file contenenti
opere dell’ingegno, previo pagamento di una royalty mensile sotto forma
di abbonamento.
Secondo la SACEM si tratta di una vera e propria “espropriazione”
dei diritti degli autori che porrebbe il Paese al di fuori delle regole
internazionali e metterebbe a rischio l’esistenza dei siti di download
legale e dei produttori indipendenti.
A tal proposito, a Cannes in occasione del MIDEM, il Presidente della
SIAE, Avv. Giorgio ASSUMMA, ha affermato che "la soluzione di
forfetizzare i diritti degli autori rendendo libera l'utilizzazione delle
loro opere viola il principio accolto dall’ordinamento giuridico
italiano e da altri ordinamenti europei, secondo il quale l’autore deve
poter avere un compenso ogni qual volta e in ogni forma la sua creazione
viene utilizzata, perché quel compenso rappresenta il salario del suo
lavoro”.
“La SIAE - ha concluso ASSUMMA - prenderà una posizione dura,
univoca e decisa, affinché ogni esproprio proposto ai danni degli autori
venga impedito”.
NOTA: MENTRE IL MONDO SI MUOVE SUI RITMI DELLA NORMALE EVOLUZIONE , LA
SIAE SI AGGRAPPA DISPERATAMENTE ALLA SPERANZA DI VEDERE PRESERVATI I
PROPRI PRIVILEGI.FORSE ANCORA NON SI RENDE CONTO DEI TRAGUARDI RAGGIUNTI
DALLE NUOVE TECNOLOGIE E DALLE MODERNE FORME DI PENSIERO SOCIALE A CUI
SONO ACCOMPAGNATE.
Comitato per la salvaguardia della Cultura Europea
pubblicato su indy e su comunicati
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Francia, legale l'uso del P2P
Una sentenza francese crea un precedente inaudito in Europa: sfruttare a fini personali le piattaforme di scambio non può essere considerato un reato. Clamore su tutta la rete. L'industria: ricorreremo in appello
da punto-informatico.it del 09.02.2006
E' la Francia ancora una volta a dare grattacapi, e che grattacapi!, alle major che si battono contro gli abusi sui sistemi di file sharing. Un tribunale parigino ha infatti emesso una sentenza senza precedenti, che in buona sostanza afferma la liceità dell'uso del P2P per scaricare e condividere file protetti dal diritto d'autore a fini personali, ovvero in assenza di finalità commerciali e di lucro.
La notizia della sentenza, che sta facendo rapidamente il giro della rete, si innesca in un momento critico per l'approccio francese al P2P, laddove un numero sempre crescente di parlamentari e commentatori transalpini appare disposto a consentire l'uso personale del P2P.
Come racconta l'associazione Audionautes.net, il caso è quello di un utente accusato di aver scaricato e posto in condivisione moltissimi brani musicali, si parla di 1.200 pezzi, tutti protetti dal diritto d'autore gestito dalla Société Civile de Producteurs Phonographique.
Stando alla cronaca del procedimento, i sistemi di rilevazione dell'uso del P2P della Societé nel 2004 avevano individuato l'IP del computer di "Antoine", attivo tramite il celebre software Kazaa, all'epoca uno dei più utilizzati in senso assoluto dagli utenti del file sharing.
Il Tribunal de Grande Instance di Parigi, giudicando il caso, ha stabilito che "l'imputato faceva uso di questi file a titolo personale, e quindi un uso legale". Secondo i giudici, la normativa francese stabilisce che i cittadini "facciano un uso corretto dei materiali protetti fino a quando questo uso non è collettivo o non è a finalità di lucro".
La difesa di Antoine l'hanno condotta proprio gli esperti dell'Associazione Audionates che ora mettono a disposizione il pdf della sentenza (in francese) e sottolineano come sia la prima volta che un giudice francese assolve sia il download di brani che la loro condivisione. In passato, altri casi si erano risolti con assoluzione ma soltanto per quanto riguardava il download. Come si ricorderà, sulla questione della condivisione anche in Canada c'è un dibattito aperto: sebbene la normativa sia ancora poco chiara, il semplice scaricamento di opere protette ad uso personale non viene sanzionato.
Va detto che la Societé ha già annunciato che si appellerà contro la sentenza. Ma il presidente dell'associazione Audionates, Aziz Ridouan, si è detto fiducioso sugli esiti dell'appello in quanto la sentenza appare in linea con l'orientamento già espresso in casi precedenti.
Il tutto, naturalmente, potrebbe presto trovare una soluzione normativa, in quanto, come accennato, il Parlamento francese sta discutendo proprio in queste settimane alcune proposte che potrebbero portare ad una legalizzazione dell'uso a fini personali del peer-to-peer anche quando si tratta di scambiare materiali protetti dal diritto d'autore.
Postato il Giovedì, 09 febbraio @ 10:12:34 CET di francio
http://linux-club.org/modules.php?name=News&file=article&sid=756
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http://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/scienza_e_tecnologia/p2p2/tedprig/tedprig.htm
Due anni anche per i downloader che non ne fanno commercio
P2p, pugno duro in Germania
fino a cinque anni di carcere
Ma la Francia corre in soccorso degli utenti e attacca Apple
Il fatturato dei file a pagamento al 6% di quello mondiale
di GAIA GIULIANI
giovani e internet
ROMA - Vedere sul proprio schermo tv un film scaricato da internet sarà uguale a due anni di galera. Dal primo gennaio del prossimo anno. Dove? In Germania, paese che ha appena varato una tra le leggi antipirateria più dure di tutta l'Europa. Se poi il reo fosse colpevole della successiva commercializzazione dei film, o dei file audiovisivi che ha "rapinato" da internet, scatterebbero cinque anni di detenzione per un solo titolo. Perché ricorrere a sanzioni così dure? La Germania è il paese europeo che conta il più alto numero di utenti internet, tra i più competenti e attivi d'Europa: l'anno scorso hanno scaricato la bellezza di 20 milioni di film, e - conti alla mano - fatto perdere 1,7 miliardi di euro all'industria musicale tedesca copiando l'equivalente di 439 milioni di cd.
Il buffo è che molti di questi "pirati" nella vita privata sono adolescenti, frequentano le scuole superiori e spesso riescono ad arruolare nella loro "banda" anche i genitori. Pare infatti che per molte famiglie tedesche sia diventata un'abitudine riunirsi a fine giornata lavorativa davanti alla tv, e gustare tutti insieme il film che il pargolo ha scaricato da internet. La legge entrerà in vigore il primo gennaio dell'anno prossimo, e gli utenti già tremano. Subito finita nell'occhio del ciclone Brigitte Zypries, ministro della giustizia, ha immediatamente chiarito che non farà scattare le manette ai polsi dei ragazzi.
In molti paesi dell'Europa chi va all'arrembaggio di film e file audio online non finisce in carcere, ma rischia consistenti pene pecuniarie. Tranne che nell'isola felice della Svizzera dove vige un paradiso fiscale anche per il pirata del web che al momento non è ancora soggetto a nessun tipo di multa. In Francia le cose si muovono diversamente e la legge varata appena una settimana fa, a sentire il ministro della cultura Donnedieu de Vabres, è servita sì ad aumentare le pene pecuniarie, ma anche ad evitare il carcere. In prigione solo gli "editori" di tecnologie informatiche che permettano il download illegale. Nessuna sanzione a chi scarica per uso privato.
La legislazione che tutela su internet i detentori del diritto d'autore è in fase di evoluzione, ma dall'altra parte della barricata, come se la passano gli utenti? L'unico paese che autorizza contemporaneamente la duplicazione, il download e il file sharing, purché non sia a fini di lucro, è il Brasile. Grazie alle licenze Creative Commons che chiedono di specificare il nome dell'autore dell'opera in questione e poco altro in più, download e scambio sono autorizzati. Chi ha avuto l'idea di questo "some rights reserved"? Gilberto Gil, celebre musicista e ministro della cultura del paese.
In molti paesi europei tra cui il nostro sono in discussione, se non in fase di approvazione, provvedimenti legali mirati a tassare i supporti che leggono film e musica. Cosa vuol dire? Che l'utente rischia di pagare tre volte lo stesso brano musicale ovvero quando lo acquista online, quando lo ascolta e quando lo copia su cd. Una follia a cui nessuno ha ancora pensato di porre un freno. Solo la Francia ha mostrato attenzione alla salute dei surfisti del web, proteggendo i loro investimenti. Se lo store online della Apple ha registrato recentemente l'acquisto del miliardesimo brano, preoccupandosi di premiare l'utente con una ragguardevole cifra da utilizzare per comprare nuovi pezzi musicali, non ha pensato all'eventualità che i suoi utenti desiderino ascoltare gli stessi brani su supporti diversi da quello dell'i-pod o di un pc che abbia installato il programma iTunes.
Il provvedimento preso dal legislatore francese è stato quello di obbligare le aziende detentrici di tecnologie DRM (Digital Rights Management) a renderle open source in modo che sia possibile e doveroso intervenirci per rendere gli acquisti accessibili anche su nuovi supporti. La strada quindi sembra essere a doppio senso: maggiori tutele per chi possiede il copyright, ma anche per chi compra. Che sta mostrando rispetto e interesse per la legalità: nell'ultimo anno infatti il fatturato di file a pagamento ha raggiunto il 6% di quello mondiale, a dimostrare che non tutti gli internauti sono criminali e impermeabili alla legalità, anzi.
(27 marzo 2006) |
http://www.tivutibi.com/forum/invision/index.php?s=da3e93a7f05bee4e595463951b2d0852&showtopic=18197&hl=
La propaganda
dell'industria è riuscita a sostituire i termini caricati
[b]“pirateria”
e “furto” al più preciso “copia” – come se non ci
fosse differenza tra rubare la tua bicicletta (adesso tu non hai
più la bicicletta) e copiare la tua canzone (adesso tutti e
due abbiamo la canzone).
Anche Gesù Cristo moltiplicava (copiava) pane
e pesci, gratis, ma non per questo i panettieri e i pescivendoli gli
davano del ladro...
Ricordatevi sempre: Copiare è = a Moltiplicare e non
a sottrarre.
|
Sito sui numerosi plagi musicali che richiaamano il libro "Anche
Mozart copiava. Cover, somiglianze, plagi e cloni", frutto
della penna di Michele Bovi, giornalista di RaiDue
Vedi http://news2000.libero.it/editoriali/edc163.html
|
Iniziano le reazioni scomposte alle dichiarazioni di ieri di
Maroni e altri, a proposito del "furto" via P2P.
http://punto-informatico.it/pt.aspx?id=1647201&r=PI
Mi soffermo su un'intrevento sul forum, che spiega abbastanza
bene quello per cui PP dovrebbe battersi:
"
I cittadini/consumatori votano, i deputati legiferano, gli
operatori economici producono beni e servizi e ci guadagnano.
50 anni fa il sabato al mercato c'erano gli scrivani che si
mettevano col banchetto e sotto dettatura di chi non sapeva
leggere scrivevano lettere a pagamento.
Non credo che nessuno all'epoca si sia sognato di criticare
il progetto di scuola per tutti perché altrimenti gli scrivani
perdevano il posto ... hanno cambiato mestiere: PUNTO.
Se i prezzi dei taxi sono alti perché ci sono pochi tassisti
si triplicano le licenze; se i tassisti poi non guadagnano
abbastanza cambiano mestiere: PUNTO.
Oggi con internet l'autore scrive una canzone, la pubblica
su un sito internet e incassa la vendita.
Distributori/venditori/SIAE cambiano mestiere: PUNTO.
"
... e noi stiamo a discutere su come salvaguardare gli
interessi di autori e editori? Ma se li salvaguardino
loro, oppure cambino mestiere, no?
Se un autore non riceve piu' compensi per "diritto d'autore",
o e' capace di trovare un altro modo di ricevere compensi o
cambia mestiere: PUNTO. [1]
Se una major non guadagna piu' i diritti sull'album dei
Pink Floyd del 1967 e per questo rischia la bancarotta,
o e' capace di trovare un altro modo di guadagnare o
cambia mestiere: PUNTO.
[1] Perche' 50 milioni di italiani devono rinunciare ad
usufruire della cultura musicale per mantenere un
centinaio di autori? non credo che in Italia ci siano
piu' di 100 autori che vivono ESCLUSIVAMENTE CON I
proventi dei diritti di autore, e non credo che ci siano
piu' di un migliaio di autori che CONTINO OGNI FINE MESE
sui diritti d'autore ... Se invece del copyright ci
fosse ancora il mecenatismo stile '300, potrebbero tutti
campare tranquillamente di sponsorizzazioni ...
Saluti,
--
T. A. |
per lavorare bisogna rubare le idee
lo diceva sempre mio padre
premetto che mio padre gode di ottima salute
e tutti bene in famiglia, grazie.
ciononostante il fatto che lo dicesse spesso fa
parte del mio ricordo e dei cipressetti miei
rubare le idee significa
farsi venire idee osservando quelle degli altri
ispirarsi, informarsi, impratichirsi
rubando quel sapere che appartiene all'esperienza
questo e', credo, e credo sia sempre stato l'atteggiamento
dei ragazzi di bottega. Leonardo era tra di essi e non fu' l'unico...
Rubare idee ha una funzione costruttiva
evolutiva
Guardate cosa e' successo col pinguino
che ha deciso di legalizzare il furto
normalizzandolo con licenze aperte.
Se Lisippo non avesse rubato idee a Prassitele
non ci sarebbe stata la classicita'.
E se Michelangiolo non avesse rubato le idee a Lisippo
non avremmo avuto il rinascimento.
E che dire di Rodin? A chi avra' rubato? Michelangiolo o Lisippo?
O a tutti e due?
La crescita costruttiva avviene tramite la condivisione delle idee
una licenza che proibisce questa condivisione
e' una licenza idiota.
Claudio Brovelli @@@@@@@@
Il 05/12/06, Claudio Brovelli ha scritto:
|
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per lavorare bisogna rubare le idee
lo diceva sempre mio padre
|
Giusto una minuscola precisazione.
Una volta si diceva "Rubare l'arte" non le idee.
Ed era nel senso che nessuno ti insegna nulla ma le cose le devi
imparare da te osservando gli altri... in una sorta di furto del
mestiere... ma si intendeva un furto bonario non violento.
Non a caso i ragazzi a bottega (come venivano definiti gli
apprendisti) non erano pagati ma erano loro a pagare l'artigiano.
Quindi rubavano l'arte ma pagando per questo privilegio.
LordMax
Coautore di "Sì! Oscuro Signore" (c) by Zib & LordMax
www.flyingcircus.it : Siamo artisti del gioco. Siamo artisti per gioco.
"Sii attento quando parli, con le tue parole tu crei il mondo intorno
a te." (detto navajo)
|
Domenica 10 dicembre 2006 a Milano, con
inizio alle ore 12, prenderà avvio una marcia da piazza S.Stefano fino
a Piazza della Scala, con lo scopo di chiedere al Governo Italiano di
abolire la legge Urbani, quella legge che ha reso penalmente
sanzionabile lo scambio di opere protette da copyright su internet anche
quando non vi è lo scopo di lucro. L'appuntamento è in piazza S.
Stefano a cominciare dalle ore 10 con partenza prevista alle ore 12.
Percorrendo via Larga, via Albricci, piazza Missori, via Mazzini, piazza
Duomo, via S. Margherita la manifestazione si concluderà in piazza
della Scala entro le ore 14. Piazza S.Stefano è accanto
all'università ed è raggiungibile con la metropolitana gialla
(linea3), scendere alla fermata Missori ed uscire in Piazza Missori, di
fronte vi trovate via Albricci e di seguito via Larga, in meno di 5
minuti a piedi sulla destra di via Larga trovate Piazza S.Stefano.
<<<Altre
Info, Aderenti e Partecipazioni>>>
Scaricare gratis da internet non
è un furto come vogliono far credere alcuni gestori del diritto
d'autore, Scambio Etico si oppone a questo modo pensare ed alle leggi
che hanno trasportato nel penale questo comportamento. Il pomeriggio del
10 dicembre 2006, sempre a Milano, costituiremo una Associazione
con lo scopo di legalizzare il file sharing.
Il P2P non è un crimine, è una
grande risorsa culturale.
<<<Informati
e partecipa alla Costituente del Movimento>>>

http://www.scambioetico.org/
|
In piazza per il P2P: cronaca della manifestazione
Ieri, domenica 10 dicembre 2006, si è svolta regolarmente la manifestazione milanese indetta da ScambioEtico.org per chiedere l'abolizione della legge Urbani e la legalizzazione dello scambio di File su Internet senza scopo di lucro. Il video della manifestazione
Il file sharing non è un crimine. Condividere non è rubare. Senza lucro non è pirateria. Questi gli slogan gridati dal gruppo di manifestanti, una cinquantina di persone circa, che ieri a Milano hanno percorso il tragitto da piazza Santo Stefano, nei pressi dell'Università degli Studi, fino a piazza della Scala. Qui sotto vi proponiamo un video della manifestazione, ripreso dalla nostra redazione (la musica di sottofondo, di subatomicglue, è distribuita in licenza Creative Commons).
Complice anche la splendida giornata, più che una marcia è stata una passeggiata, tranquilla e regolare. I manifestanti hanno suscitato l'interesse un po' sonnolento di quanti in quel momento, poco prima dell'ora di pranzo, si trovavano a passare dalle parti di piazza Duomo. Una passeggiata che probabilmente non ha cambiato nulla e che non cambierà nulla, ma che almeno ha dato un segnale. Per quanto sparuto il "popolo del Peer to Peer", come si sono autodefiniti i partecipanti nel volantino distribuito ai passanti, esiste ed è pronto a dimostrare di non ritenersi affatto criminale.
Diversi i gruppi che hanno aderito alla manifestazione. Dal TntVillage al Copyriot Cafè, passando anche per la Sinistra Giovanile della Lombardia. Diversi anche i progetti di normalizzazione dello scambio di files su Internet, ma tutti d'accordo sulla necessità di abrogare la legge Urbani che punisce come reato lo scambio di files su Internet protetti dal diritto d'autore senza alcuna distizione tra scopo di lucro o semplice condivisione del sapere.
Se si dovesse giudicare dal solo numero di partecipanti si dovrebbe dire che la manifestazione è stata un fallimento. In pochi hanno risposto all'appello. Ma già essere riusciti a portare in piazza una cinquantina di persone è un grande risultato. Dimostra che un nucleo di persone che prende davvero a cuore il problema esiste. Per il resto c'è tempo, e se la legge Urbani dovesse restare in vigore ancora a lungo ci saranno, crediamo, altre occasioni per vedere se il "popolo del Peer to Peer" è destinato a crescere o a restare silenzioso, senza diritti.
In questa sede ci limitiamo a notare che alcune delle regole autoimposte dal TntVillage, portale di file sharing etico autogestito dagli utenti, sono molto razionali. Su TntVillage è consentito lo scambio di tutto ciò che ha almeno 18 mesi vita, film o musica poco importa. Di tutti i giochi che costano più di 30 euro e di tutti i programmi televisivi a 48 ore dalla messa in onda. Non è consentito, invece, lo scambio di software Microsoft, materiale video o musicale con meno di 18 mesi di vita e giochi che costino meno di 30 euro. Non solo, "i titolari del diritto d'autore, o i loro rappresentanti, possono richiedere, su carta intestatam la rimozione immediata della loro opera senza ricorrere alle autorità".
Queste regole potrebbero essere un punto di partenza per superare in modo razionale la legge Urbani. Ora non resta che capire quale sia la reale volontà politica del nostro Paese.
http://www.pcpiufacile.it/index.php?/content/view/278/2/
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Il download non è reato!
Valentina Frediani
Ancora
una sentenza in materia di diritto d’autore, software e download.
Stavolta a pronunciarsi è la Terza Sezione della Corte di Cassazione,
che lo scorso 9 gennaio ha emesso la sentenza n. 149. La Corte è
stata chiamata a pronunciarsi a seguito di ricorso avverso sentenza
emessa dalla Corte di Appello di Torino, sentenza di
conferma della pronuncia di colpevolezza di due studenti in ordine ai
reati di cui agli artt. 171 bis e 171 ter
legge diritto d’autore (la famigerata n. 633/41).
L’attuale
previsione normativa
Anzitutto
è bene ricordare che dopo le varie e spesso
ravvicinate modifiche, ad oggi le due disposizioni di legge si sono
“assestate” sulle seguenti versioni: l’art. 171 bis
prevede la punibilità da sei mesi a tre anni, di chiunque
abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o
ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo
commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti
in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed
editori (SIAE).
Mentre
l’art. 171 ter, punisce con la reclusione da
sei mesi a tre anni, chi per uso non personale ed a
fini di lucro, abusivamente duplica, riproduce,
trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o
in parte, un'opera dell'ingegno destinata al circuito televisivo,
cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti
analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi
di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze
di immagini in movimento; chi abusivamente riproduce,
trasmette o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere o
parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche,
musicali o drammatico-musicali, ovvero multimediali, anche se inserite
in opere collettive o composite o banche dati.
Per
primo grado e Corte di Appello gli
imputati erano colpevoli…
Orbene,
i giudici dei precedenti meriti, avevano stabilito ravvisabile entrambi
i reati nei confronti di due soggetti che avevano creato, gestito e
curato la manutenzione di un sito ftp mediante un pc esistente presso
l’associazione studentesca del Politecnico di Torino, sul quale
venivano sostanzialmente effettuati download di programmi ed opere
cinematografiche tutelate dalla legge sul diritto d’autore. Tali
programmi una volta scaricati potevano essere prelevati da determinati
utenti che avevano un accesso al server, conferendo a loro volta altro
materiale informatico sul server stesso.
La
punibilità degli imputati era basata sull’osservazione che l’attività
da loro posta in essere implicava come passaggio obbligatorio, la
duplicazione dei programmi relativi alle opere protette – violazione
del diritto d’autore per trarne profitto - ed il
successivo download, violativo del diritto
d’autore in quanto fatto commesso per uso non personale (disponibilità
a favore dei terzi) con fini di lucro.
…
secondo la Cassazione invece…
La
Corte di Cassazione ha anzitutto escluso la configurabilità del
reato di duplicazione abusiva – e quindi il reato di cui
all’art. 171 bis – in quanto la duplicazione non è operazione
propedeutica al download, ma concetto ben diverso. Difatti la
duplicazione non era attribuibile a chi originariamente aveva effettuato
il download, ma a chi si era salvato il programma prelevando i files
necessari dal server su cui erano disponibili.
Per
quanto concerne invece il reato di cui all’art. 171 ter, essendo che
nello stesso è previsto quale elemento costitutivo del reato il fine di
lucro, secondo la Corte di Cassazione è possibile escludere tale fine
nel caso di specie.
Difatti,
il legislatore che più volte è intervenuto nella legge a tutela del
diritto d’autore alternando nei vari reati i fini di lucro a quelli di
profitto, ha permesso in risalto la netta
distinzione tra i due concessi.
Lo
scopo di lucro è rintracciabile laddove vi sia il perseguimento
di un vantaggio economicamente apprezzabile; lo scopo di profitto
include ogni mero vantaggio morale.
Ebbene,
nel caso di specie la messa a disposizione dei programmi mediante
attività di download non configura alcun lucro (elemento richiesto dal
171 ter) essendo che le attività sono state effettuate gratuitamente.
Decisione
finale:
la Corte di Cassazione ha annullato le precedenti sentenze di condanna
degli imputati, ritenendo che la fattispecie oggetto del processo non
costituisca fatto previsto dalla legge.
Interessante
conclusione anche alla luce della continua incertezza vigente nella
materia.
http://www.consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=142
|
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_cronache_NOTIZIA_01.asp?IDNotizia=172002&IDCategoria=10
Sentenza storica: non è reato
scaricare musica dal web |
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A patto che non ci sia “finalità di
lucro”, non scatta la condanna penale nemmeno se l’opera
scaricata dal web è coperta da copyright. Lo ha stabilito la Terza
sezione penale della Cassazione |
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ROMA
- Scaricare film da internet non è reato a patto che non ci sia
“finalità di lucro”. Non scatta la condanna penale nemmeno se
l’opera scaricata dal web è coperta da copyright. Lo ha stabilito
la Terza sezione penale della Cassazione che ha accolto il ricorso
di Eugenio R. e di Claudio F., due studenti torinesi che erano stati
condannati per aver “duplicato abusivamente opere
cinematografiche”, giochi per psx, video cd e film,
“immagazzinandoli” su un server del tipo File transfer protocol
“dal quale potevano essere scaricati da utenti abilitati
all’accesso tramite un codice identificativo e relativa
password". Secondo la Suprema Corte, che ha annullato la
sentenza impugnata “perchè il fatto non è previsto dalla legge
come reato”, deve essere “escluso che la condotta degli autori
della violazione sia stata determinata da fini di lucro, emergendo
dall’accertamento di merito che gli imputati non avevano tratto
alcun profitto economico dalla predisposione del server FTP, mentre
dalla utilizzazione dello stesso traevano sostanzialmenhte profitto
i soli utenti del server medesimo”. Il principio è fissato nella
sentenza 149 redatta dal consigliere Alfredo Maria Lombardi.
La Corte d’appello di Torino, marzo 2005, aveva condanato
rispettivamente Eugenio R. a tre mesi e dieci giorni di reclusione
oltre a 320 euro di multa e Claudio F. a venti giorni e 300 euro di
multa per “aver creato, gestito e curato la manutenzione di un
sito Ftp mediante un computer dell’associazione studentesca del
Politecnico di Torino sul quale venivano scarcati programmi tutelati
dalle norme sul diritto d’autore”. Successivamente, si legge
nella sentenza, “tali programmi potevano essere prelevati da
determinati utenti che avevano accesso al server in cambio del
conferimento a loro volta di materiale informatico”. Inoltre lo
studente con la condanna più alta era accusato di “aver detenuto
presso la sua abitazione programmi destinati a consentire o
facilitare la rimozione di dispositivi di protezione applicati ai
programmi per elaboratore”. La Cassazione, ha dunque giudicato
“fondata” la protesta del primo studente che lamentava che “i
giudici di merito hanno erroneamente attribuito all’imputato una
attività di duplicazione dei programmi e di opere dell’ingegno
protette dalla legge sul diritto d’autore, poichè la duplicazione
avveniva ad opera dei soggetti che si collegavano con il sito FTP e
da esso in piena autonomia e nello stesso ne scaricavano altri”.
In ogni caso, ha rilevato ancora con successo la difesa, “doveva
essere esclusa l’esistenza di un fine di lcro da parte di Eugenio
R., non potendosene ravvisare gli estremi nella mera attività di
scambio dei files posta in essere”. E quindi “la condotta
dell’imputato, quanto meno con riferimento alle opere musicali e
cinematografiche potrebbe ritenersi solo attualmente sanzionata
dalla legge 128 del 2004”.
Relativamente poi al programma che lo studente teneva a casa sua,
“doveva escludersi la detenzione a fini commerciali e lucrativi
dello stesso, scopo in ordine al quale, peraltro, nulla è stato
affermato dai giudici di merito”. Accolto anche il ricorso del
secondo studente, la difesa del quale ha rilevato che il fine di
lucro “deve concretizzarsi nel perseguimento di un vantaggio
economicamente apprezzabile”. Cosa da “escludersi visto che è
stato accertato che lo scambio di software avveniva esclusivamente a
titolo gratuito, nè era connesso a forme di pubblicità o ad altra
utilità economica che ne potessero trarre i creatori del sito
FTP”.
Il nocciolo della questione, spiegano gli "ermellini" sta
nella interpretazione del termine "scopo di lucro",
“adoperato nel testo delle norme vigenti all’epoca dei fatti”,
rispetto all’espressione "scopo di profitto",
“introdotto dalla legge di riforma”. Ebbene, secondo piazza
Cavour, quando si parla di "fini
di lucro" “deve intendersi un fine di guadagno economicamente
apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore del
fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio di
altro
genere; nè l’incremento patrimoniale - scrivono ancora - può
identificarsi con il mero risparmio di spesa derivante dall’uso di
copie non autorizzate di programmi o altre opere dell’ingegno, al
di
fuori dello svolgimento di un’attività economica da parte
dell’autore del fatto, anche se di diversa natura, che connoti
l’abuso”.
L'interpretazione offerta dalla Cassazione, rilevano gli stessi
"ermellini", “trova riscontro nella stessa legge sul
diritto d’autore che non attribuisce rilevanza penale alla
duplicazione, acquisto o
noleggio di supporti non conformi alle prescrizioni della medesima
legge a fini meramente èpersonali, allorchè lla riproduzione o
l’acquisto non concorrano con i reati previsti dall’art. 171 e
seg. e
non sia destinato all’immissione in commercio di detto
materiale”.
Nel caso in questione, “viene escluso dall’ambito della
fattispecie
criminosa il comportamento dettato dalla mera finalità di un
risparmio di spesa, che indubbiamente deriva dall’acquisto di
supporti duplicati o riprodotti abusivamente”.
In definitiva, la Cassazione esclude che l’attività compiuta dai
due studenti
sia stata svolta per perseguire fini di lucro,
“emergendo dall’accertamento
di merito che gli imputati non
avevano tratto alcun vantaggio economico
dalla predisposizione del
server FTP, mentre dalla utilizzazione
dello stesso traevano
sostanzialmente profitto i soli utenti del server medesimo”.
Inoltre, “anche con riferimento alla detenzione da parte di
Eugenio R. di
un programma destinato a consentire la rimozione o
l’elusione di
dispositivi di protezione di programmi non emerge
dall’accertamento di
merito la finalità lucrativa cui sarebbe
stata destinata la detenzione,
e tanto meno un eventuale fine di
commercio della stessa”. I due studenti,
quindi, sono stati
“prosciolti perchè il fatto non è previsto dalla legge come
reato”.
Da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata.
20/1/2007
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LIBERI DI SCARICARE? IL CAOS DOPO LA CASSAZIONE
Clicca per ingrandire 20/01/2007 - 22:22 - Sulla liceita' di scaricare via Internet
contenuti protetti dalla legge sul diritto d'autore.
clicca per ingrandire
FOGGIA. La miccia della bomba appena esplosa e' stata accesa a tanti anni fa.
Prima ancora della novella del 2000 (l. 248/00), che ha innovato la normativa
sul diritto d'autore. Dopo anni di riforme, gogne e continue violazioni in Rete, e' giunta una nuova decisione della Cassazione.
La terza Sezione della Suprema Corte ha stabilito (con sentenza del 9 gennaio 2007, n. 149) che non e' reato scaricare film da Internet a patto che non ci sia 'finalita' di lucro'. Annullata, pertanto, la condanna a tre mesi e dieci giorni di reclusione inflitta dalla Corte d'Appello di Torino a due giovani, che avevano allestito un server Ftp da cui si potevano scaricare contenuti protetti dalla legge sul diritto d'autore.
La Corte conclude che il fatto non e' previsto dalla legge come reato a seguito di un'attenta disamina di quanto realizzato dai due e di quale fosse il dettato delle norme. Secondo i giudici del Palazzaccio, se i due ragazzi non hanno avuto intenzioni lucrose nell'attivita' posta in essere, non ha alcun sostegno il capo di imputazione costruito su di loro.
Anche se in punto di diritto la sentenza e' chiara, si corre ai ripari contro una prevedibile depenalizzazione sociale dell'attivita' di download dalla Rete. A tal proposito, Enzo Mazza, Presidente della Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana), nota come 'la sentenza della III Sezione della Cassazione che e' stata ripresa dagli organi di stampa con il titolo 'Scaricare non e' reato' si riferisce in realta' a un caso antecedente l'attuale normativa, in vigore dal 2004, che invece stabilisce la punibilita' penale per lo scambio di file illegali e che punisce con una sanzione amministrativa di 154 Euro chi invece si limita a scaricare una canzone abusivamente. Non si tratta, pertanto, di una decisione che modifica l'attuale legislazione in vigore'. [G.A.Cavaliere]
http://www.ordineavvocatifoggia.it/it/default.asp?opt=celentano&id=23615
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ADN Kronos - Ven 26 Gen
(Pubblicità)
Roma, 26 gen . (Adnkronos) - Vietato scaricare e condividere file senza corrispondere il diritto d'autore. A prendere posizione e' la procura di Torino, intervenuta a chiarire la sentenza della Corte di Cassazione secondo la quale, invece, lo scaricamento, se fatto senza scopi di lucro, era possibile. "La procura ha ribadito che scaricare e condividere file con opere tutelate senza corrispondere i diritti d'autore e' e rimane reato - ha dichiarato Giorgio Assumma, presidente della Siae, Societa' italiana autori ed editori - In conclusione, il 'peer to peer' non e' permesso".
Insomma, chi scarica a fini di lucro incorre in pesanti sanzioni penali (da uno a quattro anni di reclusione e multe fino a 15.000 euro); chi condivide senza specifica autorizzazione opere protette da diritto d'autore per uso personale senza scopo di lucro, commette pur sempre reato, ma e' punito con sanzioni penali piu' lievi (multe fino a oltre 2.000 euro); chi si limita a scaricare illegalmente ad uso personale non commette reato, ma incorre in sanzioni amministrative.
http://it.news.yahoo.com/26012007/201/internet-siae-plaude-procura-torino-reato-scaricare-file-corrispondere-diritti.html
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Inviato da anonimo il Sab, 02/11/2002 - 10:02.
Liberiamo la musica! Se gli artisti si lamentano che non fanno
soldi facciano copie autografate o confezioni speciali da vendere a più
soldi(come nella pittura o nella fotografia, se voglio l'originale pago
di più, le stampe fatte dall'artista un po' meno e le copie me le
scarico da internet aggratis!!!)e tutti son contenti.
Sfigati e pirati censurati.it
http://www.censurati.it/index.php?q=node/204
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28-07-2004 alle ore 16:14, oxygen :
La prima legge sul diritto d'autore in Italia è del 1941. Sono più di sessant'anni quindi che si discute sulla proprietà intellettuale, il copyright e via dicendo. Con l'avanzamento tecnologico e l'invenzione di internet la questione si è complicata ulteriormente e il dibattito è andato avanti fino al decreto Urbani del 18 maggio scorso sul "peer-to-peer" che ha scatenato proteste in rete, scioperi delle connessioni e azioni di pirateria informatica ai danni dei siti di Camera, Senato, Siae e varie altre istituzioni.
Il 13 luglio, una sessantina di artisti italiani tra i quali Luciano Ligabue, Piero Pelù, Antonello Venditti, Enzo Jannacci, Lucio Dalla, Eros Ramazzotti e tanti altri, hanno firmato una petizione promossa dalla Fimi (Federazione dell'Industria Musicale Italiana), per la tutela "della creatività nell'era digitale" nella quale si dicono d'accordo con "lo sviluppo e la promozione di servizi legali per la distribuzione di musica online", si augurano che tramite le tecnologie, il loro pubblico possa avere un più ampio accesso alle opere ma ritengono che sia logico remunerare coloro che creano e producono i contenuti come è normale pagare la connessione ad internet. In sostanza dicono sì alla musica "legale" in rete e no alla musica gratis.
Negli Stati Uniti invece, dopo la vicenda della rock band dei Metallica che denunciò 30.000 utenti che avevano scaricato i loro brani attraverso Napster (sito sul quale era possibile accedere gratuitamente ad una quantità enorme di materiale musicale e che fu chiuso dalle autorità nel 2000), un gruppo di musicisti tra i quali David Bowie, Ani Di Franco, Ice T, Michael Franti, Pearl Jam, Sonic Youth, hanno firmato invece un documento nel quale dichiarano di non aver ricevuto alcun danno economico dal download libero, che anzi in alcuni casi ha facilitato il passaggio della loro musica in radio e la vendita dei cd e che non sono assolutamente interessati a denunciare i loro fans (www. eff. org/share).
Le scuole di pensiero sul copyright quindi sono molteplici ma c'è anche chi pensa che i veri problemi rispetto alla situazione a dir poco catastrofica del mercato discografico italiano stiano da un'altra parte e che se non si risolvono quelli, ben poco potrà cambiare. «I veri pirati sono le multinazionali discografiche, la Siae e l'Enpals - dice Marino Severini, voce dei Gang - Il diritto d'autore dovrebbe essere regolato da leggi che si basino sui bisogni di chi crea i brani e di chi ne usufruisce e non da potentati come appunto la Siae che si spartiscono i guadagni tra loro invece di reinvestirli in strutture pubbliche. Il mercato del lavoro nell'ambito dello spettacolo è assolutamente deregolamentato, non esiste un sindacato né per i musicisti, né per i tecnici audio e luci o per i montatori di palco o per i fonici e non esistono forme di tutela per le etichette indipendenti. Tutta la questione del mercato illegale dei cd taroccati è solo retorica, la musica è un bene di prima necessità e dovrebbe essere accessibile a tutti tramite prezzi imposti per i concerti e per i dischi».
Dello stesso avviso è Ezio della Gridalo Forte Records, etichetta indipendente nata nei primi anni ‘90 che produce gruppi tra i quali Tribù Acustica, Fermin Muguruza e Banda Bassotti, che aggiunge: «Invece di firmare petizioni, questi artisti potrebbero regalare due o tre brani per ogni cd tramite la rete in modo che il loro pubblico si possa fare un'idea di ciò che sta andando a comprare. Noi sul nostro sito con alcuni gruppi lo stiamo facendo. Ma i problemi sono a monte. Non avendo alle spalle sicurezze finanziarie di nessun tipo, per noi è molto difficile resistere alle regole del mercato tanto più che non è mai esistita una redistribuzione equa degli introiti di Empals e Siae. Anzi, se vuoi organizzare un concerto gratuito sei costretto comunque a pagare una percentuale forfettaria alla Siae basata sulla capienza dello spazio che occupi, non importa se non lo riempi e se l'entrata è libera».
Sembra proprio che, per quanto riguarda lo spettacolo, la legge sia sempre dalla parte del più forte. Ogni tanto capita però che qualcuno la utilizzi per tutelare i più deboli. E' il caso di Gennaro Francione, scrittore, commediografo ma anche giudice e inventore del "Tribunale degli artisti" che nel suo sito (www. antiarte. it) scrive: «Gli artisti sono deboli perché oggi è il denaro a fare l'arte. C'è un sistema piramidale che non potrà mai portare alla giustizia. Il processo di produzione e di distribuzione interferisce con il lavoro dell'artista e gli impone scelte e strategie. L'arte non è una merce, l'arte è di tutti. Anche il diritto d'autore va ripensato in maniera diversa. Come giudice del tribunale penale ho assolto venditori di cd masterizzati giustificandoli con lo stato di necessità. Non si può pagare un disco o un libro a prezzi così elevati».
Il dibattito, quindi, non solo è aperto ma è ancora agli inizi e la richiesta legittima è che se bisogna legiferare, lo si faccia ascoltando le proposte di chi lavora e non quelle di chi specula sul lavoro altrui. Intanto speriamo che i venditori di cd masterizzati che hanno avuto la sfortuna di essere portati in tribunale, almeno siano giudicati dal magistrato Francione.
scusate il malloppone, ma che tristezza! :-o <br>
http://www.rockon.it/modules.php?mop=modload&name=Splatt_Forums&file=reply&topic=1191&forum=2&post=18300"e=1&mod=
|
http://www.petitiononline.com/libcult/petition.html
Promozione della Cultura Libera
|
View
Current Signatures - Sign
the Petition
To: Presidenza del
Consiglio dei Ministri e Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Le Istituzioni italiane, nelle loro campagne
di informazione contro la pirateria multimediale, non ti hanno ancora
spiegato che:
- l'atto in sé del masterizzare un cd musicale non significa commettere
un reato;
- l'atto in sé del fotocopiare un libro non significa commettere un
reato;
- l'atto in sé dello scaricare opere dell'ingegno da Internet non
significa commettere un reato.
Occorre vedere
COSA masterizzi,
COSA fotocopi,
COSA scarichi.
Perché
in quel cd, in quel libro, o in quel file potrebbe esserci un'opera
dell'ingegno LIBERA:
- un'opera dell'ingegno è LIBERA se è nel pubblico dominio;
- un'opera dell'ingegno è LIBERA se l'autore, con una licenza, ha
rinunciato all'esercizio esclusivo di tutti od alcuni diritti di
utilizzazione economica.
Se ciò che masterizzi, fotocopi o scarichi è LIBERO,
allora tu non stai commettendo alcun illecito, né civile, né penale.
La libera circolazione della cultura cresce nella condivisione.
RICORDALO A TE STESSO e RICORDALO AI NOSTRI AMMINISTRATORI.
Firma la petizione perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali finalmente diffondano una
campagna pubblicitaria per la promozione della cultura libera.
Sincerely,
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Il produttore tv Valsecchi: "Scaricate dal web"
13:15 gio 04 settembre 2008
"Scaricate sempre, scaricate tutto dal web". A dirlo è un
insospettabile, il produttore cinematografico e televisivo
Pietro Valsecchi. Si infiamma così il dibattito sulla pirateria
e sul suo presunto vantaggio come traino alle tv.
Valsecchi, l'uomo che con la sua casa TaoDue Film
produce numerose fiction di successo (tra cui Distretto di
Polizia, I Liceali e Ris) accende la miccia da
Venezia, ospite di una trasmissione di RaiSat Extra.
L'esempio portato dal produttore lo coinvolge in prima persona: "La
fiction 'I liceali', da noi prodotta, è stata trasmessa prima da
Mediaset Premium, vista, scaricata, trasmessa poi dalla tv generalista e
nonostante tutto ciò, una volta fatti i dvd, ne abbiamo venduti
tantissimi. La pirateria è un problema molto marginale,
ben vengano i ragazzi che scaricano. La cultura va divulgata, è un bene
che vi si possa accedere facilmente".
http://web20.excite.it/news/11810/Il-produttore-tv-Valsecchi-Scaricate-dal-web
@@@@@@@@
I Grateful Dead, 40 anni orsono, lasciavano che i
fan riproducessero in musicassetta i loro concerti, convinti che,
girando gratuitamente, la loro musica avrebbe aumentato il numero degli
estimatori, anche paganti.
|
ScambioEtico: condividere non è rubare
PI - Lettere
mercoledì 17 settembre 2008
Roma - Nei giorni scorsi
ScambioEtico, una delle prime associazioni italiane a puntare sulla
cultura della condivisone come mattone della diffusione della conoscenza
nella società dell'informazione, ha scritto al ministro dei Beni
culturali Sandro Bondi, prendendo spunto dall'incontro di
Venezia di major e istituzioni, peraltro
stigmatizzato da più parti. Ecco di seguito il testo della missiva:
"Egregio Sig. Ministro Sandro Bondi,
prendiamo atto che il Convegno svoltosi al Palazzo del Casino' di
Venezia il 28 Agosto scorso, organizzato dal Direttore Generale del
Ministero da Lei presieduto, Gaetano Blandini, avente come tema la lotta
alla pirateria e la tutela dell'industria culturale italiana, si è
concluso con l'intesa di aprire in autunno, presso la Presidenza del
Consiglio, un tavolo di lavoro dal quale dovrebbero emergere le
strategie per combattere il fenomeno che tanto preoccupa i detentori del
diritto d'autore e la filiera che su ciò ha investito soldi creando le
proprie attività commerciali.
Ci sembra che la cosa sia del tutto ragionevole, non fosse che, per
quanto ha dato a conoscere, a questo tavolo saranno invitati a
partecipare solo i rappresentanti di alcune categorie, sicuramente
quelle degli autori e dei fornitori di connettività internet, ma ci
risulta che non sia prevista alcuna rappresentanza di tutta quell'ampia
fascia di utenti del Web che - teniamo a precisare - senza scopo di
lucro si scambiano le opere tutelate dalla legge sul diritto d'autore,
persone che anche durante questo Convegno sono state "bollate" da alcuni
oratori come ladri, per qualcuno addirittura da rieducare attraverso
lavori sociali, in base a questa equazione: opera scaricata = mancato
acquisto, mancato acquisto = furto.
Bisognerebbe, intanto, cercare di evitare di fare
certe semplificazioni criminalizzanti nei confronti di milioni di
fruitori di una tecnologia che può venire utilizzata per attività
totalmente estranee alla violazione del copyright, una tecnologia il cui
uso non deve essere vietato solo per impedire che possa "eventualmente"
essere utilizzata a scopi illeciti. Ci permetta, Signor Ministro, di
portare, a questo proposito, l'esempio di un marito deluso che si evira
per fare un dispetto alla moglie... cercare di ridurre le immense
potenzialità di Internet ad un mero supermercato virtuale significa
sminuirne il suo valore e trascinare inevitabilmente il Paese verso
l'Oscurantismo, piuttosto che nella direzione di un nuovo Illuminismo
che - concorderà con noi in questa visione - meglio si addice ad una
Nazione orientata verso la globalizzazione e l'apertura delle frontiere.
Tante persone si sono ormai rese conto di come le normative sul diritto
d'autore, nella odierna società, siano diventate obsolete ed andrebbero
riviste anche a livello di convenzioni internazionali; il diritto
d'autore dovrebbe essere tutelato al massimo per un periodo uguale a
quello dei brevetti ed invece ci sono pressioni, addirittura, per
aumentarlo. Ci chiediamo come sia possibile cadere così facilmente in
discutibili generalizzazioni, apostrofando come ladri le moltissime
persone che scaricano, per portare solo un esempio, la discografia dei
Beatles, magari pensando che se non avessero potuto scaricarla,
l'avrebbero comprata, soprattutto in considerazione del difficile
momento economico nel quale, purtroppo, versa la nostra Nazione... Come
è possibile affermare che scaricare film prodotti diversi anni fa possa
realmente danneggiare qualcuno, a causa dei mancati introiti? Insomma,
Signor Ministro, non fa bene a nessuno sostenere che la condivisione
senza scopo di lucro sia un furto (arrivando al paradosso di accusare
persino il Ministro dell'Interno Maroni, se consideriamo che lui stesso
un paio di anni fa
ha confessato di scaricare musica da internet e ha sostenuto che
questa pratica dovrebbe essere legalizzata), è sbagliato culturalmente,
è altamente offensivo e non pone le basi per un auspicabile dialogo di
confronto.
Ma poiché noi ci riteniamo, prima di tutto, persone capaci di
obiettività, siamo - in parte - in grado di comprendere e giustificare
la levata di scudi nei confronti della messa in condivisione di opere
d'ingegno che ancora devono essere pubblicate o, comunque, quasi in
contemporanea alla loro commercializzazione, anche se su quanto appena
affermato ci sarebbe da porre l'attenzione sulla considerazione che la
scarsa qualità con cui esse vengono condivise, spesso è incentivo
all'acquisto degli originali o, comunque, rappresenta uno stimolo ad
orientarsi verso opere che "meritano" a discapito, eventualmente, di
prodotti di scarsa qualità, evitandoci, in questo modo, un fastidioso
quanto dannoso spreco di danaro, sempre tenendo in debita considerazione
la difficile situazione economica nella quale, ahinoi, versiamo da un
po' di anni a questa parte.
Ci sono molte persone che usano il file sharing per recuperare opere
cinematografiche molto datate e difficilmente reperibili attraverso
altri canali, anche solo per ritrovare le immagini e i sapori di un
passato che, pur essendo abbastanza recente, rende l'idea della estrema
metamorfosi ambientale e culturale prodottasi; ci sono persone che vanno
alla ricerca di musica che hanno apprezzato in gioventù, probabilmente a
suo tempo ne avevano pure acquistato gli originali (pagando regolarmente
il copyright) che poi si sono deteriorati e che - in ogni caso - non si
possono più utilizzare sui nuovi strumenti di riproduzione e, purtroppo,
spesso anche questa musica è di difficile reperibilità.
Insomma, esiste un tipo di file sharing che non produce sicuramente quel
danno che i titolari del diritto d'autore e l'industria
dell'intrattenimento paventano, trincerandosi dietro discutibilissime
indagini di mercato che, però, essendo esclusivamente "di parte", non
dovrebbero essere prese neppure in considerazione. Siamo sicuri Lei
comprenda che chi scarica certe opere, difficilmente sarebbe andato ad
acquistarle se non avesse avuto la possibilità si reperirle in rete,
pensando comunque di contribuire ad arricchire la lunga filiera ad essi
legata, se non altro sobbarcandosi gli alti costi nazionali della
connettività internet.
Nel convegno di Venezia, oltre a coloro che hanno invocato il pugno di
ferro, ci sono stati - con nostro sollievo - anche quelli che hanno
pacatamente ammesso che la criminalizzazione tout court non ha affatto
prodotto gli effetti sperati (ci preme sottolineare, a questo proposito,
che proprio grazie al file sharing, le statistiche danno in forte
diminuzione la tradizionale pirateria da strada per scopo di lucro) e
che, invece di fare questa dispendiosa lotta a coloro che sono comunque
potenziali consumatori di un mercato che offre pressochè infinite
potenzialità, sarebbe più ragionevole individuare nuovi modelli di
business che inducano gli internauti a pagare un prezzo ragionevole per
poter accedere alle opere culturali ed artistiche.
Questo modello è già stato individuato dalla Electronic Frontier
Foundation; si tratta, in sostanza, delle cosiddette "licenze
collettive".
Alla Camera dei Deputati, il gruppo dei Radicali Italiani
ha presentato la proposta di legge N. 187, primo firmatario Marco
Beltrandi, che raccoglie la felice intuizione di Electronic Frontier
Foundation e che, per non abusare della sua disponibilità nell'averci
seguito fino ad ora, La invitiamo caldamente a leggere in un immediato
futuro. Ci permettiamo di segnalarLe che la summenzionata proposta di
legge è stata assegnata lo scorso 5 agosto alla Commissione Parlamentare
del Dicastero da Lei presieduto.
Vorremmo sottoporre alla Sua attenzione i benefici da noi individuati
nell'applicazione di questa iniziativa:
1) porterebbe nelle casse degli aventi diritto elevatissimi introiti,
anzichè costringerli a spendere soldi per dare la caccia agli illeciti;
2) garantirebbe ai fornitori di connettività nuove richieste di
contratti, invece di far loro correre il rischio di inevitabili
disdette;
3) favorirebbe lo sdoganamento di molte opere che giacciono ad ammuffire
nei sottoscala delle major, anzichè contribuire a produrre conoscenza,
sviluppando senso critico e cultura;
4) consentirebbe ai consumatori di avere, a prezzi estremamente
contenuti, la possibilità di accedere a tutte le opere che l'ingegno
umano ha prodotto nel corso della sua meravigliosa evoluzione.
Signor Ministro, facciamo appello al Suo sensibile animo artistico, La
esortiamo a farsi promotore di questa iniziativa e a legare il Suo nome
alla più grande Rivoluzione Liberale della cultura che sia da esempio e
traino a livello mondiale di un nuovo modello di business permesso e
favorito dall'attuale tecnologia, eviti di ricorrere in generici sistemi
di criminalizzazione, di invasione della privacy o, ancor più
drasticamente, di espulsione dalla rete telematica che, nell'odierna
società, ci sembra essere la forma più avanzata di emarginazione e
violazione dei diritti civili.
Vogliamo confidare nella Sua lungimiranza ed apertura mentale, che fino
ad ora ha sempre dimostrato, affinché Lei prenda in seria considerazione
questa lettera aperta, auspicando che Lei voglia invitare al "tavolo di
lavoro" anche una rappresentanza dell'Associazione Scambio Etico e di
Frontiere Digitali. Essendo Scambio etico una Associazione senza scopo
di lucro - registrata all'Agenzia delle Entrate di Bra nel 2006 - che ha
come finalità statutaria quella della legalizzazione del file sharing di
opere tutelate dal diritto d'autore, la co-partecipazione all'incontro
in programma ci darebbe la possibilità di esprimere in modo più
articolato le ragioni che, in antitesi a quanto finora riportato in
maniera unilaterale da tutti i mezzi di informazione mediatica nonché
dalle Major che hanno fortissimi interessi economici da anteporre a
qualsiasi ragionamento, ci spingono a sostenere una serie di
suggerimenti i quali, se applicati, potrebbero garantire la totale
legalità della condivisione in rete di opere protette, traendone tutti
un rapporto costi/benefici a tutto vantaggio di questi ultimi.
Nel ringraziarLa per la disponibilità dimostrata nell'averci voluto
leggere fin qui, auspichiamo per l'immediato futuro un incontro di tutte
le parti chiamate in causa in questa vicenda, nella quale ci sentiamo a
tutti gli effetti compresi, volto a garantire un'alleanza di intenti per
la realizzazione di obiettivi comuni, in luogo di una spiacevole guerra
repressiva che, la Storia ci insegna da sempre, non ha mai portato a
nulla di positivo.
Cordialmente,
Luigi Di Liberto
Presidente
Associazione Scambio Etico"
http://punto-informatico.it/2406490/PI/Lettere/scambioetico-condividere-non-rubare.aspx
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Argomento presente: « COPIAINCOLLISTI TORRESI BIRICHINI »
ID: 9798 Discussione: COPIAINCOLLISTI TORRESI BIRICHINI
Autore: Langella Aniello - Email: aniello@langella.net - Scritto o
aggiornato: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 12.33
CLICCA SUL MIO TESTO DOG QUI SOPRA PER RUBARLO E TI MORDO
Attenzione, questo messaggio contiene polemiche!!
Le persone più sensibili sono pregate di non leggerlo.
"Scusi, ma lei, ci può dire il suo mestiere, qual è la sua occupazione?"
"Si, certamente glielo dico"
Replicò il signore dai tratti del volto un po' asiatici, con una folta
chioma riccioluta e dallo sguardo pseudo intellettualoide.
"Si faccio il COPIAINCOLLISTA".
Con la rete, via via nel tempo e sempre di più si è sviluppato il
mestiere del "copiaincollista", una attività fortemente in crescita che
prevede tempi minimi di impegno e grande visibilità. E così con questo
che è diventato un vero mestiere, i politici si plagiano, nascono idee
"nuove" dallo spolvero dei vecchi testi e anche la musica, mutuando
melodie del passato si rigenera, per così dire, creando canzoni e motivi
che di nuovo e originale non hanno nulla. Anche i pittori, gli scultori
fanno i copianincollisti. Ma come in tutti i campi ci sono i "copianincollisti"
seri e quelli da marciapiedi, quelli attenti a cambiare le virgole e
quelli invece che non hanno nemmeno il pudore di farlo, quelli
dell'ultima ora e quelli storici. Il copiaincollista nasce con una
propensione, con un innato spirito di fare questo mestiere. Secondo me
geneticamente predisposto in quanto è, di base, un mariunciello.Io
scrivo della storia di Torre del Greco da molti anni e le mie sono
ricerche, sono studi originali che non hanno nulla a che vedere con
questo mestiere che sempre più occupa sfaccendati avventurieri della
comunicazione.
Ieri nel sito ho pubblicato questo studio sul 1631.
Come poi leggerai questo lavoro è frutto di ricerca e serio
approfondimento. Te lo mando affinché qualcuno non pensi che io avevo
esaurito il materiale da pubblicare in rete ed in cartaceo…a buon
intenditor,…
Pezzi così, perdona l'immodestia (ma quando ci vuole ci vuole) a Torre
non si vedevano da un po'. E grazie per aver ascoltato il mio sfogo.
Stammi bene, soprattutto in salute
Aniello Langella
@@@@@@@@@@@@@@@@
ID: 9883 Intervento
da: salvatore argenziano -
Email:
salvatore.argenziano@fastwebnet.it - Data:
martedì 9 dicembre 2008 Ore:
17.10
Caro Gennaro,
anche per me internet è un mezzo a dir poco da favola. Metto in rete
tutto ciò che scrivo ed ho la possibilità di cambiareo e correggere, man
mano che raccolgo altri dati.
Raccogliere ma da chi? Non certo dai mie vicini di casa ma da tutto lo
scibile oggi riversato in rete (attenti pero alle bufale!).
Dissi al professore Francesco D’Ascoli che mi servivo del suo
Vocabolario Napoletano per la compilazione del dizionario torrese e lui
mi rispose: “Cosa crede che abbia fatto io e quelli che mi hanno
preceduto. Abbiamo sempre fatto tesoro, possibilmente arricchendo e
modificando (e qui sta il nostro impegno) di quanto hanno scritto i
nostri predecessori”.
Ci sono, però, dei limiti da rispettare. Se riporto l’etimologia di una
parola come “ricchione”, non faccio che riprendere quanto detto e
ridetto da tanti compilatori di dizionari etimologici. Spesso non saprei
neppure chi citare.
Ma se dico che “ricchione” non deriva da orejón = grosso orecchio, nome
dato agli incas dagli spagnoli, per l’uso di forare e allungare il lobo
auricolare ma dico che deriva dal greco “orkhi-pédes = che ha la
strozzatura dei testicoli, impotente” non posso (anzi non devo) tacere
che l’autore di questa nuova interpretazione etimologica e il professore
Carlo Iandolo. E ciò per non vestirmi di penne di pavone.
Quindi, carissimo, c’è situazione e situazione.
Alcuni mesi fa ho avuto il piacere di leggere un tuo testo dal titolo
“Ugone”. Non hai tralasciato occasione per citare in note a pie’ di
pagina autore e titolo di opere dalle quali traevi certe affermazioni. A
me sembra molto corretto un tale procedimento ed è su questo che si
articola tutto il discorso dei “mariuoli”.
Non il “diritto dell’autore”
ma il “dovere di citazione dell’autore”
per non dipingersi da studioso con i fiocchi, mentre si sta facendo un
lavoro che oggi, anche i giovani delle scuole medie fanno con bravura,
nelle loro “ricerche”.
Insomma: più che il rispetto del lavoro altrui sarebbe bene non
esagerare nella supervalutazione del proprio.
La modestia è la virtù degli asini e io songo nu ciuccio.
Oilà Salvatore che piacere averti da queste parti!
Hai ragione tu: abbiamo ragione sia io che Aniello.
Come sempre la storia giustifica le sue azioni sia che si proceda in un
mod che in un altro.
Alla fine ci sono solo forze irrazionali che si scontrano.
Prima (col cartaceo) il potere era in mano agli editori che con la scusa
di proteggere gli autori, facevano soldi. In effetti la gran massa degli
autori era esclusa dalla torta e gli rimaneva solo il contentimo del
diritto morale d'autore.
Ora con internet non abbiamo più bisogno di editori.
Qualcosa paghiamo. Mettendo in internet le opere le ruberanno? Che
facciano pure! Perché alla fine - gira e vota - anche noi abbiamo rubato
da qualcun altro.
Ma è un vero rubere o non invece un riassemblare, contaminare,
reinventare?
Insomma la vita è tutto un gioco. In questo caso il gioco della guardia
e del ladro.
Ma i ladri chi erano Robin Hood e i suoi accoliti o i signorotti
inglesei che arraffavano la vita e la fatica della povera gente per
vivere a sbafo, andando a dire in giro che per ammassare quella
ricchezza si erano fatti il culo?
Felicità
Gennaro
ID: 9873 Intervento
da: salvatore argenziano -
Email:
salvatore.argenziano@fastwebnet.it - Data:
martedì 9 dicembre 2008 Ore:
12.31
Uagliù, avite fatto propeto nu casino! (Voglio
rìcere sulamente Gennaro e Aniello. Nun me permetto ’i parlà ’i burdello
pe tutti ll’ati ca hanno scritto).
Io songo poco struito e mo nun capisco cchiù niente.
Ma ’i qua’ ladrucinio state parlanno?
A libbertà r’a copia-cupiarella è sacrusanta. E si io fosse nu scrittore
e tu me cupiassi, a mme me facissi nu grande onore. (Have raggione
Gennaro).
Ma. pecché roppo che hai cupiato vai ricenno ca è robba toia?
E nce mietti pure a firma sotto? Allora tu sî mariuolo? (Have raggione
Aniello).
Nzomma! A mme me pare ca state ricenno ddoi cose diverze e pirciò
nnunn’aggio capito niente.
E po me dispiace propeto a ddà raggione a tutti dduie. Spiegateve meglio
pe mme ca so’ gnurante e senza chiammá santi e pataterni r’u ppassato a
testimunianze.
Vulimmoce bbene.
Data la res intellectualis chi è il vero ladro?
Vedi Joost Smiers, La proprietà intellettuale è un furto, artic. pubbl.
su http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2001/0109lm28.01.html
Smiers è direttore del centro di ricerche e professore ordinario
all'Università delle arti, Utrecht (Paesi Bassi). In particolare è
autore di Etat des lieux de la création en Europe, Le tissu culturel
déchiré, L'Harmattan, Parigi, 1999.
Vedi ancheL'anticopyright.
Intervista al Giudice Gennaro Francione http://www.scarichiamoli.org/main.php?page=interviste/francione
ID: 9862 Intervento da: Aniello Langella - Email: aniello@langella.net
- Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 21.41
Caro Camillo, smettila di darmi anche tu del dott. sono solo uno
scrittore se ti va bene. Tu sei un puro, un anima dolcemente prodiga, un
cultore della carità e il tuo copia incolla è salutare, anzi porta
salute e benessere.
Rifletti con me, però.
Esaminiamo assieme il termine "EMULAZIONE". Si sei ?
Trova sul vocabolario e commenta assieme a me.
Emulare,....Ma alla fine mi chiedo dopo una pagina e mezza della
Treccani sul termine emulazione a noi che ce ne frega? Che ci azzecca
direbbe il magistrato politico. Ci azzecca, ci azzecca e come!! Emulare
può essere inteso in termini positivi e negativi. Chi emula te
sicuramente esprime un metodo positivo e costruttivo. Ma dal
mariunciello copiaincollista si passa facilmente al talibano.
Mi sono spiegato?
Grazie come sempre.
Semplicemente Aniè
ID: 9861 Intervento da: camillo scala - Email: doncamillo57@libero.it -
Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 20.28
In pieno stile "made italy" e affrancato dai toni alla "volemose bene" a
conclusione di questa interessante e piacevole discussione innescata dal
Dottor Langella
Cucù ...... eccomi sono un copiaincollista non di professione perchè il
mio vero mestiere anzi la mia nobile professione è marittimo.
Innanzitutto per tranquillizzarvi .....i miei tratti somatici non sono
asiatici e i miei capelli non sono riccioluti o forse lo erano un
tempo,detto ciò, per hobby copio e incollo per confezionare un giornale
Torre News sul sito http://www.torremare.net (cliccare per credere),al
solo scopo di informare i miei colleghi sparsi nei porti del mondo e i
miei concittadini sparsi per l'italica penisola. All'uva preferisco le
fragole anche perchè dal primo si ricava un nettare prelibato che non
reggo tanto facilmente, ma visto che l'avete usato per un brindisi
finale ,e visto che in parte sono stato riabilitato .... un bicchiere di
Aglianico lo bevo con piacere. Al ladruncolo o al birichino se proprio
un appellativo bisogna trovare preferisco quello che ironicamente ha
usato il Dottor Langella
" un galantuomo".
Prosit !
Scala Camillo
ID: 9858 Intervento da: la redazione - Email: info@torreomnia.it - Data:
lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 13.47
Dalla rubrica “NON E’MAI TROPPO TARDI” la trama si infittisce, Luigi
Mari, umile per predestinazione laica, per tutta risposta espone la sua
di opinione: testo registrato in chiesa stamane, giorno dell’Immacolata,
un sacerdote ha letto in Comunità Torreomnia la discussione “I
copiaincollisti” e ha detto in pubblico:
”A Torre del Greco è avvenuto il Miracolo dell'Immacolata. Quello che
Torreomnia postula da sempre. Nessuno si è rotolato per terra innanzi al
carro e poi si è librato nell'aria, nessun paralitico si è messo a
camminare. E' accaduto ancora di più. Da uno spunto polemico sui
copiaincollisti in Comunità Torreomnia gli interlocutori del forum
Comunità, avvezzi all'asettico, al pragmatico, al formale, al sussiegoso
e al perentorio, hanno aperto oggi la prima volta per miracolo il
tabernacolo dei loro precordi e hanno liberato il loro cuore di torresi
di una volta comunicando con messaggi di amici e fratelli in Torre ”.
Aziona il tasto PLAY del registratore qui sotto per ascoltare la
testimonianza registrata.
Il sospetto, il timore, la distanza, la permalosità, e spesso la
timidezza, innalzano palizzate tra gli animi. Il senso dell’antagonismo
induce l’uomo a credere che l’ammirazione e il rispetto, può ottenerla
solo il vincente, serioso ed austero, ma questi è un lavoratore
instancabile ed ha poco tempo per crapule, cioncate e convii fraterni,
infittiti di ironici lazzi e frizzi di paese, liberatori, i per
presupposti per l’amicizia. Ma non tutto è perduto, non è mai troppo
tardi.
Luigi Mari
ID: 9857 Intervento da:
Gennaro Francione - Email:
azuz@inwind.it - Data: lunedì
8 dicembre 2008 Ore: 12.38
PS. Col permesso di Gigi e di tutti voi ho
"copiato" tutta la bella,divertente, vinosa discussione con relativo
link in
COPIARE E' UN DIRITTO
pagina già esistente in
http://www.antiarte.it/eugius/copiare_%C3%A8_un_diritto.htm
Felicità
Gennaro
ID: 9856 Intervento da: Gennaro Francione - Email: azuz@inwind.it -
Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 12.33
In aglianico veritas.
E con questa massima (semicopiata) auguro a te e a tutti un felice dì
Un avanbraccione(abbraccio da avanguardie, l'ho copiata dal mio amico
comico Chiocchi di Zelig)
Gennaro
ID: 9853 Intervento da: Aniello Langella - Email: aniello@langella.net -
Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 10.03
BUONGIORNO GENNA'
e buongiorno a tutti i copiaincollisti della storia dell'umanità.
Incazzato io ? Per nulla, anzi. Profondamente divertito e stimolato. E
come potrei incazzarmi con voi e in particolare con te?!?
Verrà il giorno nel quale il Giudizio sarà identico per tutti, senza
pregiudizi. E verrà anche il giorno nel quale tutta l'umanità, piccola,
meschina e fragilissima sarà liberata da ogni ideologia. E così
trasmettere il pensiero diventerà piacere, seduzione e qualche volta
anche dovere. Io provo questi sentimenti: piacere seduzione e dovere, ma
il mio pensiero non son certo possa aggiungere un plus valore al
contesto. Io sono semplicemente un uomo pensante e nel momento che
penso, io sono. Cacchio,...quasi quasi mentre scrivevo mi son reso conto
di aver copiato qualcuno che questa frase l'ha pensata prima di me. Ma
cos'è la vita e il pensiero stesso se non una clonazione più o meno
evoluta di un atto creativo primordiale? Forse è proprio in questo il
grande mistero del pensiero dell'uomo. Credere di essere unico
deppositario dell'esistenza stessa e alla fine raccaoricciandosi,
giungere alla conclusione che egli stesso è un clone imperfetto del
creato,...compreso nel suo pensiero.
Grazie per la bellissima cavalcata a rotta di collo tra le pagine del
pensiero. Grazie come sempre per non aver condiviso le mie idee. Non
sono affatto incazzato ma piacevolmente divertito e arricchito, perchè
grazie a voi tutti ho imparato un'altra cosa: il rispetto delle idee e
forse anche la loro parziale condivisione.
Pronto il bicchiere di aglianico che non è mai stato riposto. Pronto!!
Grazie,...ma non finisce qui perchè alla prossima vorrò cimentarmi con
voi, ovviamente su un argomento che mi sta profondamente a cuore:
esaminare le possibilità di recupero,...ovviamente della mia amata
terra.
Prosit, Gennà Aniello
ID: 9852 Intervento da: Gennaro Francione - Email: azuz@inwind.it -
Data: domenica 7 dicembre 2008 Ore: 23.55
Oh Aniè che ti sei incazzato?
A me mi hai fatto ridere con tutti i libri (Promessi sposi, Divina
commedia bla bla bla) che hai scritto.
E dai facciamoci una bella bevuita sopra!
D'altra parte meditavo che col tuo scherzetto hai dato una risposta
anticopyright.
Ma che gusto ci prenderebbe un cristiano o mussulmano o buddista a
copiare intergalmente l'opera altrui?
In effetti ogni opera nuova(nuova?) è un riassembleaggio di opere
preceedeti, esperienze vissute, sensazioni catturate da libri,
televisioni, radio, film etc. Insomma un furto consapevole o
inconsapevole di frammenti altri.
Su quel furto però si basa la trasmisisione della conoscenza.
Ad es. quando io ho scritto l'Avaro(finalista al premio Betti) cosa ho
fatto se non ripercorree un snetiero già tracciato sull'avaro comico da
Ghelderode, Molière, Goldoni, Plauto, i fescennini. L'avaro è sempre lo
stesso con varianti ma chi è l'autore originario? Forse l'uomo primitivo
che per primo arraffò il pezzone di carne e se lo tenne per sé tanto diq
uel tempo che la bistecca gli marcì tra le mani e dovette buttarla.
Scrivi, inventa e lascia perdere se qualcuno ti copia. Come si dice:
"Chi non è senza copiatura, scagli il primo tomo...".
Sì facciamoci una bella bevuta di vino Agliatico. Una copia del
chianti... dicono...
Boh
Bonanotte
Gennaro
ID: 9851 Intervento da: Aniello Langella - Email: aniello@langella.net -
Data: domenica 7 dicembre 2008 Ore: 23.15
NON PENSAVO DI SCATENARE TANTO INTERESSE ATTORNO A QUESTO FATTO.
Ma vi dirò che mi avete convinto tutti. Indistintamente tutti. Si!! il
copiaincollista è un galantuomo.
E affinchè possiate condividere la mia gioia per aver trovato la verità,
vi annuncio in anteprima che presto verranno pubblicati ben 8 libri che
ho scritto in tanti anni di sacrifici e stenti. Tenetevi forti signori
lettori e copiaincollisti inclusi.
In gennaio verranno dati alle stampe i miei 8 libri. Voi siete i primi a
saperlo. E per vostro godimento vi comunico anche i titoli.
Il Milione di Aniello Langella. Questo raccontino è la storia del mio
viaggio nella lontana Cina.
Barnabo delle Montagne di Aniello Langella. Barnabo è un romanzo
introspettivo quasi autobiografico.
UROBORNAUTA: VIAGGIO NEI MONDI MAGICI di Aniello Langella. Straordinaria
poesia del cyberspazio e della magia.
Da Magonza a Torre del Greco di Aniello Langella. Qui mi sono proprio
divertito a scrivere la storia della stampa.
I Promessi Sposi di Aniello Langella. Romanzo bellissimo con personaggi
mai visti: Don Rodrigo, Renzo, Lucia, l'Azzeccagarbugli ecc.
Per chi suona la campana di Aniello Langella. Anche questo è un
romanzone del quale hanno fatto anche un film, prima ancora che io lo
dia alle stampe. Non ho capito com'è potuto accadere, ma credetemi: dico
il vero. Lo giuro.
La divina Commedia - sempre dello stesso autore, cioè io, me stesso
medesimo. Straordinario viaggio tra personaggi della storia passata alla
ricerca della fede tra Infermo, Purgatorio e Paradiso. Mio maestro è
Virgilio, copiaincollista, anch'egli.
E alla fine il romanzo più bello che abbia mai scritto nella mia vita,
ambiantato in Russia:
Guerra e Pace,...ovviamente scritto sempre da me medesimo.
Ma faciteme 'u piecere,...signori copiaincolllisti!! Se questi romanzi
li avessi firmati io oggi, mi troverei contro tutto l'Universo, compreso
Iddio in persona con la frusta in mano. Altro che copyright e codice
civile. LA FRUSTA!!
Vogliamoci bene. Come dice Angelo Guarino. Aniello
ID: 9844 Intervento da: Marisa Borrelli - Email:
borrellimarisa@tiscali.it - Data: domenica 7 dicembre 2008 Ore: 13.32
Bla, bla, bla. Oggi si pone tutto dietro lo scientifico, con la scusa
dell'allenamento culturale o della posizione professionale di alcuni, e
si finisce per trascinare gli altri sulle proprie idee. Pure il "porgi
l'altra guancia" viene dottrinalizzato.
Il mariuolo, però, rimane sempre mariuolo, la puttana rimane sempre
puttana. A parte i casi di costrizione o induzione (sfruttamento e
aggregazione eslege) mariuoli e puttane potrebbero astenersi non già di
fare il loro mestiere, sono affari loro, ma semplicemente di non trovare
la scusa della fame, perché trovano sempre l'idealista di turno che li
difende.
Riecco l'irriducibile predicatore con la fissa del perdono, ed ogni
volta che lo leggo mi convince, perché, forse senza volerlo pizzica le
nostre corde emotive, ci mette di fronte alla generale ipocrisia e al
nostro egocentrismo irreversibile. Ha troppo Vangelo nelle meningi,
forse lo ha stampato spesso in passato, ma la realtà è ben altra, è
pragmatica, è matematica, non c'è emozione e teofilosofia in essa,
sebbene i suoi pezzi abbiano una gradevolezza stilistica non comune.
Dopo l'utopia comunista, le rivoluzioni inutili nessuno si illude che
l'umanità possa smettere di dividersi in persone che fregano ed altre
che rimangono fregate, e senza lotte che tengano.
Il copiaincollista frega, e chi scrive viene fregato. Per evitare questo
l'autore dovrebbe rinunciare al suo bisogno di ammirazione e forse al
complesso di sentirsi migliore, più istruito, ingegnoso e capace degli
altri, ma come verrebbe sorretta la sua psiche, la sua necessità smodata
di apparire superiore?
Così leggo le teorie dell"l'idealista" che ha avuto dal Signore la forza
di non stare un minuto fermo, bersagliando con messaggi ripetitivi,
noiosi, impositivi e tremendamente scolastici, a raffica, (che per
reazione all'imposizione non vengono più nemmeno aperti), dietro la
capacità o la debolezza di essere irremovibile nelle proprie idee,
ignorando che nessuna presa di posizione è giusta in assoluto, perché il
giusto è sempre un punto di vista, finendo, incapace di soluzioni,
l'uomo, con l'affermare che la verità sta nel mezzo.
Marisa
borrellimarisa@tiscali.it
ID: 9840 Intervento da: Gennaro Francione - Email: azuz@inwind.it -
Data: sabato 6 dicembre 2008 Ore: 15.57
L'ANTICOPYRIGHT DI FRANCIONE
Come sapete sul punto io penso che la proprietà intellettuale è
dell'umanità e che l'autore singolo ha solo la detentio (possesso in
nome d'altri) dell'opera da lui creata grazie agli apporti dell'umanità
senza i quali nulla avrebbe costruito.
Per esemplificare pragmaticamente allo stato riporto un pezzo del mio
amico Gigi (Trilemma, non Mari, anch'egli mio grande amico) che ha la
bontà di citarmi:
CITAZIONE E PLAGIO - T.S. Eliot
I poeti immaturi imitano. I poeti maturi rubano
FINO A CHE PUNTO LA CITAZIONE E’ LECITA?
Il decreto legislativo n. 68 del 9 aprile 2003, emanato in attuazione
della direttiva 2001/29/CE “sull'armonizzazione di taluni aspetti del
diritto d'autore e dei diritti connessi nella società
dell'informazione”, ha introdotto importanti novità nel corpo della
legge n. 633/1941 sul diritto d’autore: due riguardano il diritto di
cronaca e di critica costituzionalmente garantito.
La nuova normativa tutela ampiamente il diritto di cronaca, modificando
e integrando l’articolo 65 della legge n. 633/1941 sul diritto d’autore
con un comma (il secondo, aggiunto di sana pianta) molto chiaro: “La
riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti
utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità è consentita ai fini
dell'esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo
informativo, sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la
fonte, incluso il nome dell'autore, se riportato”. Questo comma affianca
il primo, che fino al 28 aprile costituiva l’intero articolo 65: “Gli
articoli di attualità, di carattere economico, politico,
religioso, pubblicati nelle riviste o giornali, possono essere
liberamente riprodotti in altre riviste o giornali, anche radiofonici,
se la riproduzione non è stata espressamente riservata, purché si
indichino la rivista o il giornale da cui sono tratti, la data e il
numero di detta rivista o giornale e il nome dell'autore, se l'articolo
è firmato”.
In pratica il nuovo articolo 65 giustifica la riproduzione o la
comunicazione al pubblico di opere dell’ingegno (e l’espressione
“comunicazione al pubblico” abbraccia anche i media dell’ultima e
penultima generazione, quali il web e la tv) con l’esercizio del diritto
di cronaca sia pure contenuto nei limiti “dello scopo infor- mativo”.
Il legislatore sostanzialmente ha recepito, con 31 anni di ritardo, una
massima giurisprudenziale ricavata dalla sentenza 15 giugno 1972 n. 105
della Corte costituzionale: “Esiste un interesse generale alla
informazione - indirettamente protetto dall’articolo 21 della
Costituzione - e questo interesse implica, in un regime di libera
democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle
medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei,
alla circolazione delle notizie e delle idee”.
Anche l’articolo 70 della legge n. 633/1941 ha subito un significativo
ritocco che allarga la libertà di critica e di discussione collegata
all’impiego di parti o brani di parti di opere dell’ingegno: “Il
riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e
la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di
critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se
effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo
deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non
commerciali”.
La novità rispetto alla vecchia normativa è costituita dall’espressione
“comunicazione al pubblico”, che abbraccia, come riferito,
l’utilizzazione di tutti i mass media, vecchi (giornali e radio) e nuovi
(tv e web). Ne consegue che “il riassunto, la citazione o la
riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al
pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di
dicussione”[1].
Insomma, di fondo, è consentita l'utiliz- zazione a scopo di critica,
discussione o insegnamento, purché si citi la fonte e si usi il
virgolettato, per
pezzi più lunghi o di particolare valore stilistico-espressivo. Anche a
livello di danno, non sembra che l'autore possa riceverne quando un
altro autore lo citi più o meno estesamente, così contribuendo alla
diffusione delle sue informazioni facendo nel contempo pubblicità
"gratuita" alla sua opera.
Ma vediamo alcune regole pratiche alla luce del mutato spirito
alimentato dalle nuove tecnologie informatiche di scrittura e di
diffusione delle opere.
1) Nella qualità: quanto più si discute o si critichi un assunto tanto
più si può citare.
2) Nella quantità: quanto più è vasto il "tuo" scritto rispetto a quello
citato, tanto più sei in regola.
3) Nella tecnologia imperante della super- informazione resa facile dai
sistemi riproduttivi, la valutazione della citazione proibita si
restringe, proprio per la facilità di trasferimento dei dati da altra
fonte, dove quello che conta è il trasferimento veloce delle
informazioni, a poco contando le modalità espressive di un concetto.
Nell’assemblaggio e rielaborazione di masse di dati per lo strumento
usato è più facile che pezzi rimangono intonsi contando, comunque,
l’animus di riformulazione di idee, situazioni, immagini per trasmettere
informazioni e non certo per rubarle ad altri, spacciandole come
proprie.
4) La divulgazione storica si basa su una catena di informazioni
trasferite da uno studioso all'altro a partire dall’originario
ricercatore, il quale ovviamente ha funzione diversa da chi divulghi,
sintetizzi, commenti risultati di originarie ricerche. Ogni autore
storico copia-cita qualcun altro e la cultura si fonda paradossalmente
proprio sulla trasmissione dei concetti tratti da altra opera.
5) Ne deriva come corollario che un autore, purché virgoletti e citi la
fonte, può riportare integralmente catalogazioni fatte da altro autore
in campo storico, scientifico etc. proprio per divulgare i risultati
analitici di quella ricerca essendo questo nello spirito dell’originario
catalogatore.
6) Un'unica eccezione a quest'amplissima possibilità di riprodurre è il
caso di opera letteraria o di "saggistica estetica", scritta cioè con
uno stile personale tale da rasentare il letterario.
Qui, invece, s'impone il rigore, con l'uso limitato della citazione,
riportando accuratamente la fonte e usando il virgolettato, in quanto
l'autore susseguente non può assumere come sue forme stilistiche che
sono proprie di chi l'ha receduto.
Per concludere, considerando l’idea di plagio un mito inesistente,
riteniamo che il campo di predicabilità dell’uso illecito di opera
altrui è notevolmente ristretto, anche alla luce dell'art. 21 della
Costituzione e della massima citata della Corte Costituzionale. Ciò in
linea con la visione anticopyright del giudice Francione, il quale
ritiene che il profitto primario di un autore è uno solo: vedere diffusa
la sua opera in qualunque forma o con qualunque mezzo[2].
E' questo l'interesse anche del vero proprietario di qualunque diritto
d'autore, l’Uomo in Grande, il quale da sempre non fa che diffondere le
sue informazioni nella massa interrelazionale, in ciò “ripro- ducendo”
l’agire dell’Universo che, senza scambio e copia d’informazioni per
prove e riprove, neppure sarebbe com’è adesso. Forse non sarebbe
proprio.
Gigi Trilemma
[1] Il nuovo diritto
d'autore estende cronaca e critica di Franco Abruzzo - 22.05.03 , da “Il
Sole
24 Ore” del 3 maggio 2003, rip. da
http://www.interlex.it/copyright/abruzzo11.htm
[2] Così nell’editanda opera di Francione No copy, no party – Sentenza
anticopyright prima e dopo.
- Comitato per la salvaguardia della Cultura Europea
da http://italy.indymedia.org/news/2005/11/921165.php
ID: 9837 Intervento da: massimo visciano - Email:
visciano.massimo@libero.it - Data: sabato 6 dicembre 2008 Ore: 00.47
Miei cari amici torresi, rispondo ad Aniello (ed escludo il dottore,
come egli vuole). Sul piano pratico tu hai perfettamente ragione. Il
ladro è ladro sin dai tempi dei 10 comandamenti e non basta una
disquisizione per sovvertire il concetto.
Intanto se un ladro viene in casa tua e lo spari sicuramente ti prendi
almeno 20 anni di carcere se non dimostri la legittima difesa. Se il
ladro ammazza te con attenuanti e indulto può cavarsela com molto meno.
Vedi che non sempre la logica è comune.
Nessuno mette in dubbio che di una fatica letteraria va rispettata
almeno la paternità prima dei diritti pecuniari. Quindi il tuo discorso
fila ed è giusto, ma credo che Luigi voglia dire che le ruberie
camuffate da leggi comode ed egemoniche non sono da meno di un plagio,
in un mondo dove la corruzione assume canali capillari.
Una volta Billy Gates ha detto ad un giornalista che lo intervistava
sulla pirateria che duplica, ad esempio, un softvare Autocad che costa
migliaia di euro:
"Quello che si perde in contraffazione si guadagna in diffusione e
pubblicità".
Mi sembra di capire che Luigi voglia dire (nel suo stile gradevolmente
letterario) che se il tuo lavore venisse copiaincollato conservandone la
paternità sarebbe più un vantaggio che una perdita.
Al di là dei vari punti di vista io ti domando: I politici vengono
criticati perché l'opposizione critica aspramente gli errori della
maggioranza, ma non dà quasi mai soluzioni. Tu pensi che questa
"anomalia" moltiplicatissima nella rete si possa risolvere? Se no
bisogna rassegnarsi e annoverarla ai mali irreversibili della vita come
i terremoti, le malattie, gli errori giudiziari, ecc.
Navi, aerei ed automobili hanno rivoluzionato il mondo con un progresso
insperato, ma puntualmente mietono milioni di vittime all'anno. Ad
internet che ha reso il pianetnte una famiglia intercomunicante senza
più distanze, attese, lungaggini dei reperimenti cartacei, ha i suoi
lati negativi come il copiaincollismo, che se si confronta alle truffe,
alla pedofilia, al terrorismo camuffato, essa è ben più meno
preoccupante.
Ti saluto con stima. Massimo
massimo.visciano@libero.it
ID: 9836 Intervento da: Aniello Langella - Email: aniello@langella.net -
Data: venerdì 5 dicembre 2008 Ore: 23.51
Troppo bello questo discorso, troppo affascinante per restare
impassibili davanti a tante considerazioni. Mi sento disarmato dopo
l'erudito discuisire di Luigi che prego di non chiamarmi più Dott. Io
sono Aniello, quello di vicolo Gradoni e Canali. Sono restato sempre
uguale e il titolo, più tempo passa e più mi fa sentire vecchio.
Capisco Luigi e capisco Massimo. Ma io vi pongo solo delle piccole
considerazioni.
Se il mondo della conoscenza fosse fatto di uomini corretti, leali,
sinceri e positivi, si potrebbe giustificare il mestiere del
copiaincollista.
Nella foto a lato: "Metti quà le mie lettere, mariuolo! Sono
incazzatissimissimo"
Se di contro ci accorgiamo che il nostro stesso pianeta è abitato da
facinorosi, untuosi e beceri approfittatori, vi sembra giusto donare il
prodotto del lavoro dello studio e del sacrificio così liberamente e
gratuitamente?
Francione ha ragione. Luigi ha ragione. Ma la realtà è diversa.
Occorre secondo il mio parere (piccolo piccolo) regolamentare anche il
mondo della rete e comunque dargli dignità con regole. E' un boccone
troppo amaro da ingoiare, quello di vedere il proprio lavoro
completamente svuotato e comcesso senza onore a tutti. Anche il Vangelo
sottolinea il senso del sacrificio.
Mi ripeterò ma voglio raccontarvi una brevissima storiella che è tratta
dal pensiero greco. Mi colpì molto quando ne venni a conoscenza e dal
giorno che la lessi la feci mia come regola morale nella vita e
soprattutto nel lavoro quotidiano..Su un vaso greco intorno agli anni
'50 venne trovato inciso un verso che suonava pressappoco così:
" ...tu che conosci il sapore delle fragole, non riuscirai mai a
comprendere il sapore dell'uva...".
Molti studiosi si calarono a "leggere" in vario modo il verso, ma alla
fine dopo mesi di studio fu sentenziata l'intrepretazione. Il nostro
anonimo egeo voleva dire semplicemente che colui che avvezzo a gustare
il sapore delle fragole che crescono spontaneamente e senza nessun
ausilio e nè lavoro, non potranno mai comprendere il gusto dell'uva che
per crescere e maturare ha bisogno del lavoro della concimazione, della
potatura, della raccolta e raramente cresce spontaneamente.
Caro Massimo e caro Luigi, rispondete pure, ma cercatemi un mangiatore
di fragole.
Voi due siete dei gentlemen e con voi parlo come se stessi comodamente
al bar seduto. Francione, mi trovi il mangiatore di fragole, lo porti
sul banco e poi vedrete come sarà complesso disquisire.
Con stima Aniello Langella
ID: 9827 Intervento da: Luigi Mari - Email: info@torreomnia.it - Data:
venerdì 5 dicembre 2008 Ore: 16.33
Cari amici,
devo innanzitutto ringraziare il Dott. Langella che ha introdotto questo
argomento a suo dire polemico, invece interessante. La discussione non
vuole essere una diatriba tra due individui. Aniello e Luigi come
individui che amano, che soffrono, che gioiscono, che lavorano c’entrano
ben poco con la concettualità trattata, che dai due, magari, può essere
contrastata o condivisa, a seconda del mosaico evolutivo personale, del
proprio orientamento professionale, dei vissuti e della influenza
domestica o comportamentale etnico.
Scrivere è facile, essere capiti è difficile. Siamo talmente presi dalla
foga dei nostri convincimenti che non assimiliamo le opinioni degli
altri, se non sono molto chiaramente pedisseque alle nostre.
Orbene (come dice il caro Aniello Langella) io ho premesso nel pensiero
descritto precedentemente quanto segue:
Qui accuso il copiaincollista, ma solo secondo le leggi vigenti:
(…) Il copiaincollista ruba, c’è poco da giustificare secondo le leggi
ancora vigenti,”.(…)
(…) Non è la stessa cosa per il COPIASTAMPISTA, che pochi conoscono, è
il saccente e sedicente pseudo giornalista, che COPIA E STAMPA
usufruendo dell lavoro degli altri in quella manna dal cielo che per
egli è Internet. Come accade anche in rete il copiastampista è poco
onesto perché si sostituisce all’autore facendo propria pari pari la
fatica che non è sua. Anche se il materiale viene manipolato la fonte
deve essere citata. E’ una questione di lealtà..(…)
E qui non difendo, ma tollero il copiaincollista senza giustificarlo,
per il rispetto delle leggi vigenti sulla proprietà, giuste od ingiuste
che siano:
(…) Chi non è copiaincollista, almeno in parte, scagli la prima pietra!,
verrebbe da dire. E da aggingere: chi non lo ammette si nasconde dietro
un dito, come si suol dire. (…). (…) Quindi, infondo, mai tutto è
originale in assoluto, poiché tutto dissero i greci e i latini. La
storiografia, ad esempio, è un antico “copia e incolla” chiamato
“ricerca”. Infatti si diceva prima di Internet: “Chi copia pari pari un
testo fa plagio, ma chi copia qua è là fa solo ricerca, ed aggiorna la
storia”, ma comunque è un copiare anche se frammentato (…)
Il Dott. Langella che risponde con questa sintesi:
(…) Tu prova a piantare un albero di albicocche in giardino. Seguimi nel
discorso, perchè questo lo dicevano già i greci 2500 anni fa,... tu lo
pianti, dicevo, poi lo curi, lo innaffi e lo concimi; attendi con
trepidazione i primi caldi e osservi la crescita delle gemme e dei
fiori, poi; in estate quando i frutti sono maturi, tondi, succosi e
colorati, ti passa Pinco o Pallo e ti fotte le crisommole... mi spieghi
caro Massimo come reagisci. Il copiaincollista è un ladruncolo, un
mariuolo nascosto dietro il monitor che non ha letto mai una pagina del
Braccini, del Brejslak, pel Mercalli, del Melloni,.... perdonami ma mi
hai stuzzicato. (…)
La “parabola”, per così dire, della frutta rubata esposta dal Dott.
Langella, non fa una grinza, sempre secondo le leggi vigenti e una certa
logica comune, antiche ed universali. E non è nemmeno il caso di
scomodare il “settimo” del Decalogo, o la clamorosa sentenza del giudice
Francione che giustificò chi usufruisce della contraffazione per fame.
Nè è il caso di discutere il concetto di proprietà legiferato sempre dai
ricchi, che consente di “pagare” per una vita intera quattro o anche
cinque volte un appartamento in fitto che non sarà mai proprio e
riscattato. Nemmeno più la speranza della compera riscattabile. Si
conosce oramai la vergogna dei mutui.
Infatti se si vedono le cosa sotto un’ottica non convenzionale, più
analitica, ad esempio affine alla rivoluzionaria teoria heinesteniana
col famoso esempio: “è il treno che corre o è la terra che si sposta
sotto le ruote, cambiando rispettivamente i punti di vista”.
1) Come ha ottenuto la terra per coltivare il contadino? E’ un colono o
un proprietario con rendita e plusvalori speculativi?
2) L’operaio fabbricatore di concimi chimici è stato ben pagato e
tutelato in fatto di rischi della salute?
4) Il fabbricante di semi è per caso orientale magari bambino sfruttato?
5) Zappa, vanga, stivali, vengono forse fabbricati da operai cinesi
sottopagati?
6) Quale compenso si dà all’ideatore del trattore che offrì all’umanità
il suo ingegno?
7) L’acqua piovana che irriga, il sole che irrora, la terra fertile
vengono pagate in affitto a Dio?
8) Il raccoglitore di frutta, pomodori o quant’altro sarà mica un
extracomunitario sfruttato con 10 euro al giorno?
9) Il medico fitofarmacologico non sarà mica legato o connivente al
Primario Pinco che toglie i polmoni sani alla gente per lucro?
Etcetera, etcetera, etcetera. Si potrebbe continuare all’infinito per
mettere in dubbio il concetto di proprietà e soprattutto le differenze
di classe tra mente e braccio, e come quest’ultimo sia molto più utile e
necessario e spesso ingegnoso, rispetto al concetto speculativo di
cultura, spesso inerte e costruttrice solo di nodi mentali che a volta
diventano sostegni egemonici e soggiogatori di millenarismi distorti
rispetto all’autenticità e semplicità della vita .
Povero copiaincollista, dopo questo discorso, quasi mi fa pena, quasi lo
amo di più e lo assolvo. Vieni, tesoro, vieni in Torreomnia, copia e
incolla ciò che vuoi. Passa il tuo topo elettronico su tutte le 30.000
foto, e i 28.000 testi, sui filmati messi da Torreomnia su Youtube e
falli tuoi, se li condividi; diffondili dove vuoi. Noi collaboratori
tutti di Torreomnia abbiamo creduto di aspergere nella rete amore e
radici nobili del passato, come una sorta di abluzione planetaria,
sacrificando l’individualismo e la mania di protagonismo egocentrico,
che sono carenze non facilmente colmabili per molti di noi succubi
dell’antagonismo, del complesso del primo della classe.
Più ci copiano e più lo scrigno delle nostre menti fedeli alla terra
natia si apre per sciorinare sul globo tutti i nostri gioielli
spirituali d’amore di solidarietà quali fratelli in Torre.
Il bello, il bene e la cultura sono per Torreomnia un enorme desco
imbandito a cui non si rifiuterà mai un posto a tavola, per chi ha
bisogno di nutrire lo spirito offrendoci in cambio ciò che Dio gli ha
concesso: la sua capacità idraulica; la sua abilità di accostare mattoni
edilizi; la sua scopa per tenerci la città pulita; la faccia claunesca
volontaria per il sollievo dei malati e i sofferenti; il suo sacrificio
sul mare per trasportare cibo, medicinali, carbone, tra nazione e
nazione.
Luigi Mari
ID: 9825 Intervento da: massimo visciano - Email:
visciano.massimo@libero.it - Data: venerdì 5 dicembre 2008 Ore: 00.32
Ciao Aniello,
si, sono torrese, ma faccio un lavoro itinerante per tutta Italia. A
riguardo del tuo risentimento per chi copia e incolla i tuoi studi è
comprensibile. Luigi fa un discorso troppo profondo, analitico,
psicologico, come al solito, e finisce con lo giustificare i
copiaincollisti anche se in senso lato.
D'Altra parte non ci sono leggi idonee per proteggere i diritti d'autore
in rete perché il prodotto plagiato dovrebbe essere prima coperto da
copyright secondo le norme vigenti. E purtroppo molti lavori protetti da
Siae o legislativamente dalla Procura della Repubblica (avvocatura dello
Stato) vengono scopiazzati irrimediabilmente.
In non so se tu sei stato già plagiato in passato con il cartaceo, ma
pubblicare su Internet è come mettere la carne innanzi alle fiere.
Se uno studioso non vuole che i ladri sgraffignino il proprio operato
deve rinunciare a lasciare le proprie opere in una libreria universale
sprotetta. Certo così viene sacrificato anche il protagonismo e
l'esibizionismo di tutti gli autori quando si tratta di una vetrina
internazionale, ma tutto ha un costo.
Comunque tu hai perfettamente ragione di incazzarti. - Massimo.
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