Copiare è un diritto
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Il copyright è "la sifilide del territorio digitale" (R. Stallman).

Lautreamont: perché le idee progrediscano è necessario il "plagio" (e, quindi, anche la sua pre-condizione, cioe' la "pirateria", la riproduzione libera nota wuming

www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap1iii.html#copyright).

- Rosa Montero

la cultura è sempre così, strato su strato di citazioni su citazioni, di idee che provocano la nascita di altre idee, scoppiettanti carambole di parole che attraversano il tempo e lo spazio

 

 

LA SFIDA DEGLI ANTIBREVETTO "COPIARE È UN DIRITTO"

La Open-Cola sfida Coca e Pepsi, rivela la propria ricetta di produzione e dice: copiatemi. Linux, il programma di software gratuito, in pochi anni è diventato il primo rivale del Windows di Microsoft. Ora c'è Wikipedia, l'enciclopedia online che tutti possono copiare e integrare aggiungendo nuove definizioni. E il popolo dei teen-agers continua imperterrito a copiare musica gratis da Internet e si rifiuta di pagare le case discografiche.
La rivolta contro la proprietà privata delle opere dell'ingegno invade nuovi territori. Abbasso il copyright, viva il copyleft, è lo slogan di un movimento anticapitalista che nasce nel cuore del sistema. Tra right e left il gioco di parole allude a destra e sinistra, ma non solo: contrappone il diritto d'autore remunerato e la "copia lasciata" a disposizione di tutti, la libertà di copiare. Open-Cola è il primo caso di un prodotto di consumo che nasce con "formula aperta", nel senso che il produttore regala sul suo sito Internet le istruzioni per fabbricarlo, ed è aperto a ogni suggerimento per migliorarlo.
Il modello è copiato dal mondo dell'informatica, dove fin dalle origini una corrente libertaria e anticapitalista cercò di impedire l'appropriazione privata delle innovazioni a fini di profitto. Nel lontano 1975 - agli albori del personal computer - nella Silicon Valley californiana nasceva il celebre Homebrew Club, un'associazione di giovani ricercatori appassionati di nuove tecnologie, ostili agli interessi della grande industria, e pronti a tutto pur di impedire che l'establishment si impadronisse delle loro scoperte. Lì nacque il termine hacker, che all'origine non designava i cyberpirati bensì i giovani scienziati animati da ideali antiautoritari e dal sogno di promuovere la massima diffusione sociale delle nuove tecnologie.
Nel 1984 l'informatico Richard Stallman del Mit lanciò la Free Software Foundation e il movimento dell'open source - "sorgente aperta" - per promuovere la divulgazione gratuita dei codici-sorgente che custodiscono i segreti di funzionamento dei programmi di software. L'etica hacker ha trovato poi un alleato insperato e prezioso nella logica dell'efficienza. Via via che il computer diventava uno strumento di massa, e l'industria del software (Microsoft in testa) sfornava a getto continuo nuovi programmi, molti informatici si sono persuasi che la formula del software aperto si presta meglio a veloci correzioni e perfezionamenti. Il segreto industriale che circonda i sistemi Windows, per esempio, fa sì che solo i tecnici della Microsoft possono correggere i difetti che regolarmente accompagnano le prime versioni.
Se invece tutti possono partecipare attivamente al miglioramento del prodotto, lo sforzo corale dei consumatori motivati può dare risultati eccellenti. All'inizio degli anni Novanta lo studente finlandese Linus Torvalds lanciò il più celebre sistema operativo open source, "sorgente aperta". Il suo Linux è disponibile gratis su Internet, è una valida alternativa a Windows (lo usano già 18 milioni di computer in tutto il mondo ed è consigliato nientemeno che dalla Ibm), potete modificarlo, copiarlo, regalarlo ad altri senza pagare un centesimo. In cambio della gratuità gli utenti sono invitati a segnalare errori e a migliorarlo. Un gruppo di esperti seleziona le proposte valide, e così Linux è in costante progresso grazie al volontariato di milioni di appassionati informatici. Chi introduce una modifica di successo viene anche premiato con riconoscimenti accademici, tale è il prestigio di Linux negli ambienti universitari americani.
Sulla scia di Linux il movimento copyleft si trasforma in valanga. Ora ha anche una legge che lo tutela, la General Public License: quando un prodotto nasce con il marchio copyleft, può essere copiato cambiato e distribuito da chiunque, ma sempre con l'obbligo della gratuità. Nessuno può fare il furbo, brevettarlo e impadronirsene a fini di profitto. La popolarità del copyleft si salda con vari fenomeni di rigetto del copyright. C'è stato il celebre caso Napster, il sito che ha permesso a milioni di adolescenti di "scaricare" da Internet canzoni e brani musicali senza pagare un centesimo di diritti d'autore. Condannato un anno fa dal tribunale di San Francisco, Napster ha generato però dozzine di cloni, altri siti che continuano a sfuggire alla caccia delle case discografiche. Crollano le vendite dei cd, e un'intera generazione di teen-agers ormai dà per scontato che la musica non si paga.
A San Francisco è nata l[b4]Electronic Frontier Foundation per difendere le libertà civili nell'èra digitale: tra l'altro promuove un modello di copyleft chiamato Open Audio License, per i musicisti che vogliono offrire le loro opere gratis su Internet senza finire nelle grinfie dell'industria discografica. In un campo molto diverso, l'industria farmaceutica è sotto assedio per l'esosità con cui pretende di estrarre profitti dai suoi brevetti, vendendo farmaci salvavita (come le cure anti-Aids) a prezzi inaccessibili per i paesi poveri. Dopo l'11 settembre un colpo inaspettato alle multinazionali farmaceutiche lo ha sferrato George Bush, che ha piegato le leggi sui brevetti imponendo alla Bayer di dimezzare il prezzo dell'antibiotico per l'antrace.
Wikipedia è l'enciclopedia online che permette a chiunque di modificare e integrare le sue "voci". E' un puro prodotto copyleft, ha già 20.000 articoli e ogni mese si arricchisce di nuovi contributi. "Alla gente piace l'idea - dice il suo caporedattore Larry Sanger - che la conoscenza possa essere distribuita e sviluppata liberamente". Ma l'esperimento più rivoluzionario di copyleft riguarda nientemeno che un processo in tribunale. Lawrence Lessig, uno dei massimi giuristi dell'università di Stanford, sta preparando una causa storica contro la legge americana sui diritti d[b4]autore.
Lo fa per conto di un editore online, la Eldritch Press, che vorrebbe offrire su Internet libri il cui copyright è scaduto, ma è penalizzata dalla nuova legge Usa che ha esteso la durata del copyright da 50 a 70 anni dopo la morte dell'autore. Il giurista Lessig ha lanciato un appello a tutti gli studenti di diritto delle università americane, da Stanford a Harvard, perché contribuiscano a definire assieme a lui gli argomenti legali per contestare la legge sul diritto d'autore. E' nato così il primo caso di Open-Law: gli argomenti legali sono a disposizione anche di altre associazioni di cittadini che si mobilitano contro il copyright. "In un mondo in cui cresce l'opposizione al potere delle grandi aziende, ai diritti restrittivi sulla proprietà intellettuale e alla globalizzazione, l'open source emerge come una possibile alternativa, un mezzo per contrattaccare" ha scritto Graham Lawton sul New Scientist.
Con il copy-left anche il movimento no-global può scoprire di avere un'altra freccia al suo arco: proprio in America, nel centro del capitalismo mondiale, la legge consente di vietare la proprietà privata.

(LA REPUBBLICA)

 

 

Richard Stallman

Roma, 05/12/97

"Il copyright è di destra, il copyleft è di sinistra"

http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/s/stallman.htm

SOMMARIO:

bulletL'intervistato introduce il concetto di software libero, partendo dalla presentazione del sistema operativo al quale lavora ormai da 14 anni, il sistema GNU (1) (2).
bulletEsiste una Free Software Foundation che raccoglie fondi per il finanziamento dei programmatori che lavorano alla realizzazione di software libero. Molti di questi programmatori sono solo dei volontari e il loro lavoro è stato molto facilitato dal kernel "Linux" (3).
bulletIl lavoro da realizzare per il futuro è quello di rendere anche il software libero semplice da utilizzare per l'utente che non è un programmatore esperto (4).
bulletIl concetto di software libero si oppone nettamente a quello di copyright e all'idea che chi scrive qualcosa abbia, poi, il diritto di decidere cosa devono farne gli altri (5).
bulletIl software libero si vende e il denaro ricavato, in particolare nel caso della Free Software Foundation, è utilizzato per sviluppare altro software libero (6).
bulletL'intervistato spiega il concetto di copyleft (7).
bulletLavorando con del software libero si è meglio protetti da eventuali errori che si possono manifestare nei programmi: chiunque, infatti, può correggere eventuali errori o segnalarli al programmatore, nel caso del software libero sempre rintracciabile, da cui si è ricevuto il software (8).
bulletE alla base di questo discorso resta la fiducia che si ha nel prossimo, almeno nei confronti degli amici dai quali si sceglie di ricevere una copia di software libero (9).
bulletL'intervistato contesta l'intero sistema di gestione e di diffusione dell'informazione che si basa sul concetto di proprietà, soprattutto perché è un sistema il cui scopo primario è il guadagno economico, piuttosto che la libera circolazione delle idee (10).
bulletL'intervistato passa a descrivere l'inizio della sua attività di programmatore e il suo primo lavoro al MIT di Boston (11),
bulletspiegando quali motivi lo hanno, poi, spinto ad abbandonare il MIT per dedicarsi al software libero (12).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Sistema operativo GNU: di cosa si tratta?

Risposta
GNU è il nome del sistema operativo a cui lavoriamo da 14 anni; questo sistema è interamente costituito da software libero, e ciò lo caratterizza rispetto a tutti gli altri software. Poiché è un software libero, gli utenti hanno la "libertà", appunto, di modificare il software stesso a seconda dell'uso che se ne vuole fare, hanno la libertà di studiare come funziona il software; noi diamo all'utente il codice sorgente - non c'è nulla di segreto all'interno del suo software -, e l'utente ha la libertà di fare copie e distribuirle in modo da condividerle col suo vicino. Inoltre si ha la possibilità di fare versioni migliorate e diffonderle sulla rete, al fine di un uso comune; di conseguenza, chiunque può collaborare alla costruzione della sua comunità. Il significato di software libero consiste in queste tre libertà che ho sinteticamente riassunto. L'idea stessa di questo sistema è che ogni sua parte è software libero, così un utente può usare un computer che ha esclusivamente software libero per ogni funzione. In questo modo non si è vincolati a nessun proprietario di programmi.

 

Domanda 2
Immagino che ciò sia utile ai programmatori, ma per quanto riguarda gli utenti comuni?

Risposta
Per un utente comune è utile poter essere libero di fare una copia del programma per il proprio amico. Condividere informazioni con i propri amici è una delle azioni fondamentali dell'amicizia, e se l'unica possibilità di condivisione è "underground", furtiva, non è un bel vivere comune. Credo sia importante per tutti, questo programma, non solo per i programmatori. Inoltre, molte persone usano il software come parte del loro lavoro, ed in questo caso è molto importante avere la libertà di modificarlo. Se il software è libero, si può assumere un programmatore, o chiunque voglia farlo, per operare le modifiche che si ritengono utili. Se il software è "proprietario", nessuno tranne chi ne detiene i diritti può apportarvi modifiche. E chi ne detiene i diritti sarà, probabilmente, troppo occupato anche solo per ascoltarla.

 

Domanda 3
Come è nato il progetto, e quali obiettivi sono stati raggiunti?

Risposta
Ho cominciato a lavorare al programma GNU all'inizio del 1984, ed ero l'unico, allora, a scrivere il software. Col passare del tempo e a poco a poco, altri si sono uniti al progetto. Molti sono i volontari, me compreso. Inoltre, la Free Software Foundation ha raccolto fondi per pagare dei programmatori per lavorare al software GNU. Un intero sistema operativo è composto di programmi diversi che svolgono molte funzioni, e noi dovevamo trovare o scrivere un programma per ognuna di queste funzioni. Durante gli anni ‘80 e nei primi anni ‘90 abbiamo, a poco, a poco, colmato le lacune; all'inizio degli anni ‘90, tra il 1992 e il 1993, l'ultima lacuna è stata colmata: Linus Torvalds ha sviluppato un kernel che si chiama Linux, e il risultato di tutte queste ricerche consiste nella realizzazione di sistemi operativi liberi completi, i "Sistemi GNU su base Linux".

 

Domanda 4
Come si svilupperà il software GNU in futuro?

Risposta
Per il futuro c'è molto lavoro da fare! Adesso abbiamo un sistema che è compatibile con UNIX ed è facile come UNIX. Noi vogliamo rendere i sistemi operativi liberi efficienti e semplici per la gente comune, non solo per gli hacker; in questa prospettiva si sta lavorando molto sulle interfacce grafiche in modo che si possa usare il ‘mouse', come piace fare a chi non è un programmatore.

 

Domanda 5
Lei afferma di volere che le persone scrivano e distribuiscano il software libero. Quali sono gli argomenti più comuni con cui i proprietari di software reagiscono alle sue proposte?

Risposta
I proprietari di software raramente cercano di convincermi a non scrivere software libero, perché riconoscono, in genere, che non c'è modo di fermarmi e che questa è una mia scelta. Tuttavia, quando dico alle persone che è ingiusto rendere il software privato, che è ingiusto ed immorale, naturalmente, queste stesse persone non sono d'accordo con me perché sto dicendo loro che c'è qualcosa di ingiusto in ciò che fanno, e a nessuno piace sentirsi dire che si è ingiusti e immorali! In genere, non c'è logica in nessuna delle motivazioni spese a difesa del loro operato.

 

Domanda 6
Il software libero può essere venduto?

Risposta
Il modo migliore per avere un sistema operativo libero completo è quello di comprare un CD ROM. In realtà, il significato di software libero consiste anche nella libertà di venderne delle copie. Tuttavia, quando si parla di software libero, si affronta una questione riguardante la libertà, non il prezzo. Non voglio dire che nessuno deve mai pagare per avere una copia del programma, ma che una volta che se ne possiede una copia, si deve essere liberi di cambiarlo, ridistribuirlo, fare versioni migliorate e pubblicarle. Tale processo comprende la libertà di vendere il software nel momento in cui si ridistribuisce. In realtà, vendere copie di software libero è molto importante perché è un modo per guadagnare, dando la possibilità di creare fondi per sviluppare nuovo software libero: è quello che fa la ‘Free Software Foundation'. Devo specificare che la ‘Free Software Foundation' è un Ente di beneficenza ufficialmente riconosciuto negli USA, è come una scuola o un ospedale, la gente può offrire alla fondazione una donazione e dedurla dalle tasse. Ma la maniera principale in cui raccogliamo soldi è vendendo copie di software libero, e vendiamo anche manuali - "manuali liberi", naturalmente, perché chiunque è libero di farne più copie e distribuirle -. Questi ultimi si possono anche modificare; il testo del manuale nella versione computerizzata è disponibile, lo si può prendere sulla rete o sul nostro CD ROM. Quindi, si può scaricare il testo e scrivere un manuale modificato; infine esso può essere stampato e venduto. La ‘Free Software Foundation' vende copie di cose che chiunque può copiare e chiunque può vendere. In questo modo guadagniamo abbastanza denaro per pagare il personale, vale a dire lo stipendio di quattro programmatori.

 

Domanda 7
Può spiegarci come funzione la General Licence?

Risposta
Il nostro scopo attraverso il progetto GNU è quello di dare libertà a ciascun utente; quindi, vogliamo essere sicuri che ogni persona che possiede una copia del nostro software ottiene anche le libertà di cui ho parlato. Noi riusciamo ad ottenere ciò attraverso una tecnica che si chiama 'copyleft'. L'idea del copyleft consiste nel dare il permesso di modificare il programma, di distribuirlo, e di pubblicarne una versione perfezionata. Ogni volta, però, che questo programma viene distribuito, si devono usare esattamente i termini sopra indicati senza cambiamenti; in tal modo, chiunque ottiene una copia del software ottiene la stessa libertà che noi diamo all'utente primo. Poiché le copie circolano da una persona ad un'altra, e ad un'altra ancora, ogni persona della catena riceve le stesse libertà che noi diamo in origine. Se noi rendessimo il software di dominio pubblico permetteremmo alle varie società poco scrupolose che producono software non libero di prendere i nostri programmi e farne versioni modificate e di distribuirle come software 'proprietario' senza alcuna libertà. Ciò significa che molte persone, pur utilizzando il nostro software, non avrebbero libertà nel senso che ho chiarito sopra; per noi, ciò rappresenterebbe un fallimento per il nostro progetto, perché il nostro scopo è dare la libertà alla gente. Con il 'copyleft' ci assicuriamo che ognuno abbia libertà di utilizzo, e così via. 'GNU General License' è il termine legale specifico per copyleft, quello che usiamo per la maggior parte dei programmi; abbiamo, tuttavia, anche altri metodi di 'copyleft' che usiamo in situazioni particolari. Devo aggiungere che il 'copyleft' è giuridicamente basato sul copyright, ed è per questa ragione che possiamo farlo valere. Se qualcuno viola il nostro 'copyleft' distribuendo versioni senza il codice sorgente o cercando di annettervi altre restrizioni, viola le leggi del copyright; di conseguenza noi possiamo fare causa a tale soggetto all'atto della violazione. In genere, se qualcuno procede in tale modo col nostro software, gli mandiamo una lettera, e ciò è sufficiente per farlo smettere; naturalmente, questi individui non vogliono affrontare un processo. Aggiungo che si può vedere il 'copyleft' come un portare via le armi ai proprietari di software e usarle contro di loro. Il copyright è usato per uno scopo tendenzialmente di destra: soggiogare gli altri, farsi pagare con tutto il loro denaro. Il 'copyleft' è usato con uno spirito di sinistra, uno scopo di sinistra: incoraggiare le persone a cooperare e ad aiutarsi reciprocamente e a dare a tutti la stessa libertà.

 

Domanda 8
Nel caso in cui il programma si dovesse rompere, a chi ci si rivolge?

Risposta
Noi risolviamo questo problema molto meglio di quanto non avvenga nel mondo del software commerciale, e la ragione è che quando qualcuno prende un programma proprietario, non ha nessun'idea di ciò che c'è dentro e non ha alcun modo di scoprirlo. Si deve soltanto sperare e fidarsi che non ci sia nulla di pericoloso in quel programma, poiché può accadere anche un fatto di questo genere. Ci sono compagnie che mettono nel software informazioni personali su una persona a chiunque le richieda. Microsoft ha messo cose nel software che diranno alla Microsoft stessa tutto quello che è stato installato nel proprio computer. Questo è inammissibile! E la Microsoft dice "In realtà il software pone una domanda. Se uno ci fa attenzione, se ne accorge." Naturalmente, molte persone non ci badano e non sanno che il software di una certa compagnia diffonde continuamente le informazioni personali di chi lo usa. E qualcuno potrebbe cominciare a vendere software proprietario che contiene qualcosa di pericoloso e l'utente potrebbe non saperlo mai. E' possibile che un individuo metta qualcosa di pericoloso anche in un programma libero, ma con quest'ultimo è sempre disponibile il codice sorgente. E se Lei, ad esempio, non legge il codice sorgente, qualcun altro potrebbe farlo. Certo, bisogna rendersi conto che le cose che non vanno presenti nel software - chiunque ne sia l'autore- sono, per la maggior parte, errori casuali; quando la Microsoft scrive programmi, commette degli errori, quando io scrivo programmi faccio errori, tutti i programmatori commettono degli errori. Di conseguenza, il grosso pericolo non viene dai danni volontari, ma da un errore nel programma! Di nuovo, il software libero ha un vantaggio perché molti degli utenti sono programmatori, e sono costantemente alla ricerca di errori, me li dicono e li risolvono. Di fatto, io, come programmatore di software libero ricevo continuamente aiuto da altre persone in tutto il mondo che risolvono ogni tipo di problema si trovi nel mio software. Mi capita di ricevere un messaggio che dice: "Un giorno stavo leggendo una certa parte del programma e ho visto qualcosa che non sembrava del tutto giusto. È sicuro che sia giusto?" Io vado a controllare e, molto spesso, mi accorgo che c'è un errore. In sintesi, gli altri mi aiutano a far sì che il programma funzioni. La Microsoft non ha questi aiuti, e se c'è un difetto in un programma Microsoft, molto probabilmente è possibile che passino sei mesi o un anno prima che lo eliminino. In effetti, uno degli aspetti del sistema informatico che interessa alla gente è la sicurezza, e, naturalmente, ogni sistema operativo ogni tanto ha qualche difetto che lo compromette. Possiamo dire, infine, che nei sistemi operativi liberi questi difetti vengono eliminati molto rapidamente: il difetto viene segnalato e, in genere, viene mandata una soluzione sulla rete cosicché, chiunque voglia, la può installare nel proprio programma.

 

Domanda 9
Con un software libero chi è il responsabile dell'errore?

Risposta
Per quanto riguarda il software libero, la persona da cui si riceve la copia è responsabile. Se si vuole, dunque, essere sicuri sul software, ci si deve procurare la copia da qualcuno di cui ci si fida. Faccio un esempio: se Lei prende una copia di software nuovo dalla 'Free Software Foundation', Lei sa che si tratta della versione fatta da noi, non modificata da nessun altro. Allo stesso modo una compagnia potrebbe essere ingannata da qualche infida spia o da un terrorista che vende a Lei software proprietario progettato per distruggerle il computer: come si fa a scoprirlo? Intanto, si presume semplicemente che se si tratta di una compagnia, essa vuole continuare a lavorare e quindi non farebbe mai una cosa simile. La stessa cosa vale per la 'Free Software Foundation'. Il nostro obbiettivo è dare alla gente l'alternativa di un software libero 'autosufficiente'; sarebbe quindi stupido, autodistruttivo, per noi, mettere qualcosa nel software che possa irritare gli utenti, si sa che cerchiamo di fare del nostro meglio. Questo è tutto quello che si può sapere di coloro che producono software: cercano di fare del loro meglio per renderlo buono. Allo stesso modo, se qualcuno distribuisce una versione modificata del nostro software, ci si può fidare. Oppure, si può prendere una copia del programma da un amico e se ci si fida di lui, si sa che non cercherà di colpirci e si sa che starà attento anche lui ad installarsi buone versioni del software. Quindi anche questa è una cosa che si può fare in piena tranquillità. È proprio come se Lei andasse a casa di un amico e gli chiedesse un bicchiere di latte; a meno che non si tratti di uno psicopatico o di un assassino, il Suo amico non le metterà il veleno nel latte. La gente a volte fa cose mostruose, ma normalmente ci fidiamo degli amici, è fondamentale fidarsi degli amici. Come si potrebbe vivere altrimenti?

 

Domanda 10
E cosa può dirci a proposito di questioni decisive come quelle riguardanti la circolazione delle informazioni?

Risposta
I detentori dell'informazione, l'industria del copyright, stanno facendo una campagna mondiale per cambiare le leggi in tutti i paesi in modo da avere più potere per controllare quello che fanno tutti: questa è la loro attività principale. In questo momento vogliono avere il controllo totale di tutti gli usi delle informazioni che sono state pubblicate, e giustificano tale obiettivo affermando che il pubblico ne trarrà vantaggio. Tuttavia, non analizzano in dettaglio i motivi per i quali il pubblico dovrebbe ottenere dei vantaggi per il fatto che i proprietari detengono il potere sull'informazione. Costoro dicono soltanto: "fidatevi, dateci più potere, e il pubblico ne avrà dei vantaggi". Ciò è stupido, è come dire: "paga il latte il doppio e avrai latte migliore". La conseguenza di tale operazione sarebbe l'aumento vertiginoso del prezzo del latte! E, naturalmente, avremmo un latte straordinario, il migliore che si sia mai visto. Fuor di metafora, io sostengo che questo è stupido. C'è un principio chiamato 'profitti calanti', e i proprietari, fondamentalmente, vogliono ignorarlo perché vogliono semplicemente il potere assoluto. Essi, ad esempio, vogliono rendere illegale il fatto che un utente possa permettere ad un amico di vedere il suo computer per leggerci un libro. Anche se il libro l'ha avuto legalmente e sta sul suo computer legalmente, loro vogliono rendere illegale il fatto che il suo amico lo legga; e se il suo amico vuole comunicare in rete, la situazione peggiora: se lui manda il libro attraverso la rete -per metterlo semplicemente sul suo schermo in modo da poterlo vedere e leggere, anche solo temporaneamente- tale azione sarebbe illegale. Quando un individuo legge un libro, se ne forma, temporaneamente, una copia sulla retina. La prossima volta, i detentori dell'informazione, diranno che è una violazione del copyright fare una copia sulla retina e che quindi ci vuole un permesso per leggere il libro! In Unione Sovietica ogni copista aveva un sorvegliante il cui compito era di osservare cosa veniva copiato e assicurarsi che nessuno facesse copie illegali, perché prevenire le copie illegali era una delle priorità del governo sovietico. L'industria del copyright vuole fare la stessa cosa, con la differenza che allo scopo utilizzerebbero sorveglianti computerizzati, sorveglianti robot. E, ancora, sarà illegale eliminare questo 'robot sorvegliante' dal computer. In tal modo, l'industria del copyright cerca di interferire nella vita dell'utente in un modo molto più diretto e seccante di quanto non abbia mai fatto prima. Ai detentori del copyright non importa se hanno abbastanza denaro, se le pubblicazioni continuano e se le librerie sono piene di libri, ma vogliono avere tutto il denaro che possono desiderare. Questa è ragione per la quale cercano di cambiare le leggi in Italia e in altri paesi, ed è importante per gli utenti dell'informazione organizzarsi politicamente su questo fronte opponendosi a queste decisioni. La legge sul copyright è nata con il torchio per la stampa. Nel mondo antico, quando il modo per copiare un libro era quella di farsene una copia a penna, non c'era il copyright. Chiunque sapesse scrivere poteva copiare un libro e, in principio, poteva copiarlo bene come chiunque altro; fare una copia era come fare cento copie. L'unico modo per fare cento copie era trascriverlo cento volte. Il torchio per la stampa ha creato una situazione diversa, per cui la maniera migliore per fare copie era la produzione di massa: si compone il testo una volta, lo si prende e lo si stampa cento volte. È molto più veloce che comporre il testo una volta e stamparlo una volta. Nessuno lo farebbe. È troppo stupido. La gente, dunque, si è abituata all'idea che l'unico modo di fare libri fosse la produzione di massa. In questo sistema, nell'era del torchio per la stampa, il copyright era un sistema ragionevole perché poneva limiti solo agli editori e agli autori. Il copyright non poneva limiti ai comuni lettori come Lei e me perché noi non avremmo potuto copiarci il libro, non avremmo posseduto un torchio. Come si fa a copiare un libro? Cosa si intende per questo? Se si vuole un'altra copia, si va in libreria e si compra un'altra copia. Il copyright, in realtà, è uno scambio, un accordo, in cui il pubblico rinuncia alla libertà di fare copie; in cambio ha la speranza di vedere le librerie piene di tanti libri che possono comprare; ciò rappresentava un buon affare nell'era del torchio per la stampa, perché noi, che apparteniamo al pubblico comune, non avremmo potuto copiare libri, comunque. Che differenza fa rinunciare a una libertà di cui non si può usufruire? Oggi non siamo più nell'era del torchio per la stampa! Il computer ci dà un sistema diverso, in cui chiunque possa leggere qualcosa ne può anche fare una copia alla volta e mandarla a un amico. Ciò è molto utile e positivo, è un modo per cooperare con il prossimo, fa parte dei rapporti di disponibilità che stanno alla base della società. Questa libertà a cui abbiamo rinunciato, che abbiamo ceduto, è ridiventata utile, e, di conseguenza, non è più un affare così vantaggioso cederlo in cambio di qualcos'altro. Ora vogliamo tenerci parte di quella libertà per poterla usare, e, quindi, dovremmo ridurre il potere del copyright. Forse basterebbe avere un sistema di copyright che limitasse la vendita commerciale di copie, che limitasse la ridistribuzione di massa delle copie; tuttavia, fare una copia occasionale per un amico dovrebbe essere una operazione consentita a chiunque. È un diritto fondamentale dell'uomo e dovremmo costituire organizzazioni di persone, utenti dell'informazione in tutti i paesi, persone che leggono, persone che ascoltano la musica; chiunque usi qualsiasi tipo di informazione dovrebbe organizzarsi per poter esigere il diritto di condividere copie con gli amici, come diritto umano fondamentale che è ancora più importante, perché è un diritto aiutare il proprio amico! Non è solo il diritto di fare qualcosa che è giusto per se stessi. Il diritto di avere una sufficiente alimentazione, un alloggio dove vivere è fondamentale, ma è altresì di enorme importanza la libertà di parola e la libertà di stampa, così come la libertà di condividere l'informazione.

 

Domanda 11
Dove è iniziata la sua attività?

Risposta
Sono stato affascinato dai computer appena ne ho sentito parlare, e volevo imparare a programmarli. Avevo 12 anni quando, durante un campo estivo, uno dei consiglieri aveva un manuale di un computer che usava per la scuola. Così, ho letto il manuale e sono rimasto affascinato, quindi ho pensato a cose facili che avrei potuto fare con il programma e mi sono trascritto il software: morivo dalla voglia di programmare! Non vidi, di fatto, un computer, se non molto tempo dopo, quando frequentavo l'ultimo anno delle superiori; a quel tempo cominciai a frequentare un laboratorio dell'IBM a New York dove mi facevano programmare il loro computer, e cominciai a scrivere un progetto molto complesso, che non ho mai finito, che riguardava i compilatori e l'espansione del linguaggio di programmazione diffuso allora. In seguito, durante l'estate di quell'anno, mi dettero un lavoro estivo e mi assunsero per scrivere un programma in fortran. Realizzai il programma in un mese e passai il resto dell'estate a scrivere altri programmi, come un processore di testi, per puro divertimento; poiché scoprii quanto fosse scadente il 'fortran' giurai che non l'avrei mai più usato, e da allora non ho mai più scritto nessun programma in quel linguaggio. Ma abbiamo un compilatore in 'fortran' nel nuovo sistema nel caso che un masochista volesse scrivere in fortran o che uno ne avesse bisogno. In seguito, dopo un anno di università ad Harvard, scoprii i laboratori di informatica al MIT, e andai lì con la speranza di prendere i manuali del loro sistema; mi dettero, invece, un lavoro, e da allora in poi lavorai lì fino alla fine del 1983. Ed è così che cominciai a scoprire cosa fosse una comunità di condivisione di software. Appena arrivai cominciai a far parte della comunità; e, in questa comunità, se qualcuno stava lavorando a qualcosa cosa che fosse, in qualche modo, utile, chiunque poteva averne una copia. Si poteva usare il programma oppure operarvi cambiamenti, staccarne una parte, vale a dire tagliare dei pezzi e usarli in qualche altro programma che si vuole scrivere. Se qualcuno aveva già scritto il codice per fare una certa cosa, non si aveva bisogno di riscriverlo e lo si poteva copiare dal suo programma. Ebbi una bellissima impressione di quello che succedeva perché sentivo che si stava lavorando tutti insieme per far progredire la conoscenza umana, che non lavoravamo come nemici l'uno dell'altro, che eravamo tutti in un'unica squadra, insieme per il bene dell'umanità. Mi piace sentire questa sensazione di condividere un bene comune! Odio, viceversa, la sensazione di lavorare contro altre persone; io voglio provare la sensazione di lavorare per l'umanità. Questa comunità di cooperazione di persone che condividevano il software, purtroppo, si disgregò nei primi anni '80. Una persona diede l'esempio, scrivendo un programma e vendendolo ad una società; dopo di lui, altre persone dalla coscienza "fiacca" seguirono il suo esempio. Dissero: "C'è uno che è stato non cooperativo e sta facendo soldi". Credevano che ci guadagnasse; in seguito, è venuto fuori che non ci aveva ricavato molto. Lui stesso oggi dice che la conseguenza principale della sua decisione fu l'insuccesso del suo programma. Comunque, poiché allora pensarono che ci guadagnasse parecchio, altri lo imitarono e la gente smise di cooperare. E così vidi la mia parte della società disgregarsi e diventare una giungla dove vige la legge del più forte. Fui molto addolorato quando questo accadde. Cominciai, allora, a cercare il modo per creare una nuova società da qualche parte nel mondo; avevo fatto parte di una comunità di cooperazione che era morta. Mi dimisi dal mio lavoro al MIT per cominciare il progetto 'GNU' perché volevo essere sicuro di poter diffondere il software GNU come software libero. Non volevo che il MIT potesse fermarmi. E, negli USA, quando il personale di un'università - e io facevo parte del personale- crea dei programmi, l'università stessa li può prendere e venderli se vuole. Volevo assicurarmi che questo non avvenisse, altrimenti il mio lavoro sarebbe andato sprecato. L'unico modo in cui potevo essere sicuro che non sarebbe successo e che avrei potuto usare il 'copyleft', che mi sembrava molto importante, era quello di lasciare il mio lavoro. Ho lasciato il mio lavoro per cominciare il progetto 'GNU' nel gennaio del 1984.

 

Domanda 12
Non Le piaceva il modo in cui facevano ricerca al MIT?

Risposta
Non direi questo, perché al MIT non hanno sempre un modo solo di fare ricerca. Sapevo, però, che era possibile. Inoltre, non volevo trovarmi nella posizione di dover ottenere il permesso di diffondere il software come software libero, volevo essere assolutamente sicuro prima di scrivere il software che avrei potuto farlo libero; volevo essere sicuro di poter usare il 'copyleft' perché avevo visto la vecchia società crollare per il fatto che era troppo facile per la gente poter rifiutare di collaborare, troppo facile guadagnare ad essere non-cooperativo. Il 'copyleft', viceversa, stabilisce una forma di cooperazione, di condivisione del proprio lavoro. Mi sembrava che usare il 'copyleft' avrebbe dato alla comunità una buona spina dorsale, una buona capacità di tutelarsi dagli abusi, perché se la gente si sente sopraffatta o sfruttata continuamente comincia a scoraggiarsi e a mettersi sulla difensiva. Oltre, quindi, agli effetti diretti veri e propri dell'uso del 'copyleft' e degli effetti pratici ottenuti incoraggiando molta gente a contribuire con le loro migliorie al programma, penso ci sia anche un effetto psicologico, dovuto al fatto che poiché le persone vedono che c'è una certa dose di difesa della comunità, sentono che la comunità è autosufficiente. Sentono che cooperare con la comunità ha un senso. E per concludere: buon hacking a tutti!

 

http://www.galileonet.it/archiviop/special.asp?id=3507  

                                                                                               (15 Marzo 2002)

TECNOLOGIE
L'avanzata del copyleft*
di Graham Lawton (New Scientist, Gran Bretagna)

Se negli ultimi mesi siete stati a una fiera informatica forse l'avete vista: una lattina color argento, con il logo di una linguetta a strappo e a fianco la scritta "opencola". Dentro c'è una bevanda frizzante che somiglia molto alla Coca-Cola e alla Pepsi. Ma sulla lattina c'è scritto qualcosa che rende questa bevanda diversa: "Controllatene l'origine su opencola.com". Andate alla pagina web indicata e vedrete qualcosa che non c'è sul sito della Coca-Cola o della Pepsi: la ricetta della cola. Per la prima volta nella storia potete realizzare l'originale a casa vostra. OpenCola è il primo prodotto di consumo open source (sorgente aperta). Definendolo open source il suo fabbricante sta dicendo che le istruzioni per realizzarlo sono aperte a tutti. Chiunque può produrre la bevanda, modificarne e migliorarne la ricetta, a condizione che la nuova formula rimanga di dominio pubblico. È un modo piuttosto insolito di fare affari: la Coca-Cola non dà via i suoi preziosi segreti commerciali. Ma è proprio questo il punto. OpenCola lancia un segnale importante: una battaglia che da tempo oppone due diverse filosofie di sviluppo dei programmi informatici si è estesa al resto del mondo. Quello che è cominciato come un dibattito tecnico sul modo migliore di correggere gli errori dei software sta diventando un dibattito politico sulla proprietà della conoscenza e su come essa è usata: da un lato c'è chi crede nella libera circolazione delle idee, dall'altro chi preferisce definirle "proprietà intellettuale". Nessuno sa come andrà a finire. Ma in un mondo in cui cresce l'opposizione al potere delle grandi aziende, ai diritti restrittivi sulla proprietà intellettuale e alla globalizzazione, l'open source sta emergendo come una possibile alternativa, un mezzo per contrattaccare. E in questo esatto momento voi state contribuendo a verificarne la validità.




Le origini

Il movimento dell'open source è cominciato nel 1984 quando l'informatico Richard Stallman lasciò il suo lavoro al Massachusetts Institute of Technology (Mit) e fondò la Free Software Foundation. L'obiettivo era creare software di alta qualità che fossero aperti a tutti. Stallman ce l'aveva con le aziende che proteggono i loro programmi con brevetti e copyright e ne tengono segreto il codice sorgente (il programma originale, scritto in un linguaggio informatico come il C++). Stallman considerava questa pratica dannosa: il risultato erano programmi di cattiva qualità, pieni di errori e, peggio ancora, soffocava la libera circolazione delle idee. Stallman era preoccupato del fatto che, se gli informatici non potevano più imparare dai reciproci codici, l'arte della programmazione sarebbe decaduta (New Scientist, 12 dicembre 1998, p. 42).





La mossa di Stallman ebbe vasta eco nella comunità informatica e ora ci sono migliaia di progetti simili. La stella del movimento è Linux, un sistema operativo creato all'inizio degli anni Novanta dallo studente finlandese Linus Torvalds e oggi installato su circa diciotto milioni di computer in tutto il mondo. Quel che distingue i programmi open source dal software commerciale è il fatto che sono liberi, sia in senso politico sia in senso economico. Se volete usare un prodotto come Windows Xp o Mac Os X dovete pagare un compenso e accettare di rispettare una licenza che vi vieta di modificare o condividere il software. Se invece volete usare Linux o un altro pacchetto di programmi open source potete farlo senza pagare un centesimo, anche se diverse aziende vi venderanno il software insieme a dei servizi di assistenza. Potete anche modificare il software a piacimento, copiarlo e darlo ad altri. Questa libertà è un invito - alcuni dicono una sfida - agli utenti ad apportare miglioramenti. Così migliaia di persone lavorano costantemente su Linux, aggiungendo nuove caratteristiche e individuandone gli errori. I loro contributi sono esaminati da un gruppo di esperti e i migliori sono aggiunti al sistema operativo. Per i programmatori, la fama dovuta a un contributo riuscito è la migliore ricompensa. Il risultato è un sistema stabile e potente che si adatta rapidamente al cambiamento tecnologico. Linux ha un tale successo che perfino l'Ibm lo installa sui computer che vende.





I programmi open source sono coperti da uno speciale strumento legale che si chiama General Public License (Gpl). Anziché porre limiti al modo in cui il software può essere usato, come prevede la licenza informatica standard, la Gpl - nota anche come copyleft - garantisce quanta più libertà possibile (vedi www.fsf.org/licenses/gpl.html). I programmi coperti da Gpl - o un'analoga licenza copyleft - possono essere copiati, modificati e distribuiti da tutti, a patto che siano redistribuiti sotto un regime di copyleft. Questa restrizione è cruciale, perché impedisce che il materiale diventi un prodotto proprietario. Rende inoltre il software open source diverso dai programmi che sono semplicemente gratuiti. Nelle parole della Free Software Foundation, la Gpl "rende il software libero e garantisce che resti libero". L'open source si è dimostrato un ottimo modo di scrivere programmi informatici. Ma esprime anche una posizione politica che mette al centro la libertà di espressione, diffida del potere delle grandi aziende e non vede di buon occhio la proprietà privata della conoscenza. Secondo Eric Raymond, il guru dell'open source, è "una visione libertaria del giusto rapporto che ci dovrebbe essere tra gli individui e le istituzioni".
Ma le aziende informatiche non sono le sole a sigillare la conoscenza e a renderla disponibile solo a chi è pronto a pagare. Ogni volta che acquistate un cd, un libro o una lattina di Coca-Cola pagate per avere accesso alla proprietà intellettuale di qualcun altro. Con i vostri soldi acquistate il diritto ad ascoltare, leggere o consumare i contenuti, ma non a rimaneggiarli o a farne delle copie e redistribuirle. Non sorprende, allora, che le persone attive nel movimento dell'open source si siano chieste se i loro metodi non funzionassero anche con altri prodotti. Finora nessuno ne è certo, ma ci stanno provando in molti.
Prendete OpenCola. Anche se inizialmente era solo uno strumento promozionale per spiegare i programmi open source, la bevanda ora vive di vita propria. L'omonima società di Toronto è diventata più nota per questa bevanda che per il software che voleva promuovere. Laird Brown, capo stratega dell'azienda, ne attribuisce il successo a una diffusa sfiducia verso le grandi multinazionali e "la natura proprietaria di quasi tutto ciò che ci circonda". Un sito web che distribuisce il prodotto ha venduto 150mila lattine. Negli Stati Uniti gli studenti politicizzati hanno cominciato a modificare la ricetta per le loro feste.







L'industria discografica

OpenCola è un caso fortunato e non pone alcuna reale minaccia alla Coca o alla Pepsi, ma altrove qualcuno sta usando il modello dell'open source per sfidare gli interessi consolidati. Uno dei bersagli è l'industria musicale. In prima linea nell'attacco c'è l'Electronic Frontier Foundation (Eff), un gruppo di San Francisco creato per difendere le libertà civili nell'era della società digitale. Nell'aprile del 2001 l' Eff ha pubblicato un modello di copyleft chiamato Open Audio License (Oal). L'idea è permettere ai musicisti di sfruttare le proprietà della musica digitale - facilità di duplicazione e distribuzione - anziché combatterle. I musicisti che distribuiscono le loro canzoni sotto un regime di Oal consentono che il materiale sia copiato, eseguito, rimaneggiato e ridistribuito secondo la stessa licenza. In questo modo possono fare affidamento sulla "distribuzione virale" per essere ascoltati. "Se ci sono persone a cui queste canzoni piacciono, sosterranno l'artista per assicurare che continui a produrre musica", dice Robin Gross dell'Eff.
È ancora presto per giudicare se l'Oal catturerà l'immaginazione così come ha fatto l'OpenCola. Ma è già chiaro che parte della forza dei programmi open source non può essere applicata alla musica. Nell'informatica l'open source permette agli utenti di migliorare i programmi eliminando gli errori e le parti del codice inefficienti, ma non è chiaro come questo possa avvenire con la musica. In realtà le canzoni non sono "open source": i file disponibili su www.openmusicregistry.org, il sito musicale dell'Oal, finora sono tutti in formato Mp3 e Ogg-Vorbises che permettono di ascoltare la musica ma non di modificarla. Perché un artista di successo dovrebbe mettere in circolazione le sue canzoni sotto un regime di Oal? Molti gruppi hanno protestato per come gli utenti di Napster distribuissero le canzoni a loro insaputa; perché adesso dovrebbero consentire la distribuzione senza limiti o permettere a degli estranei di armeggiare con la loro musica? Certo è improbabile che abbiate mai sentito parlare di qualcuno dei venti gruppi che hanno reso disponibile le loro canzoni sul sito web dell'Oal. È difficile sottrarsi alla conclusione che l'Open Audio è solo un'opportunità per artisti sconosciuti di farsi conoscere.





L'enciclopedia aperta

I problemi con l'open music non hanno comunque scoraggiato chi vuole provare i metodi dell'open source in altri settori. Le enciclopedie, per esempio, sembrano un buon terreno. Come i software, sono modulari e sono basate sulla collaborazione, hanno bisogno di aggiornamenti regolari e migliorano con il controllo di esperti. Ma il primo tentativo, un repertorio online chiamato Nupedia, non ha avuto grande successo. Dopo due anni sono state completate solo venticinque delle 60mila voci che aveva previsto. "Con questo ritmo non sarà mai una grande enciclopedia", ammette il caporedattore Larry Sanger. Il problema è che gli esperti che Sanger vuole reclutare perché scrivano gli articoli hanno scarsi incentivi a partecipare: non guadagnano punti accademici come i programmatori che si dedicano ad aggiornare Linux, e d'altra parte Nupedia non può pagarli.
È un problema che riguarda la maggior parte dei prodotti open source: come invogliare la gente a contribuire? Sanger sta studiando il modo di ricavare dei soldi da Nupedia preservandone la libertà dei contenuti. I banner pubblicitari sono una possibilità, ma la sua speranza è che i professori universitari comincino a citare gli articoli di Nupedia in modo che gli autori acquisiscano crediti accademici.
C'è un'altra possibilità: confidare nella buona volontà collettiva della comunità dell'open source. Un anno fa, frustrato dai lentissimi progressi di Nupedia, Sanger ha lanciato un'altra enciclopedia: Wikipedia, dal nome del programma open source WikiWiki che permette a chiunque di modificare le pagine sul web. È un progetto molto meno formale di Nupedia: chiunque può scrivere o modificare un articolo su qualsiasi argomento, il che probabilmente spiega le voci sulla birra e su Star Trek. Ma anche il suo successo. Wikipedia contiene già 19mila articoli e ogni mese si arricchisce di migliaia di nuovi contributi. "Alla gente piace l'idea che la conoscenza possa e debba essere distribuita e sviluppata liberamente". Sanger è convinto che con il tempo migliaia di dilettanti correggeranno gli eventuali errori e colmeranno ogni lacuna, finché Wikipedia non diventerà un'enciclopedia autorevole con centinaia di migliaia di voci.





In aiuto degli avvocati

Un altro esperimento interessante è il progetto OpenLaw del Berkman Center for Internet and Society della Harvard Law School. Gli avvocati del Berkman sono specializzati in ciberspazio, copyright, crittografia e così via, e il centro ha forti legami con l'Eff e la comunità dei programmi open source. Nel 1998 Lawrence Lessig, oggi docente alla Stanford Law School, ricevette dall'editore online Eldritch Press la richiesta di intentare una causa contro la legge statunitense sul copyright. La Eldritch prende dei libri il cui copyright è scaduto e li pubblica sul web, ma la nuova legge che estende il copyright da 50 a 70 anni dopo la morte dell'autore limitava la sua fonte di approvvigionamento di nuovo materiale. Lessig invitò gli studenti di giurisprudenza di Harvard e di altre università a contribuire a definire gli argomenti legali per contestare la nuova legge attraverso un forum online, che poi è diventato OpenLaw.
Normalmente gli studi legali scrivono gli argomenti per il dibattimento nello stesso modo in cui le aziende informatiche scrivono il codice dei loro programmi. Gli avvocati discutono un caso a porte chiuse e, anche se il prodotto finale viene reso pubblico in tribunale, le discussioni, o il "codice sorgente", che hanno portato alla sua realizzazione restano segrete. OpenLaw costruisce invece i suoi argomenti in pubblico e li mette in circolazione coperti da copyleft. "Abbiamo usato deliberatamente come modello il software libero", spiega Wendy Selzer, responsabile del progetto OpenLaw dopo il passaggio di Lessig a Stanford. Oggi lavorano al caso Eldritch una cinquantina di esperti e OpenLaw si occupa anche di altre cause.
"Ci sono più o meno gli stessi vantaggi dei programmi open source", dice Selzer. "Centinaia di persone analizzano il 'codice' alla ricerca di errori e suggeriscono come correggerlo. Intanto qualcun altro prende una parte poco sviluppata dell'argomento, ci lavora sopra e poi la reinserisce". Armata degli argomenti costruiti in questo modo, OpenLaw ha fatto avanzare il caso Eldritch all'inizio giudicato invincibile e adesso sta cercando di ottenere un dibattimento di fronte alla Corte suprema.




Ma ci sono degli inconvenienti. Gli argomenti sono di dominio pubblico fin dall'inizio, perciò OpenLaw in tribunale non può contare sulla sorpresa. Per lo stesso motivo non può occuparsi di cause dove la discrezione è importante. Ma se la questione è di interesse pubblico il metodo open source ha grandi vantaggi. I gruppi per i diritti dei cittadini, per esempio, hanno preso alcuni degli argomenti legali di OpenLaw e li hanno usati altrove. "I cittadini li usano nelle lettere al Congresso o li mettono sui volantini", dice Selzer.
Il movimento per i "contenuti aperti" è ancora all'inizio ed è difficile prevedere fin dove arriverà. "Non sono sicuro che esistano altre aree dove l'open source possa funzionare", dice Sanger. "Se ci fossero le avremmo già esplorate". Anche Eric Raymond ha espresso dei dubbi. Nel saggio del 1997 The Cathedral and the Bazaar (La cattedrale e il bazar) ha messo in guardia dall'applicare i metodi open source ad altri prodotti. "La musica e la maggior parte dei libri non sono come i programmi informatici, perché in generale non hanno bisogno di essere corretti o aggiornati". Senza questo bisogno i prodotti guadagnano poco dall'esame e dal rimaneggiamento di altre persone, perciò un sistema open source dà pochi benefici. "Non voglio indebolire l'argomento vincente dei programmi open source legandolo a un possibile perdente", ha scritto Raymond.
Oggi, però, la sua posizione è leggermente cambiata. "Sono più disposto ad ammettere che un giorno potrei parlare anche di aree distinte dal software. Ma non ora. Il momento propizio sarà quando i programmi open source avranno vinto la battaglia delle idee. Raymond si aspetta che succederà intorno al 2005.
E così l'esperimento prosegue. Il contributo di New Scientist è pubblicare questo articolo in regime di copyleft. Significa che potete copiarlo, redistribuirlo, ristamparlo per intero o in parte, e in generale farne quello che vi pare, a patto che anche voi rendiate pubblica la vostra versione con un copyleft e rispettiate gli altri termini della licenza. Vi chiediamo anche di informarci di qualsiasi uso facciate di questo articolo inviando un'email a copyleft@newscientist.com.
Un motivo di questa decisione è che così facendo possiamo stampare la ricetta dell'OpenCola senza violarne il copyleft. Se non altro questo dimostra la capacità del copyleft di diffondersi. Ma c'è anche un altro motivo: vedere quel che succede. Che io sappia questo è il primo articolo di giornale pubblicato con un copyleft. Chissà quale sarà il risultato. Forse l'articolo scomparirà senza aver lasciato alcuna traccia. Forse sarà fotocopiato, ridistribuito, rieditato, riscritto, copiato su pagine web, volantini e articoli in tutto il mondo. Non lo so, ma non è questo il punto: la questione non è più di mia competenza. La decisione adesso sta a tutti noi.
Il "codice sorgente" di questo articolo e i dettagli sulle condizioni del copyleft sono alla pagina www.newscientist.com/hottopics/copyleft



la traduzione che vi proponiamo è quella apparsa su Internazionale dell'8-14 marzo 2002

 
   
 
http://www.tremix.it/argomenti0303.htm  
La vendetta dei fan contro i cd anti-copia


di Gerardo Antonio Cavaliere


Quello che accade ha dello straordinario: due fan stanno intentando una causa contro le ricche case discografiche, perche' contrari alla politica dei cd anti-copia. "Si vuole impedire la libera fruizione della musica" - affermano - "oltre che abbassare notevolmente il livello qualitativo di alcuni supporti" ...

URL: http://www.studiocelentano.it/editorial/cavaliere/190602.asp

 

 
LIMITI AL COMPENSO DA VERSARE ALLA SIAE PER LA RIPRODUZIONE DI LIBRI DI TESTO

Il senatore Scalera ha proposto il disegno di legge n.1159, con il quale si intende porre un limite massimo al compenso da versare alla SIAE per la reprografia introdotto dalla legge 18 agosto 2000 n.248, al fine di contemperare il diritto allo studio con l’esigenza di tutela del diritto d’autore ...

URL: http://www.studiocelentano.it/editorial/turini/020702.asp

 
 
Manifesto copyDOWN

http://copydown.inventati.org/manifesto.html

CopyDOWN (cD) e' un progetto che nasce dal desiderio di costruire un portale sul variegato panorama del No_Copyright e delle battaglie per un libero accesso e una libera circolazione dei saperi.
cD vuole essere una comunita' partecipata ed aperta senza appartenenze o forme di identita' definibili che la leghino a nulla che non sia questo suo intento generale. cD vorrebbe riuscire a comunicare con il maggior numero di persone possibili per poterle coinvolgere in una rete fitta e orizzontale di condivisione di saperi. Ipotizziamo un processo di liberazione dai vincoli di produttivita' dei momenti, degli spazi di espressione, di cultura che noi ci immaginiamo collettivi.
Abbiamo individuato alcuni punti strategici per favorire la libera circolazione dei saperi:
a. costruire una solida comunita' basata sulla condivisione liberata e non mercificata di risorse, conoscenze e strumenti.
b. implementare un motore di ricerca di un albero di directory che indicizzi tutte le risorse no_Copyright (non in violazione del copyright, nb) gia' presenti in rete, in modo da evitare di lavorare due volte su una stessa cosa, e da facilitare l'accesso a queste risorse
c. contattare e collaborare con autori/editori/creatori/inventori/artisti/scribani/ che vogliono tentare di liberare le proprie produzioni dalla schiavitu' della mercificazione; il loro quotidiano dai codici a sbarre.
d. agitare e provocare attraverso azioni e pratiche, anche consapevolmente illegali, una seria riflessione sulla problematica della libera circolazione dei saperi, al fine di tendere alla realizzazione di comunita' basate sulla condivisione e non sull'appropriazione dei beni immateriali.
chiunque ci stia ascoltando, leggendo, pensando e si ritrovi in tutto questo puo' collaborare con noi e partecipare al progetto iscrivendosi alla mailing list:
copydown@inventati.org

DOWNload a COPY - UPload an IDEA

per un libero accesso e una libera circolazione dei saperi

http://copydown.inventati.org

CopyDOWN
copyDOWN e' una provocazione, un gioco o una strategia? copyDOWN e' prima di tutto una delle forme di mobilitazione che si stanno attuando, e si realizzeranno presto, nel contesto delle mobilitazioni per il Diritto alla Libera Circolazione dei Saperi. E' una provocazione come potrebbe esserlo un ipotetico Napster letterario, ma non avra' nulla da spartire col noto server centralizzato che sta a suo modo ridefinendo i confini del copyright in Rete.
copyDOWN non si limitera' a distribuire files ma cerchera' nel suo piccolo di deturnare il copyright che da jurassico diritto alla copia diventa un libertario "diritto al download":
Download a copy - upload an idea. E' un gioco perche' invitera' non solo al libero scambio di files, ma soprattutto a sprigionare la creativita' che l'industria (discografica - editoriale- ecc.) drasticamente comprime entro i confini del deja vu di una merce in vendita. E' una strategia di libera circolazione dei saperi in rete - e nelle sottoreti perche' spera di diventare un nonluogo nomade e rizomatico di fruizione/scambio, ludico, creativo e anonimo.
E' Freenet (decentralizzato), e non napster (server centralizzato) il modello a cui ci ispiriamo, per stimolare strategie di condivisione dei saperi aldifuori degli angusti corridoi delle case editrici.


Perche' come dice Ian Clarke, ideatore di Freenet, "credo che il copyright sia non piu' proponibile, in quanto inattuabile. (...) e moralmente sbagliato, perche' limita la liberta' di agire. (...) ed e' oltretutto inutile perche' non ne trae beneficio nessun artista, ma unicamente l'industria".
copyDOWN si interfaccera' con tutti noi con una struttura a directories: una directory per ogni sezione in cui inserire le proprie auto-produzioni artistiche e letterarie. Saranno benvenuti glipseudonimi. Sara' possibile uploadare nuove sezioni e produzioni per ogni dowload effettuato dalla Rete. Ma soprattutto ogni testo inserito verra' automaticamente trasferitonelle sottoreti Freenet e GNUtella dove si passa da un computer all'altro senza intermediari, e dove la produzione letteraria si anonimizza da se'. Perche' se Omero e Shakespeare erano solo pseudonimi, si esaurisce anche in
rete il culto autoriale dell'opera d'arte... Situazionismo? Delegittimazione delle leggi sul diritto d'autore? La Rete come
biblioteca universale dove depositare una copia di ogni produzione letteraria? Di tutto e di piu'.

 

 

 

 

 
UN MILIONE DI DOLLARI PER IL NO COPYRIGHT!                                                        

Un anonimo donatore ha elargito la consistente somma di un milione di dollari per incoraggiare e aiutare una ricerca universitaria che abbia lo scopo di diminuire il grande potere delle leggi sul copyright. L’intenzione della benefica offerta mira a trovare un corretto equilibrio fra i diritti di proprieta’ intellettuale e cio’ che viene denominato materiale di “pubblico interesse”.

URL: http://www.studiocelentano.it/editorial/articolo.asp?id=357

di G. Cavaliere

 

 

HACKERS ED ANTICOPYRIGHT

 

Gli Hacklabs, moltiplicatisi dopo il secondo hackmeeting italiano (www.hackmeeting.org), sono quei luoghi dove gli hackers fondono le proprie conoscenze, discutono degli usi sociali della tecnologia e contestano l'appropriazione privata degli strumenti del comunicare.

Con singolari iniziative.

Il Loa hacklab di Milano, ad esempio, nato e cresciuto al centro sociale Bulk, si distingue per l'opera di alfabetizzazione all'uso critico dei computer e alla diffusione di sistemi aperti e gratuiti per far funzionare i computer.

Discepoli di Linux e di tutti gli altri strumenti software progettati collettivamente e con libera licenza di distribuzione, i membri del Loa hanno fatto propria la proposta dell'obiezione di coscienza rispetto all'utilizzo di software proprietario (e a pagamento) nelle università, e hanno avviato una campagna contro il carattere antisociale del diritto d'autore sostenendo che esso "anziché proteggere il vino, protegge la bottiglia" e non salvaguarda gli interessi degli autori ma quelli della burocrazia che ne gestisce i diritti (www.ecn.org/loa).

Con una serie di incontri a Milano, a Bologna e a Roma, hanno affrontato l'argomento della Gnu Economy, ovvero di quella particolare forma di economia, solidale, cooperativa e non mercantile, che è legata alla produzione di software, libri e musica che incorporano le quattro caratteristiche dei prodotti rilasciati sotto licenza Gnu-Gpl (Gnu-General Pubic License), e cioè: la disponibilità illimitata di modifica, copia e distribuzione dei prodotti del sapere  per migliorare la qualità della vita della comunità, con il solo vincolo di includere in ogni successiva modifica e distribuzione la stessa garanzia di libertà assicurata dalla licenza di "un bene prodotto collettivamente".

Poiché libero non significa gratuito, ma liberamente distribuibile e modificabile da tutti - i prodotti free costano meno ma si pagano - i loaniani precisano che per guadagnarsi da vivere con prodotti liberamente utilizzabili i programmatori possono farsi pagare per la personalizzazione, la manutenzione e la formazione all'uso del software che vendono alle aziende, mentre musicisti e scrittori no-copyright possono assicurarsi un reddito rinunciando all'intermediazione commerciale della vendita delle loro opere e distribuendole attraverso la rete a costi assai ridotti a un numero elevato di acquirenti.

La discussione tuttora in corso sul danno sociale derivante dall'applicazione rigorosa del copyright e dalle ipotesi di brevettabilità del software è per i loaniani l'occasione per rivendicare il carattere collettivo di ogni forma di saperecontro l'abuso di chi se ne appropria etichettandolo con un marchio multinazionale.

Come dargli torto? Dopotutto "privato" è il participio passato di "privare".

(A. Di Corinto e T. Tozzi, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Manifestolibri, Roma 2002 http://www.hackerart.org/storia/hacktivism.htm)

 

 
http://www.singsing.org/stampa/bsa/

"Copiare software è reato"
ma è stata ritirata la pubblicità di BSA. 
Lo spot è stato bloccato, ritirato e riconosciuto illegale dal garante . 
Sulle reti televisive Mediaset, e in molte riviste e pagine di giornali specializzati La campagna pubblicitaria di BSA, Business Software Alliance, ovvero l'associazione che riunisce i maggiori produttori di software commerciale per combattere la pirateria e perseguire legalmente chi la pratica. 

La campagna era partita in contemporanea a Smau 2000 ma ora è stata fermata e dichiarata illegale 

Copiare Software non è reato! Segnalazione/Denuncia di pubblicità ingannevole ai sensi del Decreto Legislativo 
n. 25/01/1992 n. 74." 
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ricevuto da parte di Emmanuele Somma, in qualità di "semplice cittadino, consumatore di software e programmatore"la denuncia. Sotto accusa è lo spot radiotelevisivo "Copiare Software è Reato" della BSA, Business Software Alliance, trasmesso a livello nazionalesu stampa e televisione, a partire dall'ultima settimana di ottobre. In particolare il testo dello spot recita: "Quarantaquattro software su cento sono duplicati, copiati, venduti come originali. Utilizzare software copiati in azienda è un reato. Con la nuova legge si rischiano fino a tre anni di reclusione. Per controllare se nella tua azienda il software è legale, contatta BSA." 

Purtroppo per BSA le cose non stanno così, la semplice operazione di copiare software non è illegale. Il tono 
dello spot era intimidatorio e anche le immagini che lo accompagnavano. Questi alcuni passaggi della denuncia: 
"...la rappresentazione della situazione ritrae un'Italia e le sue istituzioni senza le minime garanzie di uno stato di diritto ed è quindi di dubbio gusto ma soprattutto presumibilmente non veritiera o corretta ai sensi del comma 2 dell'articolo 1 del citato Decreto Legge ...non è illegale neppure quando si tratta di copie di riserva di software coperti da licenze commerciali...sicuramente è però completamente scorretto non aver opportunamente considerato che è proprio attraverso la legittima copia e distribuzione pubblica anche gratuita che prolifera e aumenta la diffusione del software NON commerciale, con licenze di libera distribuzione, appartenenti alla famiglia del software cosiddetto libero come la GNU Public License o le licenze di distribuzione a codice aperto, comunemente denominate Open Source, o di dominio pubblico senza ulteriori licenze di distribuzione." 

Sulla base di queste evidenze, Emmanuele Somma chiede quindi "all'Autorità di intervenire per garantire la non criminalizzazione, il diritto all'immagine, nonché anche quelli economici e patrimoniali degli utenti e di quanti esercitano attività commerciali, industriali, artigianali e professionali avvalendosi di software libero, di pubblico dominio, a codice aperto o comunque non commerciale la cui copia e distribuzione è completamente lecita e non comporta, e non deve comportare, alcun tipo di criminalizzazione." 

L' iniziativa a sostegno dell'open source arriva da Interlex, rivista d'informazione online su diritto e tecnologia. Il 19 ottobre il direttore Manlio Cammarata pubblica una lettera aperta - inviata poi al Dipartimento della Funzione Pubblica, all’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione e al Ministero del Tesoro - sotto l'esplicita intestazione "Soggezione informatica dello Stato italiano alla Microsoft". In pratica, vista l'ampia penetrazione anche in Italia di Linux e applicazioni open source in ambito didattico, istituzionale e imprenditoriale, si spinge per l'adozione di tale software negli apparati della pubblica amministrazione. Ciò risulta d'altronde in piena sintonia con specifici documenti approvati prima dal Parlamento francese e poi da quello danese, a testimonianza di un chiara pratica anti-monopolistica che va concretizzandosi a livello globale e istituzionale. L'uscita di Interlex è inoltre il naturale sbocco di un crescente fermento in tal senso, in parte veicolato dall'intervento di ALCEI al Forum per la società dell'informazione (giugno '99) e da una precedente lettera aperta diffusa proprio all'interno della pubblica amministrazione. 

Il documento ha raccolto già 1200 firme di supporto in due settimane, con annessa risonanza su testate d'informazione online e offline. Insieme a numerosi messaggi di feedback, il successo ha sorpreso finanche lo stesso Cammarata, il quale si è affrettato a diffondere un addendum per spiegare che si non tratta di una "campagna contro, ma di una campagna per". 

Meglio anche qui riprendere testualmente i passaggi più significativi: "L'iniziativa della lettera aperta non è contro la Microsoft, non è contro il Ministero del tesoro, non è contro il Dipartimento della funzione pubblica, non è contro l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione....Ora c'è una situazione nuova, perché lo strapotere della casa americana viene messo in discussione da varie parti e per diversi motivi...Ma l'elemento determinante è che negli ultimi tempi i sistemi operativi e le applicazioni open source si sono evoluti anche nelle interfacce e nella facilità di impiego, avvicinandosi molto a quell'impostazione "amichevole" che è uno dei motivi del successo dei programmi della casa di Redmond." 
In conclusione, la lettera aperta "non è una crociata, è una proposta. Non è contro qualcosa o qualcuno, ma è per un ulteriore passo avanti nella modernizzazione della pubblica amministrazione e del sistema-Paese, un passo che soltanto ora è possibile proporre." 

Il Giurì chiamato a giudicare lo spot "copiare software e' reato" per l'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, dopo un regolare esposto, lo ha condannato e quindi fermato per pubblicita' ingannevole "prot. /am - 588 ...il messaggio televisivo non e' conforme agli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, e ne ordina la cessazione". 

La ragione fondamentale e' la mancata considerazione del software non commerciale dimenticato dallo slogan "copiare software e' reato"; il giurì, dunque, ha riconosciuto che esiste un numero eccezionale di prodotti, non realizzati dalle multinazionali e dai grandi gruppi, che prolifera per la forza di volonta' di sviluppatori autonomi che in tutto il mondo sfornano freeware (gratuito) e shareware (da poche decine di migliaia di lire. Questo software può, legalmente, essere copiato e distribuito a patto di pagare i diritti (quando essi sono richiesti). Al contrario lo spot avrebbe potuto lasciare intendere che non è così e danneggiare il sistema di distribuzione dello shareware e del freeware che si basa proprio sulla "copia" autorizzata dei prodotti 

Il Giurì ha giudicato ingannevole e scorretto lo spot. Una chiara vittoria contro lo strapotere delle multinazionali del software. 


Questo il testo della comunicazione ufficiale, prontamente rigirato online dallo stesso Emmanuele Somma: 

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Mail inoltrata da "I.A.P." 

Milano, 14 dicembre 2000 

prot. /am - 588 


Egregio Signor 
Emmanuele Somma 

Segnalazione messaggio pubblicitario "Copiare software è reato", della Business Software Alliance trasmesso sulle reti Mediaset 

Con riferimento alla segnalazione in oggetto, con la presente Le comunichiamo che, dopo l'esame del caso da parte del Comitato di Controllo e la decisione di trasmettere gli atti al Giurì, ai sensi degli artt. 2, 8 e 9 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, nella sua riunione del 12/12/00, l'organo giudicante dell'Autodisciplina Pubblicitaria ha emesso il seguente dispositivo: 

"Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che il messaggio televisivo non è conforme agli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, e ne ordina la cessazione." 

Appena disponibile provvederemo a trasmettere la decisione integrale, comprendente anche la relativa motivazione. 

Grati per la collaborazione, porgiamo i migliori saluti. 

La Segreteria 

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É il caso di aggiungere il testo integrale degli articoli (violati) in questione: 

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Dal Codice di Autoregolamentazione Pubblicitaria 

Art. 2 - Pubblicità ingannevole. 
La pubblicità deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l'identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti. 

Art. 8 - Superstizione, credulità, paura. 
La pubblicità deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura. 

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Éstata quindi ascoltata la denuncia di un cittadino nei confronti delle multinazionali del software, le quali pur di difendere i propri interessi commerciali non esitano a lanciare campagne tanto intimidatorie quanto indiscriminate. Si tratta di una vittoria importante perché finalmente si pone fine a un tipico abuso d'informazione, dando altresì pubblico riconoscimento alle diffuse lamentele contro similari campagne pubblicitarie - anche se rimangono tuttora pochi i singoli che decidono di far davvero qualcosa. In tal senso, la conclusione positiva di questo caso potrebbe stimolare l'avvio di iniziative più massicce a tutela dell'open source da una parte e in netta opposizione a certe pratiche scorrette dall'altra. 

Per dovere di cronaca va rammentato che, all'indomani della denuncia, un comunicato della BSA aveva definito lo spot "un normale messaggio pubblicitario, necessariamente espresso in termini chiari e comprensibili a tutti". E quanti criticavano l'iniziativa pubblicitaria, avevano interpretato l'episodio "in modo distorto, al fine di bloccare la campagna per la sensibilizzazione delle imprese al controllo della legalità del software." La precisa disposizione delle Autorità preposte dimostra tuttavia che le cose non stavano né stanno così. E a rimanere bloccata stavolta non è altro che la campagna della BSA. 

Il punto, ancora un volta, è che si preferisce far finta di nulla e ricorrere a terminologia chiaramente scorretta. Al generico concetto di "software copiato" in questo caso occorrerebbe sostituire il più preciso "software contraffatto". Bisogna inoltre smetterla di ignorare l'ampia fetta di utenti di ogni livello, dall'imprenditoria locale alle mega-corporation ai singoli, che in ogni paese del mondo ricorre al software ed ai sistemi open source per le proprie attività quotidiane. Non è un certo un caso che certe crociate siano tirate da Microsoft & co., stavolta riuniti sotto la bandiera dell'organizzazione nonprofit internazionale BSA. 

Grazie quindi a Emmanuele Somma per essersi fatto carico di portare la delicata questione all'attenzione delle Autorità, nella speranza che la vittoria serva da monito ai potentati del software commerciale. Anche se è chiaro che occorrerà continuare a vigilare contro analoghe operazioni ambigue, per difendere al contempo la diffusione dell'open source in ogni ambito e con ogni mezzo possibile. 

Dulcis in fundo, sull'onda della decisine del Giurì è appena sorta una mailing list finalizzata alla raccolta di messaggi di approvazione, condivisione, aiuto e apporto non solo intorno a questa e iniziative similari, ma anche - riprendendo la nota diffusa online - di quant'altri vogliano "rendere la società più libera e trasparente sotto tutti i punti di vista, anche quello del software e dell'informatica in generale." 
Il gruppo virtuale, si chiama "fronda-it". La lista si propone anche come strumento operativo per un obiettivo più generale, quello di coordinamento delle iniziative sulla frontiera digitale in Italia.











 

ARCHEOLOGIA ANTICOPYRIGHT

Nel 1958 nasce l'Internazionale Situazionista ed il gruppo Fluxus57. In un'atmosfera conseguente ai lavori svolti nel decennio precedente dal Lettrismo, dal gruppo Cobra, dal Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista e dal Laboratorio Sperimentale di Alba, così come dal lavoro delle avanguardie nella prima metà del secolo, i due gruppi porranno una forte attenzione alla necessità di rendere lo spettatore protagonista attivo dell'opera d'arte e ad una partecipazione collettiva nell'atto creativo.

"L'internazionale situazionista rigettò per prima il concetto stesso di copyright concedendo a chiunque senza alcuna limitazione, se non quella della responsabilità personale, il diritto di riprodurre i propri testi" (G. Bessarione in I fiori di Gutenberg, tr. It. in Scelsi, 1994, pag. 223).

 
 
COPYRIGHT: Apriamo un chiosco per copiare CD ?

http://www.ricordati.com/brevi/news33633.htm

 

 

 
http://www.studiocelentano.it/newsflash_dett.asp?id=2905



(ANSA) - ROMA, 24 LUG - Un manuale di autodifesa contro una legislazione sempre piu' restrittiva sull'uso di internet: l' iniziativa e' promossa dall'associazione Newglobal.it. Presentato oggi in Senato anche il sito P2P@newglobal.it al quale chiedere chiarimenti su come difendere il diritto alla libera condivisione alla conoscenza. 'Ormai gli unici diritti garantiti - ha detto il senatore dei Verdi Fiorello Cortiana - sono quelli delle grandi multinazionali'. L'iniziativa fara' felici gli orfani di Napster. /RED []

 
Nel corso del convegno sulla Bossi-Fini Francione ha sostenuto la legalizzazione del mercato di cd contraffatti creando un mercato di serie b con cooperative di extracomunitari che così verrebbero tratti fuori dall'illegalità.

L'artista Andrea Serafini al riguardo ha proposto una maniera assai semplice di risolvere il problema delle merci false vendute dagli extra comunitari.

Basterebbe coinvolgere stilisti di moda, produttori di dischi, libri e video (o quant'altro ti venga in mente) nella produzione di articoli specifici destinati solo al mercato gestito dagli extra comunitari.

Se ne otterrebbero innumerevoli vantaggi:

- non verrebbero più messi in commercio falsi, ma articoli originali

- verrebbe messo in regola un settore della popolazione al momento decisamente svantaggiato

- i "grandi nomi" ne otterrebbero una indubbia pubblicità

Basterebbe coinvolgerne uno o due nella nuova linea MAROC e gli altri seguirebbero a ruota.......

 

 
LE MISURE CONTRO I CRACKATORI DI DVD VIOLANO LA LIBERTA' DI PAROLA

http://www.studiocelentano.it/newsflash_dett.asp?id=5940

Una Corte di Appello californiana ha ribaltato un provvedimento consistente nel bloccare per quattro anni la pubblicazione di un programma per crackare DVD, poiche' esso viola la liberta' di manifestazione del proprio pensiero.

LOS ANGELES, USA - Una Corte di Appello californiana ha ribaltato un provvedimento consistente nel bloccare per quattro anni la pubblicazione di un programma per crackare DVD, poiche' esso viola la liberta' di manifestazione del proprio pensiero. L'attore, la DVD Copy Control Association, aveva citato in giudizio tempo fa Andrew Bunner, per violazione dei suoi diritti di proprieta' intellettuale, poiche' aveva reso pubblico su Internet un sistema per bypassare una tecnica per criptare i DVD. Oggi, pero', il Sesto Circuito della Corte di Appello della California ha rigettato le pretese dell'attore, che aveva vinto in primo grado (rivela CNET News). [G.A. Cavaliere]

di G. Cavaliere

 
 
L'evoluzione della specie: da Napster al social networking 


Quando Napster raggiunse nel 2000, in poco 
piu’ di 1 anno, i 60 milioni di utenti, il file sharing 
esplose come fenomeno di massa catturando l'attenzione del 
grande pubblico, dei media e di tutte le major.
In realta’ Napster non fu il primo software di file 
sharing realizzato (di gran lunga preceduto dalle IRC), ma 
ebbe sicuramente il merito di catturare l'attenzione degli 
utenti, grazie alla sua semplicita’ d'uso ed intrinseca 
viralita’.
Caratteristica tecnica di Napster era la struttura 
"centralizzata" della propria rete; in altri termini Shawn 
Fanning - inventore di Napster - aveva predisposto 
un'architettura basata su un server centrale di 
riferimento - una sorta di motore di ricerca - cui 
potevano collegarsi tutti i client.
Ogni volta che un utente si collegava, riceveva le 
in dicazioni dal server sugli utenti con cui poter 
scambiare file e stabilire a quel punto una connessione 
diretta (peer to peer).
Questa struttura, per quanto tecnicamente vincente, rese 
pero’ Napster facilmente vulnerabile agli attacchi delle 
Majors. 
Infatti fu sufficiente individuare e bloccare il server 
centrale, per mettere fuori uso Napster.
Napster fu chiuso, salvo risorgere di recente, ma questa 
volta come servizio a pagamento. 
Dalla chiusura di Napster in poi, proprio a causa dei 
potenziali rischi giudiziari, gli sviluppatori di software 
di file sharing hanno iniziato a creare sistemi sempre 
piu’ delocalizzati, cosi’ da evitare che la chiusura di un 
unico server potesse compromettere il funzionamento 
dell'intera rete.

Ecco nascere, quindi, reti ibride e reti completamente 
decentralizzate, caratterizzate da diversi software client 
in continua evoluzione (WinMX, Kazaa, Emule, ecc). 
La presenza di reti "s enza testa" mise subito in luce 
l'impossibilita’ di stoppare i sistemi di file sharing, 
come era invece stato possibile con Napster.
Come e’ possibile, infatti, bloccare un sistema composto 
da centinaia di milioni di pc autonomi, sparsi in tutto il 
mondo, che scambiano miliardi di file alla settimana?
La soluzione, scelta in primis dalla RIAA, l'associazione 
delle case discografiche americana, e’ stata allora quella 
di procedere con cause e denunce a 360°); questo 
ha pero’ provocato un ulteriore sviluppo dei sistemi di 
file sharing nella direzione di software, oltre che 
delocalizzati, anche in grado di garantire privacy e 
anonimato. 
Un esempio recente e’ Mute.
(Basato sullo studio delle formiche (!), questo sistema:
- utilizza crittografia (Blowfish) per proteggere il 
contenuto dei file scambiati;
- rende anonimo l'utente trasformando l'indi rizzo IP in un 
IP virtuale;
- non mette in connessione diretta i pc degli utenti che 
scambiano file tra loro (l'utente A, in base a un 
algoritmo random, scarica da B passando ad esempio per C e 
D).
In sostanza i software di nuova generazione sono in grado 
di usare crittografia; nascondere l'indirizzo IP di chi si 
collega attribuendo un indirizzo virtuale diverso ogni 
volta che si scambia un file; creare connessione indiretta 
tra chi scambia i file passando attraverso altri "nodi" (= 
pc collegati) che non sono a conoscenza della destinazione 
finale.
E’ evidente che sistemi di questo tipo (crittografati, 
anonimi e indiretti) rendono l'individuazione degli utenti 
decisamente complicata ed estremamente onerosa (occorrono 
specialisti, strumenti tecnici di alto livello, risorse e 
tempo).
In ogni caso, anche volendo ammettere che le task force 
governative di turno, riescano a compiere le suddette 
attivita’ di c ontrollo velocemente e a costo zero, il 
problema non sarebbe risolto.
Anzitutto anche individuando l'indirizzo IP di una 
macchina non c'e’ certezza di individuare l'utente.
Infatti l'indirizzo IP puo’ corrispondere a decine o 
centinaia di utilizzatori (pensiamo ad esempio alle 
Universita’ o agli Internet Cafe’); l'intestatario del 
contratto puo’ essere un soggetto diverso 
dall'utilizzatore (contratto intestato al padre, mentre 
l'utilizzatore e’ il figlio); l'indirizzo IP puo’ essere 
usato abusivamente (ad esempio facendo war driving su una 
rete wireless; in altri termini ci si collega abusivamente 
a una rete wireless intestata ad altri e la si usa per i 
propri download).

E ancora. Ammettiamo per un momento, a prescindere da ogni 
questione di diritto e concernente la privacy, che venga 
sviluppato un sistema "perfetto" in grado di monitorare 
con certezza, velocita’ e precisione tutti gli utenti che 
scambi ano file illegalmente.
Anche questo strumento sarebbe inutile.
Infatti le reti di social networking (negli Stati Uniti la 
nuova "big thing" del web), caratterizzate dall'avere un 
accesso limitato ai soli invitati secondo la teoria dei 6 
gradi di separazione, potrebbero ad esempio essere usate 
per scambiarsi file in sicurezza lontano da sguardi 
indiscreti. 
I sistemi di file sharing si sono evoluti passando da una 
struttura trasparente e centralizzata ad una 
invisibile/mascherata/crittografata/decentralizzata. 
Tale nuova struttura rende di fatto impossibile 
controllare, in modo facile e economico, gli utenti e i 
relativi contenuti scambiati.
In ogni caso, anche qualora si riescano a decrittografare 
i contenuti e scoprire l’identita’ di chi scarica, in 
tempi rapidi e a costi contenuti, bisogna considerare che 
il numero degli utenti coinvolti e’ comunque altissimo (60 
milioni solo negli Stati Uniti), in crescita (nel marzo 
2004, Kazaa, il piu’ famoso software di file sharing, e’ 
stato scaricato da 2 milioni utenti) e il rischio poi, ad 
esempio, di risalire a minori alla fine dell'indagine, e’ 
molto elevato. 


Reazioni nel mondo: risultati e conseguenze 


Negli ultimi 5 anni, nel mondo, le reazioni degli aventi 
diritto (Major, Associazioni di categoria, titolari del 
diritto d'autore) al dilagante fenomeno del file sharing, 
sono state incentrate sulla repressione. Alcuni casi 
recenti: 

USA, Settembre 2003: 261 utenti sono stati denunciati 
dalla RIAA 
USA, Febbraio 2004: 531 utenti denunciati dalla RIAA 
Canada, Febbraio 2004: 29 utenti denunciati in Canada 
USA, Marzo 2004: altri 532 utenti denunciati dalla 
RIAA 
UK, Marzo 2004: l’associazione inglese - BPI - ha 
annunciato che intraprendera’ una campagna di informazione 
e sporgera’ denunce (sono 8 milioni gli utenti inglesi che 
scaricano file). 
Le azioni legali intraprese non hanno pero’ portato il 
risultato atteso sotto molti profili.
Il numero di utenti che scambiano files non e’ diminuito. 
I software di file sharing non sono spariti (come il dopo 
Napster sembrava promettere) ma sono al contrario 
proliferati. L'esito giuridico delle vertenze sta avendo 
esiti alterni e in alcuni casi un effetto boomerang sugli 
attori che hanno instaurato le cause. La recente sentenza 
Canadese ne e’ un esempio lampante. 
La Corte Canadese si e’ infatti pronunciata a favore della 
legalita’ del P2P (la sentenza e’ in verita’ ben piu’ 
articolata e ricca di sfaccettature), obbligando a un 
brusco arresto la locale CRIA (Associazione delle Case 
Discografiche Canadese) e aprendo in questo modo un buco 
nel sistema.
Infatti, poiche’ il file sharing avviene su scala 
mondiale, questa sentenza rende pressoche’ va na qualunque 
normativa repressiva in qualunque altro paese del mondo 
(ai big uploaders sarebbe infatti sufficiente spostarsi in 
Canada per operare indisturbati).
Giuridicamente sussistono inoltre notevoli complicazioni 
sia probatorie sia per individuare correttamente in 
giudizio le diverse fattispecie; tra tutte rileva la 
differenza tra furto e scambio, spesso volutamente 
confusa, ma di fondamentale importanza.
Nel file sharing non si ruba qualcosa a un altro, non la 
si sottrae dal pc di un altro utente; la si scambia, la si 
baratta, la si condivide con modalita’ che possono 
cambiare di volta in volta anche in modo inconsapevole.
Le denunce e le cause hanno poi sollevato la curiosita’ 
dei ricercatori interessati a stabilire fino a che punto 
il file sharing incida sul business delle Major e fino a 
che punto non siano invece discriminanti altri fattori (il 
prezzo troppo alto dei CD; la scarsita’ di conten uti 
proposti; la concorrenza di altri prodotti multimediali 
piu’ appetibili; la crisi economica; ecc).

A questo proposito sta facendo scalpore la ricerca 
presentata in questi giorni da 2 professori delle 
Universita’ di Harward e North Carolina in cui si afferma 
che non e’ rinvenibile una incidenza statisticamente 
rilevante sul calo di vendite dei CD,imputabile all'uso 
del file sharing.
La ricerca e’ stata effettuata su quasi 2 milioni di file 
monitorati per 17 settimane e il risultato riportato 
indica 1 mancato acquisto di CD ogni 5.000 download. 
E’ importante sottolineare che a questa ricerca ne vengono 
comunque contrapposte altre, parimenti autorevoli (es. 
Forrester), che invece rilevano una pesante incidenza del 
file sharing sulla vendita di musica / video.
I principali players del mercato stanno poi cercando di 
vendere musica e video v ia Internet: Apple ha ad esempio 
venduto 50 milioni di canzoni tramite il proprio negozio 
ondine Itunes (le canzoni sono vendute a 99 cents)
e molti altri protagonisti stanno aprendo negozi di 
musica on line (es. Wal mart e Microsoft).
E’ da considerare pero’ che il rapporto tra file 
disponibili su un negozio on line e file presenti nelle 
reti P2P e’ stimato essere addirittura di 1 a 260 ! 
Infine i produttori di software, come sopra accennato, 
sono stati stimolati ad aggiungere funzionalita’ per 
l'anonimato degli utenti e la crittografia dei file 
scambiati (con conseguente rischio di utilizzo di queste 
tecnologie - nell'impunita’ - per finalita’ ben piu’ gravi 
rispetto al file sharing, quali terrorismo e 
pedopornografia). 

Numerose sono state e sono le denunce/cause intentate sia 
agli utenti, sia ai produttori di software di file sharing 
e prodotti correlati. Questa politica da alcuni 
considerata come "denuciare il proprio potenziale 
cliente", non sembra portare risultati positivi e non 
lascia intravedere spiragli per il futuro.
A questo riguardo occorre considerare che su Internet e 
nel settore dei "dati digitali", ogni tentativo di 
limitare l'accesso ad una risorsa, censurare contenuti o 
proteggere file e’ puntualmente fallito.
Basti pensare all'esempio - forse il piu’ eclatante - del 
Red Firewall cinese, il sistema che vieta ai cittadini 
cinesi di navigare liberamente (sistema eludibile grazie 
al software sviluppato dal gruppo di hacktivisti Cult of 
the Dead Cow; alla protezione CSS per i DVD
(craccata da un giovane norvegese, per 
questo denunciato ma poi assolto; piu’ in generale
a qualunque software in circolazione, 
il cui crack e’ facilmente disponibile in rete.



Le proposte 


Occorre premettere ad oggi nessuno ha ancora trovato una 
soluzione soddisfacente per conciliare la tutela del 
diritto d'autore (= compensare chi produce), con il 
diritto alla privacy e liberta’ di scelta degli utenti.
Certo e’ che il file sharing e’ uno strumento tecnico 
straordinario che viene e verra’ usato in futuro anche per 
moltissime applicazioni sia B2B sia B2C.
Il file sharing e’ uno strumento straordinario per la 
diffusione della Cultura e del Sapere in genere e puo’ 
contribuire a far conoscere anche artisti sconosciuti in 
modo istantaneo in tutto il mondo.
Sulle reti p2p, poi, e’ bene ricordare che non circolano 
solo musica e video ma anche libri, documentazione tecnica 
e materiale introvabile nei negozi.
Bloccarlo, oltre a non essere possibile, sarebbe contrario 
al l'evoluzione naturale della tecnologia. 

Scambiare file, inoltre, e’ ormai un’attivita’ 
diffusissima (e considerata normale dagli utenti), che le 
Major piu’ attente ai consumatori riusciranno, prima o 
poi, a trasformare in un nuovo canale di business (avere a 
disposizione uno strumento di distribuzione cosi’ 
capillare e funzionante non rappresenta di per se’ uno 
strumento eccezionale?); dovranno pero’, con tutta 
probabilita’, modificare il proprio approccio cosi’ come 
e’ successo nell'industria automobilistica americana ai 
tempi di Ford o quando e’ nata la radio.
In questo contesto estremamente articolato emergono pero’ 
2 proposte che, per quanto non immuni da critiche, 
appaiono particolarmente accurate, documentate e basate 
sull'esperienza americana di questi anni.
Entrambe individuano come primaria la legalizzazione dei 
sistemi di file sharing a fronte, in un caso, di un canone 
volontario mensile, nell'altro caso di una tassa a monte 
su prodotti e servizi concernenti il file sharing. 
In particolare, la EFF (Electronic Frountier Foundation)
storica associazione per le liberta’ 
civili, propone un pagamento di un canone mensile che 
autorizzi gli utenti a scaricare file. Si parla di un canone di 
pochi dollari, circa 5 dollari a utente, pagati su base 
volontaria (Voluntary Collective Licensing of Music File 
Sharing) e solo fino a quando si desidera usufruire del 
servizio.
Il sistema mutuato dal modello radiofonico, prevede la 
raccolta del canone da parte di un organismo indipendente 
e la relativa redistribuzione ai rispettivi autori. 
La seconda proposta, presentata dal Prof. Fisher della 
Stanford University (probabilmente lo studio piu’ 
esaustiv o svolto ad oggi in materia di file sharing), 
suggerisce l'imposizione di una tassa a monte sull'accesso
a banda larga (ISP access) e/o sui supporti che ruotano 
attorno al file sharing (masterizzatori di CD, CD vergini, 
lettori MP3, ecc.).
Anche in questo caso, l'importo risultante dai calcoli 
matematici dello studioso e’ di pochi dollari al mese (6 
dollari ) e anche in questo caso sarebbe raccolto da una 
realta’ ad hoc e redistribuito agli aventi diritto. Da 
notare che calcolando la sola tassazione sull'ISP access, 
il Prof. Fisher calcola un raccolta pari a 2.5 miliardi di 
dollari all'anno, solo negli Stati Uniti.

Nessuno ha oggi una soluzione efficace e definitiva ai 
problemi sollevati dall'uso del file sharing.
Due proposte, della EFF e del Prof. Fisher - per quanto 
non risolutive e da perfezionare - sono pero’ sulla stessa 
lunghezza d 'onda e hanno il merito di segnare in qualche 
modo la via da percorrere prospettando per la prima volta 
soluzioni concrete e soddisfacenti per tutte le parti 
coinvolte.
Entrambe propongono il pagamento di pochi dollari al mese 
per compensare i titolari di copyright, a fronte della 
legalizzazione del P2P.

Commissione Cultura della Camera dei Deputati: Audizione 
informale nell’ambito dell’esame del disegno di legge di 
conversione del decreto legge n. 72 del 2004, recante 
interventi contro la diffusione telematica abusiva di 
materiale audiovisivo e a sostegno delle attivita` 
cinematografiche e dello spettacolo di (...) esperti in 
materia di information technology e del professor Stefano 
Rodota`, Garante per la protezione dei dati personali. 
Abstract della relazione del Dott. M. Montemagno

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5 APRILE 1993

SENTENZA N° 57/93 DELLA PRETURA CIRCONDARIALE DI LANCIANO SEZIONE DISTACCATA DI ATESSA

 

Nella causa penale iscritta al n. X R.G.A.P. contro

1) YY (omissis) libero-presente

IMPUTATO

 

del reato di cui all’art. 1 L. 29.7.81 n.106 por avere abusivamente riprodotto a fine di lucro dischi e musicassette senza l’autorizzazione della SIAE di cui poi faceva uso con l’emittenza radiofonica “HH” di ZZ.

Accertato il 29.8.91

 

In esito all’odierno dibattimento le parti così concludevano:

- il P.M. : assoluzione perchè il fatto non costituisce reato;

- il difensore: assoluzione perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato; in via subordinata si associa alle richieste del P.M..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le risultanze processuali hanno consentito di escludere la responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli.

Giova premettere che la fattispecie di cui all'art. 1 l. 406/1981, contestata all'imputato, nel penalizzare la riproduzione di dischi ed altri supporti, senza averne diritto ("abusivamente"), postula una attività di copiatura, da

intendersi nel senso di formazione di esemplari il più possibile identici all’originale (interpretazione logico-letterale) ed è finalizzata alla repressione del dilagante fenomeno della c.d. pirateria discografica (esercitantesi utilmente ed ampiamente sul versante della abusiva registrazione di audio cassette, richiedente minimi mezzi tecnici): ciò che è confermato dalla stessa rubrica sotto la quale la legge in argomento è stata promulgata, oltre che del fine di lucro richiesto dalla norma in  esame (interpretazione teleologico-sistematica).

Corollario dell’approccio dianzi precisato (già evidenziato in giurisprudenza) è che la riproduzione, per essere potenzialmente lesiva dell'interesse tutelato, deve avvenire in un numero significativo di esemplari, circostanza questa logicamente sottesa al richiesto fine lucrativo dianzi tratteggiato.

Orbene, questo essendo il significato ed il fine della norma di cui in epigrafe, devesi rilevare che la mera attività di copiatura, peraltro non abusiva - essendo la stessa imposta dalla legge n. 223/1990 che nel ribadire che la diffusione di     programmi radiofonici ha carattere di preminente interesse generale (art. 1) statuisce l'obbligo per le emittenti radiofoniche   di registrare ogni loro trasmissione e di conservare i nastri      per almeno 3 mesi (art. 20) - appare indispensabile per il corretto e proficuo funzionamento delle stazioni radiofoniche, sotto il duplice profilo dell’approntamento di basi musicali diffondibili in assenza di personale e della messa in onda di programma in differita, stante oltretutto la sua natura “effimera”.

Perseguendo la citata norma il fine di repressione della c.d. pirateria discografica e non quello di repressione dell’emittenza radiofonica, la quale peraltro ha indubbiamente anche una matrice costituzionale (art. 21 Cost.), devesi ritenere che la precisata attività di semplice registrazione su supporti magnetici di dischi e musicassette posta in essere da una stazione radio, non è prevista dalla legge come reato, siccome coessenziale all'esercizio dell'emittenza radiofonica di cui lo stesso legislatore auspica il pluralismo.

Di talchè YY deve essere assolto dal reato ascrittogli perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Segue per legge la restituzione del materiale in sequestro.

P.Q.M.

VISTO L’ART.530 C.P.P.

ASSOLVE YY DAL REATO A LUI ASCRITTO PERCHE’ IL FATTO NON E' PREVISTO DALLA LEGGE COME REATO.

ATESSA 31 MARZO 1993

 
http://www.studiocelentano.it/editorial/articolo.asp?id=970

Regolamentazione e deregolamentazione dei diritti d'autore in rete

di Marco Cappato, Deputato europeo


M. Cappato - Il progresso tecnologico degli ultimi quindici anni ha prodotto il piu’ alto numero di innovazioni della storia dell'umanita’ nel piu’ breve lasso temporale. Nel frattempo il legislatore, invece di limitarsi alla definizione di poche regole generali, ha cercato di rincorrere il ritmo dell'innovazione opponendo una visione conservatrice e protezionista - sistematicamente proibizionista - alle possibilita’ offerte dalla creativita’ di ricercatori e programmatori. Negli ultimi anni la Rete, nata come spazio di liberta’, e’ divenuta molto spesso luogo dove il controllo si attua non solo attraverso le leggi che ne regolano l'accesso e l'utilizzo, ma anche attraverso i codici utilizzati per costruirne l'architettura.
Coloro che sostengono e promuovono lo sviluppo delle nuove tecnologie nei paesi in transizione verso un sistema democratico o in regimi illiberali, devono tenere presente che, sia nel primo che nel secondo caso, tanto piu’ lo "spazio virtuale" sara’ considerato libero ed aperto - libero alla critica ed allo scrutinio del pubblico, e aperto al contributo degli programmatori e disegnatori di software - tanto maggiore e sostanziale sara’ la portata di tale promozione.

L'atteggiamento “protezionista” di decine di paesi democratici, e’ il risultato da una parte delle pressioni di chi sostiene siano a rischio i diritti d'autore e di riproduzione, oppure la possibilita’ di brevettare invenzioni, e dall'altra di chi - come le grandi multinazionali dell'intrattenimento e del software - teme il danno economico della riduzione di parte dei profitti legati a modelli produttivi "tradizionali".

Al di la’ dei timori di alcuni dei soggetti interessati, in parte giustificati dalla mancanza di un'adeguata circolazione di informazioni in merito alle possibilita’ di sviluppo di nuove tecniche di distribuzione di “prodotti” tradizionali, la possibilita’ di scambiare contenuti attraverso la Rete come la possibilita’ di scrittura "collettiva" di programmi, rappresentano novita’ da valorizzare e favorire.

La regolamentazione - o, piu’ spesso, la deregolamentazione - puo’ certamente comportare in termini di profitto dei sacrifici iniziali per alcuni, dal restringimento temporale della validita’ dei diritti d'autore alla non brevettabilita’ di funzioni dei programmi software, ma il sacrificio di oggi va iscritto in un processo di cambiamenti che interesseranno sempre piu’ le forme - e probabilmente anche i contenuti - della comunicazione umana e dello "stare insieme" di centinaia di milioni di persone. Gia’ oggi ci sono comunita’ che, in particolare su questioni relative alla Rete o al software, si sono evolute fino a divenire veri e propri gruppi di pressione politica.

Crea dunque crescente preoccupazione il fatto che l'affermarsi di innovazioni tecnologiche si scontri sistematicamente con la proibizione o la protezione ritenute uniche misure di governo possibile dei nuovi fenomeni. Le recenti decisioni legislative in decine di paesi di sottoporre a un rigido regime penale lo scambio di file secondo il sistema cosiddetto “Peer to Peer” (P2P) si iscrivono in questa linea di “mal-governo” della Rete che ha ripercussioni negative, se non drammatiche, anche sul mondo degli sviluppatori di software.


Punto Informatico via Creative Commons
by punto-informatico.it | Friday, Jul. 02, 2004 at 11:03 AM
Il quotidiano informatico adotta la Creative Commons Public License per i contenuti che distribuisce sul proprio sito. Nei prossimi mesi la localizzazione italiana della CCPL. Un commento

 

Mancano solo pochi mesi al varo formale della licenza Creative Commons per l'Italia e questo grazie all'impareggiabile lavoro dei tanti che si sono prestati fin qui a trovare una via alla "localizzazione" di licenze di distribuzione delle opere che contribuiscono in modo sostanziale al concetto di copyleft, evoluta alternativa al copyright tradizionale. Nell'attesa, chi scrive su Punto Informatico ha scelto di offrire un piccolo contributo adottando la Creative Commons Public License (CCPL) generica per tutti i contenuti pubblicati dal sito.

Le licenze Creative Commons (vedi qui il sito italiano) hanno l'obiettivo di rendere disponibili a tutti al massimo grado le opere dell'ingegno: è l'autore a determinare quale grado di "libertà" attribuire alle proprie creazioni. Come nel copyright tradizionale, il copyleft di Creative Commons tutela l'autore, consentendo, per esempio, la libera ridistribuzione della sua opera ma soltanto se la paternità della stessa viene correttamente a lui attribuita ad ogni riproduzione.

Punto Informatico ha scelto le licenze CCPL denominate "Attribution-NonCommercial-NoDerivs". Si tratta di una formula di licenza che permette a chiunque lo desideri di riproporre le news e gli altri contenuti pubblicati dal sito, riproduzioni che dovranno avere tre caratteristiche: il testo originale non potrà essere modificato, la fonte dovrà sempre essere associata al testo e la riproduzione non potrà avvenire, salvo esplicita autorizzazione, qualora l'uso dei contenuti abbia finalità commerciali.

Molti sono gli aspetti giuridici irrisolti per le presenza di una CCPL sul sito di una testata giornalistica gestita da una società editrice italiana, aspetti che dovranno essere chiariti e che già sono stati in parte discussi sulle liste di settore, a partire da CC-it. Ad ogni buon conto coloro che realizzano i contenuti di Punto Informatico utilizzeranno, da oggi in poi, la formula "alcuni diritti riservati", quel "some rights reserved" che si sta rapidamente diffondendo in Internet e che ora si trova anche su tutte le pagine del sito del quotidiano informatico.

Le licenze Creative Commons (qui una bozza di quella che potrà presto divenire la piattaforma giuridica italiana) si deve al lavoro di tanti (vedi anche Creative Commons, gli scopi del progetto su CopyDOWN) e, tra loro, di Lawrence Lessig, considerato il più autorevole studioso di copyright (per conoscere più da vicino il pensiero di Lessig un punto obbligato di partenza è il suo blog).

Di seguito l'editoriale del direttore di Punto Informatico.
Da qualche parte la rivoluzione del copyleft deve cominciare e, negli anni, pensatori del calibro di Lawrence Lessig hanno gettato le fondamenta di una nuova cultura del copyright. Nasce dall'impulso innovativo di una rete che già oggi permea un numero consistente di attività umane e che domani sarà semplicemente l'ambiente dinamico in cui si muoveranno gli uomini, almeno quelli dei paesi ricchi, e il centro del mercato dell'informazione.

Nel suo piccolo, Punto Informatico ha conosciuto una crescita costante - e non parlo tanto dei lettori (761mila a giugno) quanto dei contenuti - e ha saputo percorrere a modo suo una strada di alto profilo, cercando di raccontare le cose della rete e della tecnologia dopo averle fatte proprie. Attraverso i forum ha acceso la possibilità per i fruitori di questa informazione di diventare loro stessi contributori del giornale. Ed è giusto ricordare che quando PI aprì i forum non v'era altro sito di informazione italiano ad aver fatto altrettanto.

Da oggi PI intraprende, pur con qualche incertezza giuridica, la via di Creative Commons. L'adozione di un nuovo modello di libera distribuzione della conoscenza non solo affrancherà la redazione dalle numerose email di chi chiede di ripubblicare i contenuti di PI:-) ma soprattutto costituirà un piccolo, piccolissimo contributo alla creazione di un'alternativa progredita all'attuale copyright che, come ho già scritto tante volte in tanti anni su queste pagine, con l'avvento della rete non si è spostato di una virgola e per questo ha mutato la sua natura: incapace di adattarsi alla rete stessa oggi ne tramortisce quelle promesse di libertà e di condivisione che Internet ha annunciato fin dal suo primo apparire.

Quindi, per togliere i dubbi a chi volesse averne, l'adozione di Creative Commons è anche per noi l'affermazione di una "nuova legalità" e non certo "solo" una dichiarazione di principio.

Paolo De Andreis

 
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap2_IV.html#copyright1

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NO COPYRIGHT: LE CASE EDITRICI HANNO TUTTO DA GUADAGNARCI
Wu Ming 2


Negli ultimi tempi, il dibattito su diritto d'autore e relative violazioni, assume sempre più spesso le forme di un'altra disputa, quella sul trattamento della tossicodipendenza. In entrambi i casi, le questioni in ballo sono sia di natura pratica che etico-morale, ma le seconde - su cui chiunque può dire la sua - prendono comunque il sopravvento, facendo dimenticare (o addirittura falsando) cifre, dati, esperienze concrete.
Risultato: non si arriva da nessuna parte, prevalgono le idee preconcette, mentre sedicenti 'addetti ai lavorì dimostrano di non avere nemmeno una vaga idea di quello che stanno dicendo. In un caso come nell'altro, gli sforzi di chi cerca di tenere i piedi per terra, portare esempi reali, citare precedenti, alla lunga sono votati al fallimento, poiché si sa, anche una dimostrazione matematica - volendo - può essere soggetta a valutazioni del tutto extra-scientifiche. A meno che...
A meno che non si intervenga per tempo. Se il mondo della musica è ormai allo sbando, incapace di inseguire i mutamenti che presto spazzeranno via la produzione discografica così come le conosciamo, nel campo editoriale l'isteria non è ancora alle stelle, e forse c'è lo spazio per una discussione più attenta alla realtà delle cose. In questa prospettiva, almeno tre esempi emblematici andrebbero presi in considerazione.

1) Due anni fa, all'inizio del 2001, lo scrittore di fantascienza Eric Flint ha dato vita a un progetto rivoluzionario. Ha convinto il proprio editore a costruire una biblioteca virtuale, con accesso gratuito, dove rendere disponibili molti romanzi della casa editrice tuttora in commercio nelle librerie. Senza nessun tipo di iscrizione a pagamento, è possibile collegarsi al sito www.baen.com e scaricare sul proprio computer la versione elettronica di decine di romanzi, in cinque diversi formati di presentazione.
Operazione suicida, si potrebbe pensare. Ogni testo scaricato è una copia non venduta, direbbero certi analisti di mercato al soldo delle multinazionali del disco. Ebbene, qualunque considerazione di carattere 'ideologicò viene spinta nell'angolo da un dato inconfutabile: la maggior parte degli autori ha aumentato le vendite da quando i suoi libri sono comparsi sugli scaffali della biblioteca di Eric Flint. Un esempio su tutti: Mother of Demons, dello stesso Flint, ha venduto 9694 copie dal settembre '97 a fine 2000. Nell'anno e mezzo successivo, col testo liberamente scaricabile dal sito, ha raddoppiato le vendite in libreria: 18500 copie.
Senza dubbio quest'aumento può essere giustificato in molti modi. Il romanzo in questione è l'esordio di Flint, che nel frattempo è diventato un autore più noto, dunque più venduto. Atteniamoci dunque al risultato minimo: la presenza di questo romanzo nella biblioteca gratuita non ha danneggiato né Flint né l'editore. Lo stesso, se permettete l'autocitazione, è accaduto a Wu Ming/Luther Blissett. Q, il romanzo che da più tempo è disponibile gratis in diversi formati sul sito www.wumingfoundation.com, continua a vendere molto bene nella versione cartacea, e non accenna a smettere.
Ma c'è di più. Chi sostiene che la disponibilità on-line di un prodotto culturale (che sia musica, narrativa o altro) nuoce alle vendite di quel prodotto sotto qualsiasi forma, può sottoporre alla nostra attenzione grafici disastrosi, senza tuttavia poter dimostrare il nesso fondamentale tra calo delle vendite e downloads gratuiti del prodotto. Al contrario, Eric Flint può esibire migliaia di e-mail nelle quali i lettori dei suoi romanzi affermano: di aver scaricato un suo testo per vedere com'era, di
 averne lette alcune pagine a video, di aver visto che ne valeva la pena, di essere corsi ad acquistarlo in libreria, o di averne regalate in giro diverse copie, o di averne parlato bene a molti amici (tutta pubblicità gratis...).
In ogni caso: se qualcuno ha letto il libro grazie alla biblioteca, ma non ha comprato la copia su carta e non ne ha parlato in giro, resta comunque uno che senza la biblioteca non avrebbe comprato tout court e che non può essere considerato un 'dannò per le vendite di Flint. Zero da zero non fa meno uno.
Inoltre, il passaparola funziona anche al contrario: se uno resta deluso da un libro per cui ha pagato 15 euro, ne sconsiglierà l'acquisto anche ad altri. Se invece gli succede con un testo disponibile gratuitamente, basta che dica: "A me non è piaciuto, ma prova tu stesso...". Nessun venditore di auto vieta ai potenziali acquirenti un giro di prova sui suoi modelli, con la scusa che gli consumano le gomme e la benzina. Se lo facesse, potrebbe chiudere baracca.
Eppure, una strana paura continua a far da scudo contro argomentazioni tanto banali, e viene da pensare che se il libro fosse nato oggi, si discuterebbe sulla legittimità di prestarlo a un amico, e le biblioteche sarebbero considerate un grave attentato alle vendite di un autore e pertanto messe fuori legge.
Molti, nel mondo discografico, rispondono a esempi come questi sostenendo che gli editori sono fortunati, perché il libro resta un oggetto unico, difficilmente riproducibile, a differenza del CD. Senz'altro una differenza importante, ma non sostanziale. Come dimostra il prossimo esempio.

2) La casa editrice O'Reilly è specializzata in manuali - cartacei e on-line - su linguaggi di programmazione, software, nuove tecnologie. Non è una presenza piccola, sul mercato. Alcuni titoli del catalogo vendono centinaia di migliaia di copie. Ora, un manuale di questo tipo non è il classico oggetto che ingenera feticismo: anche stampato su fogli A4 svolge bene la sua funzione. Eppure, le vendite in libreria dei  testi che sono venduti anche on-line - suscettibili dunque di essere piratati - non ha subito flessioni.
Secondo O'Reilly, tale 'piraterià fa parte comunque dei rischi del commercio, tanto quanto il furto in una libreria 'fisica' . Con la differenza che il furto è più dannoso, perché fa sparire un testo dagli scaffali, ma non dai registri del negozio, in modo che il libraio finisce per non riordinarlo, credendo di averlo, e i potenziali compratori finiscono per non trovarlo (e questo potete segnarlo davvero come 'meno uno'!)
O'Reilly aggiunge di non avere nulla in contrario se un acquirente di un suo libro on line lo mette in condivisione tramite Internet. Da che mondo è mondo, i libri si prestano. Questo tipo di 'pirateria' , al peggio, è una sorta di tassazione progressiva: colpisce un autore quanto più è famoso, e lo ricambia rendendolo ancor più famoso. In fondo, per un qualsiasi artista, l'oscurità è un nemico molto peggiore della pirateria. Il discorso è diverso se qualcuno mette in vendita un suo manuale su un altro sito. La cosa sorprendente, però, è che simili violazioni vengono segnalate dagli stessi lettori. O'Reilly ha una spiegazione per questo.
Sul sito della casa editrice c'è una sezione particolare: si chiama Safari Bookshelf. Con dieci dollari al mese è possibile sottoscrivere questo servizio, che permette una ricerca per parole chiave all'interno di tutto il catalogo. L'utente può poi inserire i testi che più lo interessano in uno scaffale virtuale con dimensioni limitate (ci stanno un certo numero di libri e basta), per una durata di 30 giorni, rinnovabili. I testi dello scaffale si possono leggere integralmente, nonché stampare. Nessun
 sito pirata offre altrettanto. E gli utenti ritengono che O'Reilly si sia guadagnato i suoi dieci dollari.
Quest'esperienza dimostra che la 'piraterià si combatte con servizi competitivi a prezzi competitivi.
Se il futuro ci regalerà libri elettronici talmente straordinari da mandare in soffitta le versioni su carta, gli 'editorì si potranno sempre offrire servizi come questo: siti che selezionino i testi migliori dal mare magnum delle pubblicazioni mondiali, che proponganònuovi autorì , che non abbiano un costo eccessivo, che permettano di scaricare copertine particolari, più altri servizi intertestuali...
Quando simili prodotti vedranno la luce, dobbiamo supporre che anche il pagamento on-line si sarà evoluto. Che basterà un clic per pagare a un certo autore due o tre euro per scaricare un suo testo trovato nel sito del tal editore, più la copertina, più altre notizie, più la rassegna stampa...Io immagino che i clic sarebbero molti (e metterebbero nelle tasche degli autori più soldi delle attuali royalties dieci-per-cento-sul-prezzo-di-copertina.). E certo: innescherebbero scambi on-line, e passaparola
e quant'altro. Che male c'è?
Se persino il prestigioso Massachussets Institute of Technology si sta muovendo in questa direzione...

3) Il progetto OpenCourseWare del MIT è un tentativo di riportare l'Università al suo scopo originario: rendere universale la cultura, piuttosto che razionarla e rivenderla solo a chi può permettersela.
All'indirizzo http://ocw.mit.edu, fin dall'ottobre dello scorso anno, sono consultabili i materiali di insegnamento utilizzati dai docenti di numerosi corsi tenuti al MIT. Nel giro di quattro o cinque anni il progetto conta di coprire l'intero spettro dei 2000 corsi che si svolgono nell'istituto.
Da un lato, come detto, il progetto ha una funzione sociale. Senza poter godere di tutti i servizi riservati agli iscritti, molte persone potranno accedere al contenuto delle lezioni di uno degli istituti più prestigiosi del mondo. Tra queste molte persone sono compresi anche i professori di altre università , che potranno utilizzare quei materiali, nonché integrarli ulteriormente, in una sorta di 'docenza open source' dalla quale gli studenti hanno tutto da guadagnare.
In realtà , anche Charles Vest, presidente del MIT, spera di guadagnarci qualcosa. E non solo prestigio, fama, riconoscimenti. In molti di questi corsi, infatti, si fa riferimento a testi editi dallo stesso MIT. Vest è sicuro che le vendite di quei testi registreranno un'impennata. Gli basta citare, a questo proposito, l'esperienza di un'altra istituzione accademica, la National Academic Press, che sul sito http://books.nap.edu ha reso accessibili tutti i 2100 volumi del suo catalogo. Volumi costosi, come
 sono spesso questi manuali (la NAP pubblica per l'Accademia delle Scienze, l'Istituto di Medicina e l'equivalente americano del nostro CNR). Volumi in vendita, in un'altra sezione del sito. Ebbene, con 40.000 copie vendute on-line, lo scorso anno si segnala come il più redditizio per la NAP. Senza, tuttavia, che si siano registrate flessioni nelle vendite tramite altri canali (numero verde, librerie, club...).

Questi esempi dimostrano che ci sono alternative praticabili per salvaguardare i diritti degli utenti, sfruttare al meglio le potenzialità della Rete e avere bilanci in attivo. Molte delle grandi multinazionali dell'intrattenimento sono cadute nella trappola repressiva e stanno pagando le conseguenze di una lotta impari contro la società intera. Altre possono seguirle sulla stessa strada oppure scoprire che, oltre i pregiudizi, può sopravvivere un profitto più 'eticò, più responsabile, ma non per que
sto meno soddisfacente.


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Sempre sulle questioni del copyright, ecco il link a un articolo di Wu Ming 1 apparso su L'Unità del 6 febbraio u.s. Vi sono esposte nei dettagli le "strategie" dell'industria discografica e multimediale per far fronte alla cosiddetta "pirateria". "Strategie" fatte di espedienti tecnologici, gabelle intollerabili e manovre repressive che avranno come unico risultato l'accelerazione della metastasi. L'industria discografica come la conosciamo oggi non ha più di due anni di vita di fronte a sé. Requiescat
in pacem
.
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/finedellemajor.html


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NO COPYRIGHT: LA VITTORIA DEL PUNK
Wu Ming 5



Ricordate cosa scrissero gli occupanti di Piccadilly sul grande edificio abbandonato di cui si erano impadroniti, prima che arrivasse la polizia? "Siamo la scritta sul vostro muro".

George Melly, The Writing On The Wall, aprile 1975.


Il punk rock fonda un'estetica che non ha bisogno dell'industria musicale e nemmeno dell'industria culturale in senso lato per svilupparsi e per proliferare producendo senso.
La fanzine fotocopiata (il punk è impossibile senza fotocopiatrice) è preferibile alla rivista patinata.
I gruppi divengono importanti prima di essere messi sotto contratto, senza aver fatto nemmeno un disco.
Tre accordi, basso, chitarra, batteria sono preferibili all'enfasi tecnica dei gruppi progressive.
è una scena che vede nella vicinanza tra performer e pubblico una condizione di appartenenza, e che tende anzi ad abbattere decisamente quella barriera. Anzi, è una scena in cui propriamente il pubblico non esiste: chi segue il punk è , almeno in pectore, un punk.
Il verticismo che vede in cima alla piramide la star, poi i suoi manutengoli, i clienti, le groupies, i fan, il pubblico-che-compra-il disco e così via è sostituito da una spazio di comunicazione potenziale che è allo stesso tempo una comunità .

Nel luglio del 1975 l'Inghilterra era in piena recessione. Gli indici di disoccupazione erano i peggiori dalla Seconda Guerra mondiale. Non sembrava una crisi congiunturale. Non era quella la percezione della gente, quantomeno. Era la fase avanzata di un declino che sembrava inarrestabile.
La produzione calava. La spesa pubblica aveva raggiunto il 45% del reddito nazionale. Nel novembre 1975 il cancelliere Denis Healey presentò un pacchetto di tagli alla spesa pubblica per tre miliardi di sterline.
"No Future" non fu lo slogan provocatorio di una band di rock'n roll con tendenze teppistiche & anarcoidi. Fu una constatazione.

Nel 1975, paradossalmente, l'industria musicale poteva apparire in buona salute.  Aveva reagito all'apertura di mercato indotta dai fenomeni economici, sociali e culturali dei '60 organizzandosi in corporation multinazionali che detenevano il 60% del mercato britannico. All'epoca,  il prog rock (Genesis, Yes eccetera) rappresentava ancora l'opzione di chi seguiva "un certo tipo di musica"; e in quella fase la globalizzazione era annunciata, ad esempio, da gruppi ultra-pop come gli Abba.  Dopo la vittoria a
l festival dell'Eurovisione nel 1974, il gruppo svedese era diventato "il" fenomeno, dal punto di vista commerciale. Registravano in Svezia, vendevano il prodotto a una multinazionale americana e cantavano in inglese per il mercato europeo.
è interessante anche un altro dato: nel 1975 il 30% delle vendite complessive sul mercato britannico era rappresentato dalle raccolte antologiche di una etichetta (K-Tel) che propagandava i prodotti con spot televisivi.
Come puntualizza John Savage in England's Dreaming riferendosi al clima del periodo: "Pubblicità televisive, catene di vendita funzionali, espedienti fiscali, nostalgia istituzionalizzata: tutto ciò riempiva lo spazio congestionato della cultura pop".
Unica via di fuga, il culto sotterraneo per la musica nera, radicato principalmente nel nord del paese, ma connesso a preoccupazioni sull'"oscurità " e l'"invisibilità " che rendevano problematica una sua affermazione come fenomeno di largo consumo.

Dal punto di vista sociale e economico il biennio '75-'77 rappresenta dunque  una fase di recessione. Dal punto di vista culturale si passò da una fase di stallo a una  rivoluzione.

Vi ricorda qualcosa?

 

http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/copyleft_booklet.html

Dall'inserto "Booklet" della rivista "Il Mucchio Selvaggio", n. 526, dal 25 al 31 marzo 2003:

Il copyleft spiegato ai bambini
Per sgombrare il campo da alcuni equivoci

di Wu Ming 1


"Ma se chiunque può copiare i vostri libri e fare a meno di comprarli, voi come campate?" Questa domanda ci viene fatta sovente, il più delle volte seguita da quest'osservazione: "Ma il copyright è necessario, bisogna pure tutelare l'autore!".

Questo genere di enunciati rivela quanto fumo e quanta sabbia la cultura dominante (basata sul principio di proprietà) e l'industria dell'entertainment siano riuscite a gettare negli occhi del pubblico. Nei media e negli encefali imperversa l'ideologia confusionista in materia di diritto d'autore e proprietà intellettuale, anche se il rinascere dei movimenti e le trasformazioni in corso la stanno mettendo in crisi. Fa comodo solo ai grassatori e ai parassiti d'ogni sorta far credere che "copyright" e "diritto d'autore" siano la stessa cosa, o che la contrapposizione sia tra "diritto d'autore" e "pirateria". Non è così.

I libri del collettivo Wu Ming sono pubblicati con la seguente dicitura: "E' consentita la riproduzione, parziale o totale, dell'opera e la sua diffusione per via telematica a uso personale dei lettori, purché non a scopo commerciale". Alla base c'è il concetto di "copyleft" inventato negli anni Ottanta dal "free software movement" di Richard Stallman e compagnia e ormai diffusosi in tanti settori della comunicazione e della creatività, dall'informazione scientifica alle arti.

"Copyleft" (denso gioco di parole intraducibile in italiano) è una filosofia che si traduce in diversi tipi di licenze commerciali, la prima delle quali è stata la GPL [GNU Public License] del software libero, nata per tutelare quest'ultimo e impedire che qualcuno (Microsoft, per fare un nome a caso) si impadronisse, privatizzandoli, dei risultati del lavoro di libere comunità di utenti (per chi non lo sapesse, il software libero è a "codice-sorgente aperto", il che lo rende potenzialmente controllabile, modificabile e migliorabile dall'utente, da solo o in collaborazione con altri).
Se il software libero fosse rimasto semplicemente di dominio pubblico, prima o poi i rapaci dell'industria ci avrebbero messo sopra le grinfie. La soluzione fu rivoltare il copyright come un calzino, per trasformarlo da ostacolo alla libera riproduzione a suprema garanzia di quest'ultima. In parole povere: io metto il copyright, quindi sono proprietario di quest'opera, dunque approfitto di questo potere per dire che con quest'opera potete farci quello che volete, potete copiarla, diffonderla, modificarla, però non potete impedire a qualcun altro di farlo, cioè non potete appropriarvene e fermarne la circolazione, non potete metterci un copyright a vostra volta, perché ce n'è già uno, appartiene a me, e io vi rompo il culo.

In concreto: un comune cittadino, se non ha i soldi per comprare un libro di Wu Ming o non vuole comprarlo a scatola chiusa, può tranquillamente fotocopiarlo o passarlo in uno scanner con software OCR, o - soluzione molto più comoda - scaricarlo gratis dal nostro sito www.wumingfoundation.com. Questa riproduzione non è a fini di lucro, e noi la autorizziamo. Se invece un editore estero vuole farlo tradurre e metterlo in commercio nel suo paese, o se un produttore cinematografico vuole farci il soggetto di un film, in quel caso l'utilizzo è a fini di lucro, quindi questi signori devono pagare (perché è giusto che ci "lucriamo" anche noialtri, che il libro l'abbiamo scritto).

Tornando alla domanda iniziale: ma noi non ci perdiamo dei soldi?
La risposta è un secco no. Sempre più esperienze editoriali dimostrano che la logica "copia piratata = copia non venduta" di logico non ha proprio niente. Altrimenti non si capirebbe come mai il nostro romanzo Q, scaricabile gratis ormai da tre anni, sia arrivato alla dodicesima edizione e abbia superato le duecentomila copie di venduto.
In realtà, nell'editoria, più un'opera circola e più vende. Autorevoli esempi ci vengono dagli USA - che pure sono un paese ossessionato dalla proprietà intellettuale - e li ha esposti con cristallina precisione il mio collega Wu Ming 2 in un articolo che potete leggere qui:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap2_IV.html#copyright1

Anche senza scomodare il Massachussetts Institute of Technology, basta spiegare in soldoni cosa succede coi nostri libri: un utente X si collega al nostro sito e scarica, mettiamo, 54; lo fa dall'ufficio o dall'università, e quivi lo stampa, non spendendoci una lira; lo legge e gli piace; gli piace talmente tanto che decide di regalarlo, e non può certo fare la figura di regalare una risma di fogli A4! Indi ragion per cui, va in libreria e lo compra. Una copia "piratata" = una copia venduta. C'è chi ha scaricato un nostro libro e, dopo averlo letto, lo ha regalato almeno sei o sette volte. Una copia "piratata" = più copie vendute. Anche chi non regala il libro, perché è in bolletta, comunque se gli piace ne parla in giro e prima o poi qualcuno lo comprerà o farà come descritto sopra (download-lettura-acquisto-regalo). Se a qualcuno il libro non piace, almeno non ha speso un centesimo.
In questo modo, come succede per il software libero e per l'Open Source, si concilia l'esigenza di un giusto compenso per il lavoro svolto da un autore (o più genericamente di un lavoratore della conoscenza) con la tutela della riproducibilità dell'opera (vale a dire del suo uso sociale). Si esalta il diritto d'autore deprimendo il copyright, alla faccia di chi crede che siano la stessa cosa.

Se la maggior parte degli editori non si è ancora accorta di questa realtà ed è ancora conservatrice in materia di copyright, è per questioni più ideologiche che mercantili, ma crediamo non tarderà ad accorgersene. L'editoria non è a rischio di estinzione come l'industria fonografica: diverse le logiche, diversi i supporti, diversi i circuiti, diverso il modo di fruizione, e soprattutto l'editoria non ha ancora perso la testa, non ha reagito con retate di massa, denunce e processi alla grande rivoluzione tecnologica che "democratizza" l'accesso ai mezzi di riproduzione. Fino a qualche anno fa un masterizzatore di cd lo aveva a disposizione solo una sala d'incisione, oggi ce l'abbiamo in casa, nel nostro personal computer. Per non parlare del peer-to-peer etc. Questo è un cambiamento irreversibile, di fronte al quale tutta la legislazione sulla proprietà intellettuale diventa obsolescente, va in putrefazione.

Quando il copyright fu introdotto, tre secoli fa, non esisteva alcuna possibilità di "copia privata" o di "riproduzione non a fini di lucro", perché solo un editore concorrente aveva accesso ai macchinari tipografici. Tutti gli altri potevano solo mettersi l'anima in pace e, se non potevano comprarseli, semplicemente rinunciare ai libri. Il copyright non era percepito come anti-sociale, era l'arma di un imprenditore contro un altro, non di un imprenditore contro il pubblico. Oggi la situazione è drasticamente cambiata, il pubblico non è più obbligato a mettersi l'anima in pace, ha accesso ai macchinari (computer, fotocopiatrici etc.) e il copyright è un'arma che spara nel mucchio.

Ci sarebbe anche un altro discorso da fare, spostandosi ancora più a monte: noi partiamo dal riconoscimento della genesi sociale del sapere. Nessuno ha idee che non siano state direttamente o indirettamente influenzate dalle relazioni sociali che intrattiene, dalla comunità di cui fa parte etc. e allora se la genesi è sociale anche l'uso deve rimanere tale. Ma questo è un discorso troppo lungo. Spero di essermi spiegato bene. Per ulteriori chiarimenti: giap@wumingfoundation.com

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Per ulteriori chiarimenti (lista di link a cura di Wu Ming 1 e Wu Ming 2)
:

Che cos'è la SIAE e come viene gestita:
http://www.report.rai.it/2liv.asp?s=82
Il copyleft: una spiegazione esauriente:
http://www.internazionale.it/copyleft.html


Archivio di libri scaricabili gratis (italiano):
http://www.liberliber.it


Il più grande archivio on-line di materiali di pubblico dominio:
http://www.archive.org

La prima casa editrice di narrativa a mettere tutti i suoi titoli scaricabili gratis:
http://www.baen.com

Il progetto del MIT per mettere on-line tutto il materiale didattico dei corsi:
http://ocw.mit.edu

Sito sul peer-to-peer, esperimenti di "editoria libera", copyleft nell'industria
dell'intrattenimento:
http://www.openp2p.com

 

 

COPYRIOT riproduci-diffondi-condividi

I libri, la musica e l’arte nell’ accezione più estesa del termine, sono sottoposti a rigide regole commerciali, che non permettono la condivisione, la riproduzione e la diffusione, ma solo la distribuzione a scopi di lucro: riproduci diffondi condividi: questi dovrebbero essere i princìpi di una cultura libera, garantita e gratuita per tutti. Tuttavia la SIAE, ad esempio, celandosi dietro la falsa nomea di mecenate difensore dei diritti d’autore, cerca d’impedire un’universale divulgazione dei saperi. E’ per questo che chiamiamo copyriot (copiaribelle) la pratica comune di riappropriazione del diritto ai saperi. Il copyriot diventa cosi riprodotto e riproducibile in ogni sua forma; dalle proiezioni pirata di film alle trasmissioni radio foniche, dalla riproduzione e dalla trasmissione di libri e materiali culturali, allo scambio e alla masterizzazione di cd e dvd. Nel vivere quotidianamente una realtà scolastica sempre più precaria e sottostante alle leggi del mercato grazie alla riforma morattila, un ruolo centrale, ad esempio rispetto al caro-libri, lo rivestono proprio le tasse sull’intelligenza. Le aulette autogestite nelle scuole e gli spazi occupati sono diventati anche luoghi di copyriot ovvero di socialità, aggregazione e rivendicazione di mezzi per accedere alla cultura e all’informazione; momenti di reale autoformazione che nasce dal confronto e dallo scambio. Sotto il nome Copyriot si racchiudono tutte quelle pratiche di violazione delle leggi che difendono gli elevati profitti dovuti alle speculazioni sulla cultura. La produzione artistica e letteraria di musica, libri, film sta diventando sempre più la merce fra le merci. Copyriot è la risposta, la concretizzazione di un’alternativa attraverso cui l’autogestione e la condivisione di idee, di produzioni e spunti liberamente articolati sono veramente di tutti. Non si tratta solo di spazi fisici che riprendono nuova vita, ma anche dell’abbattimento delle barriere che tentano di soffocare le contraddizioni che gli studenti producono quotidianamente a partire dalle scuole.

http://www.abruzzosocialforum.org/mayday/news/1022005305106.html

 

A Stoccolma sfilano i pirati 

Un'importante associazione anti-copyright inscena una manifestazione-provocazione, per promuovere il diritto alla copia e l'accesso libero all'informazione 

da punto-informatico del 09/05/05 

Stoccolma - Erano più di 800 i manifestanti che hanno aderito ad una singolare "chiamata alle armi" di una celebre organizzazione che in Svezia da tempo si batte contro il progressivo irrigidimento della legislazione a favore dei detentori di copyright e contro, a loro dire, i diritti di fruizione delle opere. 

Domenica primo maggio a Stoccolma gli 800 si sono radunati (vedi foto in basso) al grido di "libera circolazione dei saperi, diritto alla copia e alla condivisione", tutte divenute parole chiave di una protesta montante in diversi paesi. In questo caso il diritto alla copia è stato fisicamente "ribadito" mediante un massiccio scambio di supporti tra i partecipanti all'evento. 

Postato da francio il Monday, 09 May @ 12:27:54 CEST (0 letture) 
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  Da   Sek Ettwo

Giovedi' 12 maggio... ore 18.30...

Giornata di sole, ottima per una scampagnata, ma tutto
sommato e' apparsa ottima anche per un volantinaggio
anti copyright davanti al ricordi Megastore di Via del
Corso a Roma.

Cosi' armati di volantini, di biciclette e cd
autoprodotti un gruppo di circa trenta attivisti ha
deciso di piazzarsi davanti l'ingresso del noto
commerciante di musica.
Molte persone si sono soffermate a scambiare qualche
chiacchera con gli svolantinatori. Abbiamo regalato
decine di cd autoprodotti (dalla techno al blues),
riscuotendo un'interessante successo. Quasi tutti i
clienti dello Store dichiarano di
condividere/scaricare musica online, ritenendo
eccessivi i costi imposti dal mercato.

Insomma (quasi)tutti spirateggiano, con piu' o meno
consapevolezza, tutti apprezzano i regali e tutti
conoscono il file sharing... la pirateria fa passi da
gigante........

Una medesimo distribuzione di materiale e' stata fatta
all'Universita' di Roma Tre, facolta' di Lettere nella
mattinata.


Sabato e domenica, presso gli spazi di L38squat e ZK
ci sara' un festival di gruppi indipendenti sui
medesimi contenuti
(http://italy.indymedia.org/news/2005/05/790537.php).


Segue il testo del volantino distribuito.


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La Pirateria libera!

Il copyright contrasta la libera circolazione del
sapere.

Informazioni e musica, arte in genere, libri come
canzoni, teatro e cinema: le mille facce
dell'espressione e della cultura sono quasi sempre
sottomesse al guadagno di pochi, grassi, ricchi
editori, case discografiche, manager, produttori e
speculatori che si arricchiscono sulle spalle
dell'artista il quale a sua volta, nel caso delle
star, si arricchisce sulle spalle di chi ama l'arte e
compra cd a prezzi esasperati.

E' un problema che sembra avere una sola ed unica
soluzione: abolire il copyright, allontanare il
business dalla cultura, alimentare la libera
circolazione del sapere.

La tecnologia oggi ci da una mano e milioni di persone
in tutto il mondo gia' lo fanno; in quale casa non
esiste almeno un cd masterizzato? Chi non ha mai
fotocopiato un libro? E' la cosa piu' normale del
mondo, violare il copyright, difendersi spontaneamente
dai costi eccessivi imposti dai sostenitori della
propriet? delle idee.

Data questa "naturalezza" che senso ha dunque il
copyright? Non e' forse spontaneo passarsi
informazioni, diffondere cultura, condividere il
sapere?

Siamo qui per ribadire questo. Per non sottomettersi
alle leggi delle major e delle multinazionali, per
rilanciare l'indipendenza della musica e
dell'espressione in genere, dal business e dalla
mercificazione della cultura.

Monopolio delle ricchezze, monopolio dei mezzi di
informazione, monopolio dei brevetti: questo e' il
copyright. Assicurare tramite leggi e repressione
guadagni sempre maggiori a chi sull'arte specula.

"...sarebbe una possibilita' incommensurabilmente
fruttuosa, per un numero qualsiasi di persone, di
usare nello stesso tempo le cose astratte (le idee, la
musica, le informazioni) in un qualsiasi numero di
luoghi diversi". (B.R. Tuker)

E' semplice. Qualcuno, poiche' aveva i mezzi di
produzione, ha deciso di legittimare la proprieta'
delle idee. In un mondo in cui i potenti si arrogano
il diritto di possedere tutto, oggi privatizzano anche
i pensieri, i progetti, i suoni, i sogni. Ma le idee
non possono avere padroni. Non possono essere uno
strumento di guadagno, perche' significa imbrigliarle
in una logica del tutto opposta alla loro natura.
Un'idea nasce per essere espressa, diffusa,
confrontata, vissuta, non venduta. Le idee
appartengono a tutto il mondo e per il mondo devono
circolare liberamente senza nessun prezzo e nessun
diritto d'autore, lasciando la propriet? intellettuale
a tristi e triti artisti, disposti a imbavagliare la
creativit? umana.

Loro arriverebbero a privatizzare anche ogni sospiro
che emettiamo, noi arriveremmo a un mondo senza
denari...

Dalla parte dei Pirati!
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www.tmcrew.org/laurentinokkupato/
www.tmcrew.org/zk




________________,,,,...;;;;:::::!!!!|||||>>>sktt0|
"La specializzazione e' roba da insetti,
l'uomo dovrebbe essere capace di fare
qualunque cosa!!!"

Wu Ming 1

Meglio del gingko biloba. Lottare contro il copyright fa bene alla memoria


Se nel futuro remoto saranno all'opera archeologi, siederanno inquieti e perplessi di fronte alle poche vestigia dell'era del capitalismo come sull'orlo di un buco nero, con l'antimateria che sfiora la punta delle scarpe e fa rabbrividire di solletico. Già, perché il nostro tempo rischia di diventare niente più che un enigma, come Atlantide, come Mu, come la civiltà che dipinse le piste di Nazca. La formazione sociale che dalla notte dei tempi ha prodotto la maggiore quantità di informazioni rischia di essere tra le meno conosciute nei secoli a venire. Le uniche "testimonianze" che siamo più che sicuri di tramandare sono scorie nucleari, rifiuti tossici e rovine. Ma come, e la letteratura, la scienza, il cinema, la musica...?
I problemi, a una prima occhiata, sono tre:
bulletla deperibilità dei materiali (e quindi dei supporti dell'informazione);
bulletl'obsolescenza delle tecnologie (parte della generale obsolescenza pianificata delle merci);
bulletla proprietà intellettuale, per difendere la quale si impone un'informazione "a numero chiuso" che non è consentito copiare. I monaci che durante il medioevo copiarono e salvarono gli antichi libri, oggi sarebbero perseguibili a norma di legge.
Diversi romanzi e racconti di science fiction descrivono il grande problema di un futuro senza passato. Il più volte citato racconto di Robert Silverberg Breckenridge and the Continuum1 ha in comune con The Telling, l'ultimo romanzo di Ursula K. Le Guin2 l'idea che il problema si possa risolvere soltanto narrando e copiando, copiando e narrando, facendo circolare le storie, rimuovendo gli ostacoli a questa circolazione.
Le Guin, nata nel 1929, è la grande decana della s-f libertaria, creatrice del famoso ciclo dell'Ekumene. Anche The Telling fa parte del ciclo ma, come tutti gli altri episodi, si può leggere anche da solo. Sul pianeta Aka vige la dittatura dello "Stato-Azienda", una sintesi di fanatismo neoliberista e "polpottismo", che insediandosi ha cercato di distruggere tutte le storie e i miti pre-esistenti. Le comunità, tra cui quella rangmana della città di Okzat-Ozkat, resistono e ricorrono a mille sotterfugi pur di continuare a raccontare storie. "The Telling", la Narrazione, è per l'appunto il nome di questa religione del raccontare, priva di entità soprannaturali, con elementi affini al taoismo e allo zen. "Dharma senza karma" è una delle descrizioni approssimative che ne dà la protagonista, la terrestre Sutty, inviata dall'Ekumene per studiare questa cultura di resistenza e, copiandone i testi, salvarla dall'estinzione.
Ad un certo punto un maz (sciamano-narratore) afferma che non solo la guerra e lo sfruttamento ma anche l'inquinamento e l'ecocidio sono conseguenze di un grave disturbo nella trasmissione delle storie, di un'interferenza causata dalla logica capitalistica:
Senza la narrazione, le rocce, le piante e gli animali vanno avanti benissimo. Ma le persone no. Le persone vagano smarrite. Non distinguono una montagna dal riflesso della montagna in una pozzanghera. Non distinguono un sentiero da un dirupo. Si fanno male. Si arrabbiano e si fanno male a vicenda. Vogliono troppo. Trascurano le cose. Le coltivazioni non vengono seminate. Ne vengono seminate troppe. I fiumi si sporcano di merda. La terra è sporca di veleno. La gente mangia cibo avvelenato. Tutto è confuso. Tutti stanno male. Nessuno si prende cura della gente malata, delle cose malate. Ma questo è grave, gravissimo, no? Perché badare alle cose è il nostro compito, no? Badare alle cose, badare a noi stessi. Chi altri dovrebbe farlo? Gli alberi? I fiumi? Gli animali? Quelli fanno solo ciò che sono. Ma noi siamo qui, e dobbiamo imparare in che modo starci, come fare le cose, come mandare avanti le cose nel modo giusto. Il resto del mondo sa il fatto suo. Noi sappiamo soltanto come imparare. Come studiare, come ascoltare, come parlare, come narrare. Se non raccontiamo il mondo, noi non conosciamo il mondo. Ci perdiamo nel mondo, moriamo. Ma dobbiamo raccontarlo bene, in modo veritiero. Chiaro? Dobbiamo prenderci cura di esso e raccontarlo com'è davvero. Ecco cos'è andato storto. Laggiù, laggiù nella regione di Dovza [...] Ingannare la gente per denaro! Arricchirsi con le bugie, tiranneggiare la gente! Non c'è da meravigliarsi se la polizia ha preso il potere!
Il capitalismo disturba la trasmissione delle storie. E' un modo di produzione terrorizzato dal "passatismo" e dunque ammalato di futurofobia: in nome dell'eterno presente della produzione e del consumo, pregiudica la trasmissione della cultura e della memoria ai nostri discendenti (e nel mentre ne mette in pericolo la salute e la vita stessa).
Viviamo un nuovo incendio della biblioteca di Alessandria, silenzioso e invisibile. I nastri si graffiano e smagnetizzano, le pellicole sbiadiscono, le memorie elettroniche si deteriorano, la carta si sbriciola. Tra i "testimoni" che resistono e sopravvivono, molti rimangono muti perché abbiamo perso le tecnologie utili a interrogarli.
Dal paleolitico in avanti è aumentata sempre più la fragilità e la vulnerabilità dei supporti. I disegni di Altamira e Lascaux, affidati alla nuda roccia, sono sopravvissuti per quindicimila anni, per essere rinvenuti - rispettivamente - nel 1879 e nel 1940 (e rischiare oggi, nel caso di Lascaux, di essere cancellati da un fungo portato dalle orde di turisti). Il Codice di Hammurabi, inciso su una stele di diorite circa quattromila anni fa, è stato trovato e tradotto nel 1901. La stele di Rosetta, incisa su basalto nel 196 a.C., è stata tradotta da Champollion più di duemila anni dopo. Le tavolette d'argilla incise in cuneiforme, diffuse in Mesopotamia dal III° al I° secolo a.C., sono ancora leggibili. Molti documenti scritti su papiro (fino al IV° secolo d.C.) e su pergamena sono consumati ma in genere leggibili e restaurabili (e in ogni caso ci sono). La carta utilizzata fino al 1870 circa è ingiallita ma integra.
Al contrario, la carta di cellulosa fabbricata dal tardo Ottocento fino a oggi viene consumata dagli acidi che contiene3. Si è calcolato che sia già andato distrutto il 25% dei libri post-1870 presenti nelle biblioteche di tutto il mondo. Alcuni cilindri di cera per fonografo, benché logori, sarebbero ancora ascoltabili, ma scarseggiano i fonografi. I dischi in vinile si riempiono di graffi e piccoli buchi, cominciano a "friggere" e "saltare", ascoltandoli li si uccide. I film su pellicola (acetato di cellulosa) sono fragilissimi e vanno restaurati sempre più spesso. Il suono dei nastri magnetici si fa via via più sordo e ovattato, e spesso non c'è più modo di leggerli, come accade alle vecchie cartucce Stereo 8. L'immagine dei VHS si fa sempre più sbiadita.
E il digitale?
Lo sviluppo vorticoso dell'hardware e del software si brucia tutti i ponti alle spalle. Abbiamo già perso una sterminata quantità di dati salvati (per modo di dire) su floppy da 5,25 pollici, perché abbiamo rottamato i computer che potevano leggerli. Ora tocca ai floppy da 3,5. Inoltre, sono state spinte all'estinzione numerose specie di software (chi è più in grado di leggere un testo scritto in Wordstar?).
La diffusione di software libero, dal codice-sorgente aperto, può essere una soluzione: limita l'obsolescenza pianificata dell'hardware [il suo fine è girare bene su qualunque macchina, non farti comprare un computer nuovo] e tutela la "biodiversità" [si basa sulla libera collaborazione, non c'è interesse a fare piazza pulita dei "perdenti"]. Rimane però la deperibilità dei supporti magnetici e magneto-ottici. Anche i dati immagazzinati su un cd o cd-rom non rimangono al sicuro per molto tempo: sempre più spesso i cd cominciano a "saltare" e a "incantarsi" come facevano i dischi in vinile (anche se la dinamica è diversa). E' questione di tempo prima che succeda la stessa cosa ai dvd.
Oggi si fanno esperimenti su batteri usati come "biblioteche", documenti salvati su filamenti di DNA (versione nanotecnologica dei quipos incaici). Insomma, stiamo passando al supporto più deperibile di tutti i tempi, per giunta impossibile da decifrare - e persino da riconoscere come tale - da chi non disponga della necessaria tecnologia. Una nuova frontiera dell'informazione chiusa.
Di fronte a quest'ordine di problemi, che dovremmo fare? Tornare a incidere i messaggi sulla pietra? Sul pianeta non resterebbe una sola montagna.
No, l'unica è fare come gli amanuensi d'antan: copiare, copiare, copiare. In gergo tecnico si chiama "migrazione" (nel caso di dati spostati continuamente da un computer a uno più nuovo) o "refreshing" (nel caso di dati spostati da un supporto vecchio a uno nuovo: dall'analogico al digitale etc.). A pensarci, è sempre successo: "migrazione" di un testo da un libro logoro a un libro nuovo, "refreshing" di un documento dalla scrittura umana alla stampa. Dobbiamo continuare a farlo. Ma il capitale fa di tutto per metterci i bastoni tra le ruote. Qui rientra il problema del copyright, della proprietà intellettuale, come ha spiegato Paolo Attivissimo:
L'avvento dei sistemi anticopia permette di creare supporti revocabili. Consente al discografico e al magnate di Hollywood di definire una data di scadenza, di limitare l'esecuzione a determinate persone o a determinati luoghi o apparecchi. Sono cose che già avvengono adesso, per esempio, con i dischi promozionali degli Oasis allegati ai giornali, con i codici regionali dei DVD e con i film e brani musicali scaricati dai siti legali come Movielink.com (che fra l'altro è accessibile solo dagli USA, come volevasi dimostrare).
In sostanza, la diffusione dei sistemi anticopia... cambia drammaticamente le carte in tavola. I brani digitali protetti possono essere disattivati a distanza e hanno comunque una data di scadenza intrinseca: infatti dipendono da formati proprietari, da un sistema operativo specifico e da un hardware specifico, che fra pochi anni saranno obsoleti e non più disponibili, e non possono essere trasferiti ad altro supporto (se non ricorrendo alla pirateria), perché sono cifrati. La cultura diventa revocabile.
Chissà come saranno contenti gli storici del futuro, quando non potranno studiare la musica, i film e i libri digitali del nostro secolo perché non sarà possibile sproteggerli: i supporti esisteranno ancora, e i singoli bit saranno perfettamente leggibili, ma non ci sarà modo di decodificarli, perché si saranno perse le chiavi di accesso. (Paolo Attivissimo, Pirati? No, custodi della cultura, www.apogeonline.com, 17 dicembre 2002).
Attivissimo prosegue e conclude:
...qualcuno, grazie al cielo, si sta adoperando per preservare la nostra cultura e tramandarla ai posteri nonostante i tentativi di imbrigliarla. L'ironia della situazione è che questo "qualcuno" non è un'istituzione, una biblioteca o un ente governativo: è un pirata informatico.
Infatti le copie pirata di film e DVD non contengono codici di protezione, e usano formati non proprietari per consentirne la massima diffusione. Quei formati sono indipendenti dal sistema operativo e sono pienamente documentati, per cui per le generazioni future sarà banale ricreare la tecnologia per leggerli. Lo stesso non si può dire per i formati benedetti dai grandi gruppi dell'industria del disco e del cinema, che ambiscono anche a blindare l'hardware [...]
Come gli amanuensi nel medioevo, questi mastri masterizzatori creano copie delle opere, che così non andranno perse per colpa della miopia collettiva di un'epoca. Certo non è questo lo scopo primario delle loro duplicazioni, ma è un gradevole effetto collaterale da non sottovalutare (Ibidem).
In parole ancor più povere: il copyright è nemico (e la "pirateria" è amica) del futuro, della migrazione, del refreshing.
A voler essere pignoli, Attivissimo si pone il problema di un antidoto all'obsolescenza delle tecnologie e dei formati proprietari, ma non quello della deperibilità dei supporti. Non siamo tanto sicuri che nel futuro "i supporti esisteranno ancora, e i singoli bit saranno perfettamente leggibili". Tuttavia, l'antidoto (migrazione e refreshing grazie alla "pirateria") funziona anche per quest'altro veleno. Continuando a raccontare, tutto rimane in movimento e ci si protende oltre l'eterno presente.
Chiaramente, al mondo non c'è solo il problema della testimonianza e della trasmissione della memoria: c'è anche un'intera vita da riconquistare, per noi e per le persone di cui siamo gli antenati. Per questo compito, la critica pratica alla proprietà intellettuale è condizione necessaria ma non sufficiente, perché il problema è la proprietà tout court. Siamo talmente condizionati dal No Future da non capire che la terra e la Terra non sono proprietà di nessuno, al contrario, ci sono state "concesse in usufrutto" dai posteri, dei quali tendiamo a dimenticarci. Un giorno saranno qui, e noi non ci saremo più. Dovremmo riconsegnare loro la terra in condizioni migliori di come l'abbiamo trovata, e invece potrebbero ereditarla piena zeppa di scorie, miasmi e veleni. Se proprio non riusciamo a invertire la rotta, cerchiamo almeno di lasciar loro testimonianze, così potranno studiarci, condurre ricerche sul perché eravamo così stronzi... e arrivare a qualche conclusione che a noi sfugge.

Bologna, 18 ottobre 2003

Note

1. Cfr. Wu Ming, Giap! Storie per attraversare il deserto, Einaudi, Torino 2003.
2. In italiano La salvezza di Aka, Mondadori 2002 e "Urania" n. 1471, 30/07/2003.
3. Da qui in avanti cfr. Tullio Gregory e Marcello Morelli (a cura di), L'eclisse delle memorie, Laterza, Roma-Bari, 1994, e Alexander Stille, La memoria del futuro. Come sta cambiando la nostra idea del passato, Mondadori, Milano 2003.

OMNIA SUNT COMMUNIA. Indice degli scritti di Wu Ming su copyright, proprietà intellettuale e"pirateria"

 
                             

SCARICHIAMOLI!

L'accesso pubblico al sapere e la libera fruizione delle opere dell'ingegno rappresentano un minimo comune denominatore per movimenti tra loro diversi (Open Access [1], Open Content [2], Free Software [3] / Open Source [4], Web Accessibility [5]), che si occupano di problemi diversi, ma che trovano una base condivisa nello sviluppo "aperto" della Società della Conoscenza.

In armonia con i principi promossi da questi movimenti, vorremmo che le opere dell'ingegno finanziate (a fondo perduto) con soldi pubblici e le opere di pubblico dominio [6] fossero:
bulletpubblicamente accessibili (facilmente reperibili su Internet);
bulletuniversalmente accessibili (accessibili anche per i diversamente abili);
bulletliberamente fruibili (non occorre pagare per: leggere un testo, vedere un'immagine, ascoltare una musica);
bulletlegalmente fruibili (l'utente è certo di poter scaricare un file nella piena legalità);
bulletottimamente fruibili (qualità digitale idonea a garantire una buona visualizzazione e/o un buon ascolto).
Inoltre, vorremmo che le opere dell'ingegno finanziate (a fondo perduto) con soldi pubblici fossero:
bulletpersistentemente non soggette a tutti o ad alcuni diritti di utilizzazione economica [7] (l'autore rilascia la propria opera con licenza open content persistente [8] o con licenza libera copyleft [9]: innanzitutto, ciò consente a chiunque di riprodurre l'opera e di metterla in circolazione);
bulletpersistentemente non soggette a diritti connessi [10] all'esercizio del diritto d'autore (altri diritti esclusivi che impediscono, innanzitutto, di riprodurre l'opera e di metterla in circolazione).
Alcuni esempi:
bulleti ricercatori che producono letteratura scientifica grazie a finanziamenti pubblici, anziché cedere gratuitamente i propri diritti di utilizzazione economica alle multinazionali dell'editoria (ed essere costretti a pagare gli alti prezzi delle riviste scientifiche per accedere ai risultati della propria ricerca), dovrebbero rilasciare le proprie opere con licenze open content e metterle a disposizione di tutti, in archivi aperti;
bulletle pubbliche amministrazioni, anziché spendere i soldi dei contribuenti per pagare licenze alle multinazionali del software (e royalties per eventuali modifiche al software) dovrebbero utilizzare software libero, ottenere il supporto di fornitori locali (attivando un circolo virtuoso di investimenti e valorizzazione delle risorse economiche e culturali locali), promuovere la riusabilità dei programmi e garantire che questi ultimi siano privi di elementi che consentano la trasmissione indesiderata di dati personali a terzi (tale garanzia è possibile solo per sistemi il cui codice sorgente sia liberamente accessibile da parte dello Stato e di tutti i cittadini);
bulletgli archivi fotografici dei musei finanziati con soldi pubblici (sono la stragrande maggioranza) dovrebbero essere consultabili per via telematica, e le fotografie delle opere di pubblico dominio presenti nei suddetti archivi dovrebbero essere liberamente riproducibili ed utilizzabili da tutti, senza la necessità di particolari autorizzazioni;
bulletgli audiovisivi contenuti negli archivi della RAI, prodotti grazie a finanziamenti pubblici, dovrebbero essere a disposizione di tutti gli abbonati RAI, senza la necessità di adempiere ad alcun ulteriore obbligo pecuniario;
bulletle registrazioni dei concerti di musica classica eseguiti al Quirinale (stiamo parlando di opere di pubblico dominio) dovrebbero essere archiviate e messe a disposizione di tutti i cittadini della Repubblica.
La nostra campagna sta ricevendo un grande sostegno sia da parte della società civile sia da parte del "popolo della rete": essa non si limita ad un ristretto dialogo tra "addetti ai lavori", si tratta, invece, di un esempio di democrazia partecipativa fondata su un utilizzo intelligente di Internet e sulle inesauribili energie di una rete che, consapevole delle proprie possibilità, esclama: Scarichiamoli!.


[1] Definition of Open Access Publication

[2] Learn More about Creative Commons

[3] The Free Software Definition

[4] The Open Source Definition

[5] Web Accessibility Initiative (WAI)

[6] Opere dell'ingegno su cui non sono presenti né diritti di utilizzazione economica né diritti connessi; il diritto alla paternità dell'opera e il diritto all'integrità dell'opera (diritti morali d'autore) sono, invece, diritti inalienabili, imprescrittibili e irrinunciabili: benché un'opera sia diventata di pubblico dominio (a causa dell'estinzione dei diritti di utilizzazione economica e dei diritti connessi), l'autore o i suoi eredi (nel caso in cui l'autore sia deceduto) continuano ad esercitare in modo esclusivo i due diritti morali sopraindicati.

[7] Diritto di pubblicare l'opera;
diritto di utilizzare economicamente l'opera;
diritto di riprodurre l'opera;
diritto di trascrivere l'opera;
diritto di eseguire, rappresentare o recitare in pubblico l'opera;
diritto di comunicare al pubblico l'opera;
diritto di distribuire l'opera;
diritto di tradurre l'opera;
diritto di elaborare l'opera;
diritto di pubblicare le opere in raccolta;
diritto di modificare l'opera;
diritto di noleggiare l'opera;
diritto di dare in prestito l'opera;
diritto di autorizzare il noleggio dell'opera da parte di terzi;
diritto di autorizzare il prestito dell'opera da parte di terzi.

Relativamente al software:
diritto di effettuare la riproduzione, permanente o temporanea, totale o parziale, del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo o in qualsiasi forma;
diritto di effettuare la traduzione, l'adattamento, la trasformazione e ogni altra modificazione del programma per elaboratore, nonché la riproduzione dell'opera che ne risulti;
diritto di effettuare qualsiasi forma di distribuzione al pubblico, compresa la locazione, del programma per elaboratore o di copie dello stesso.

[8] Licenze per opere dell'ingegno diverse dal software e dalla documentazione relativa al software, in base alle quali nessun diritto di utilizzazione economica è riservato, oppure uno o più diritti di utilizzazione economica sono riservati. Le opere derivate dall'opera originaria, devono rispettare gli stessi termini e le stesse condizioni della licenza avente ad oggetto l'opera originaria.

[9] Licenze per il software libero e licenze per la documentazione relativa al software libero in base alle quali nessun diritto di utilizzazione economica è riservato. I programmi per elaboratore derivati dal programma originario, devono rispettare gli stessi termini e le stesse condizioni della licenza avente ad oggetto il programma originario.

[10] Diritti del produttore di fonogrammi, diritti dei produttori di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, diritti relativi all'emissione radiofonica e televisiva, diritti degli artisti interpreti e degli artisti esecutori, diritti relativi ad opere pubblicate o comunicate al pubblico per la prima volta successivamente alla estinzione dei diritti patrimoniali d'autore, diritti relativi ad edizioni critiche e scientifiche di opere di pubblico dominio, diritti relativi a bozzetti di scene teatrali, diritti relativi alle fotografie, diritti relativi alla corrispondenza epistolare, diritti relativi al ritratto, diritti relativi ai progetti di lavori dell'ingegneria, altri diritti indicati dalla legge 22 aprile 1941, n. 633.

(dalla Home page http://www.scarichiamoli.org/main.php)

 

CHI SONO I CRIMINALI ?

DATI NIELSEN DICEMBRE 2004: CRESCONO GLI ACCESSI AD INTERNET

Più di una famiglia italiana su due ha un Personal Computer in casa, ma non tutti sono connessi a Internet.

Sono i dati sulla diffusione di Internet e dell'ICT in Italia, secondo il rapporto aggiornato al giugno 2004 dell'Osservatorio Permanente della Società dell'Informazione, realizzato dal dipartimento per l'Innovazione e le Tecnologie e Federcomin, con la collaborazione di due istituti di ricerca come IDC e Nielsen Media Research.

Secondo l'osservatorio, quasi 27 milioni di italiani (pari al 47 per cento della popolazione) hanno accesso a Internet da casa.

Il 56 per cento delle famiglie italiane dispone di un Pc domestico, in linea con gli altri Paesi dell'Europa centrale, ma abbastanza lontano dal grado di penetrazione del Pc nelle famiglie del Nord Europa (la Svezia ha una penetrazione di Personal computer nelle famiglie pari al 72 per cento).

Di tutti i Pc domestici, l'81 per cento è collegato a Internet, mentre le famiglie con accesso a Internet, sul totale delle famiglie italiane, sono pari a circa il 42 per cento, con un incremento del 10 per cento negli ultimi dodici mesi.

Di queste, il 33 per cento ha una connessione a banda larga; un dato che, per l'Osservatorio, è il secondo tasso di crescita in Europa, dopo il 13 per cento della Germania.

Sul fronte delle imprese, sono 100.000 quelle che operano nel comparto della Information and Communication Technology (ICT), mentre gli addetti occupati ammontano in Italia al 4,4 per cento dell'occupazione totale, ancora sotto la media europea

ITALIA, PRIMO PAESE PIRATA IN EUROPA (DATI GENNAIO 2005)

"In Italia oltre 4 milioni di persone scaricano da Internet film e otto milioni scaricano musica".

E' quanto ha dichiarato il capitano Gaetano CUTARELLI della Guardia di Finanza al "Simposio di Cinema", dedicato alla pirateria nel corso della manifestazione "Capri - Hollywwod", in programma fino al 2 gennaio nell'isola.

"Siamo il primo paese d'Europa ad alimentare il mercato pirata, ma ricordiamo che in nazioni come Vietnam e Bolivia esiste solo il mercato illegale.

La prevenzione è importante, basti pensare che il solo annuncio della Legge URBANI ha fatto calare del 30% la pirateria via Internet.

QUESTI DATI CONFERMANO CHE CON L'AVANZARE DI INTERNET LE LEGGI ATTUALI, A TUTELA DELLA PROPRIETA' INTELLETTUALE, DIVENGONO OBSOLETE. PRESTO AVREMO UN INTERO POPOLO ITALIANO CRIMINALE .

Comitato per la salvaguardia della Cultura Europea

pubblicato su comunicati.net

 

-----Messaggio originale-----

Da: costanzodagostino@libero.it [mailto:costanzodagostino@libero.it]

Inviato: sabato 11 febbraio 2006 18.26

A: adramelek

Oggetto: LA SIAE E' ALLA FRUTTA

 

FRANCIA: SACEM, NO AL DOWNLOAD LIBERO

La società di autori francese SACEM ha lanciato una raccolta di firme sul proprio sito (www.sacem.fr) per “difendere l’esistenza degli autori”, minacciata dalla recente approvazione, da parte dell’Assemblea nazionale, di un emendamento al progetto di legge sulla riforma del diritto d’autore.

Il provvedimento legalizza il download da Internet di file contenenti opere dell’ingegno, previo pagamento di una royalty mensile sotto forma di abbonamento.

Secondo la SACEM si tratta di una vera e propria “espropriazione” dei diritti degli autori che porrebbe il Paese al di fuori delle regole internazionali e metterebbe a rischio l’esistenza dei siti di download legale e dei produttori indipendenti.

A tal proposito, a Cannes in occasione del MIDEM, il Presidente della SIAE, Avv. Giorgio ASSUMMA, ha affermato che "la soluzione di forfetizzare i diritti degli autori rendendo libera l'utilizzazione delle loro opere viola il principio accolto dall’ordinamento giuridico italiano e da altri ordinamenti europei, secondo il quale l’autore deve poter avere un compenso ogni qual volta e in ogni forma la sua creazione viene utilizzata, perché quel compenso rappresenta il salario del suo lavoro”.

“La SIAE - ha concluso ASSUMMA - prenderà una posizione dura, univoca e decisa, affinché ogni esproprio proposto ai danni degli autori venga impedito”.

NOTA: MENTRE IL MONDO SI MUOVE SUI RITMI DELLA NORMALE EVOLUZIONE , LA SIAE SI AGGRAPPA DISPERATAMENTE ALLA SPERANZA DI VEDERE PRESERVATI I PROPRI PRIVILEGI.FORSE ANCORA NON SI RENDE CONTO DEI TRAGUARDI RAGGIUNTI DALLE NUOVE TECNOLOGIE E DALLE MODERNE FORME DI PENSIERO SOCIALE A CUI SONO ACCOMPAGNATE.

Comitato per la salvaguardia della Cultura Europea

pubblicato su indy e su comunicati

 

Francia, legale l'uso del P2P
Una sentenza francese crea un precedente inaudito in Europa: sfruttare a fini personali le piattaforme di scambio non può essere considerato un reato. Clamore su tutta la rete. L'industria: ricorreremo in appello
da punto-informatico.it del 09.02.2006

E' la Francia ancora una volta a dare grattacapi, e che grattacapi!, alle major che si battono contro gli abusi sui sistemi di file sharing. Un tribunale parigino ha infatti emesso una sentenza senza precedenti, che in buona sostanza afferma la liceità dell'uso del P2P per scaricare e condividere file protetti dal diritto d'autore a fini personali, ovvero in assenza di finalità commerciali e di lucro.

La notizia della sentenza, che sta facendo rapidamente il giro della rete, si innesca in un momento critico per l'approccio francese al P2P, laddove un numero sempre crescente di parlamentari e commentatori transalpini appare disposto a consentire l'uso personale del P2P.


Come racconta l'associazione Audionautes.net, il caso è quello di un utente accusato di aver scaricato e posto in condivisione moltissimi brani musicali, si parla di 1.200 pezzi, tutti protetti dal diritto d'autore gestito dalla Société Civile de Producteurs Phonographique.

Stando alla cronaca del procedimento, i sistemi di rilevazione dell'uso del P2P della Societé nel 2004 avevano individuato l'IP del computer di "Antoine", attivo tramite il celebre software Kazaa, all'epoca uno dei più utilizzati in senso assoluto dagli utenti del file sharing.

Il Tribunal de Grande Instance di Parigi, giudicando il caso, ha stabilito che "l'imputato faceva uso di questi file a titolo personale, e quindi un uso legale". Secondo i giudici, la normativa francese stabilisce che i cittadini "facciano un uso corretto dei materiali protetti fino a quando questo uso non è collettivo o non è a finalità di lucro".

La difesa di Antoine l'hanno condotta proprio gli esperti dell'Associazione Audionates che ora mettono a disposizione il pdf della sentenza (in francese) e sottolineano come sia la prima volta che un giudice francese assolve sia il download di brani che la loro condivisione. In passato, altri casi si erano risolti con assoluzione ma soltanto per quanto riguardava il download. Come si ricorderà, sulla questione della condivisione anche in Canada c'è un dibattito aperto: sebbene la normativa sia ancora poco chiara, il semplice scaricamento di opere protette ad uso personale non viene sanzionato.

Va detto che la Societé ha già annunciato che si appellerà contro la sentenza. Ma il presidente dell'associazione Audionates, Aziz Ridouan, si è detto fiducioso sugli esiti dell'appello in quanto la sentenza appare in linea con l'orientamento già espresso in casi precedenti.

Il tutto, naturalmente, potrebbe presto trovare una soluzione normativa, in quanto, come accennato, il Parlamento francese sta discutendo proprio in queste settimane alcune proposte che potrebbero portare ad una legalizzazione dell'uso a fini personali del peer-to-peer anche quando si tratta di scambiare materiali protetti dal diritto d'autore. 

Postato il Giovedì, 09 febbraio @ 10:12:34 CET di francio 

http://linux-club.org/modules.php?name=News&file=article&sid=756

 

 


http://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/scienza_e_tecnologia/p2p2/tedprig/tedprig.htm

Due anni anche per i downloader che non ne fanno commercio
P2p, pugno duro in Germania
fino a cinque anni di carcere

Ma la Francia corre in soccorso degli utenti e attacca Apple
Il fatturato dei file a pagamento al 6% di quello mondiale
di GAIA GIULIANI

giovani e internet 
ROMA - Vedere sul proprio schermo tv un film scaricato da internet sarà uguale a due anni di galera. Dal primo gennaio del prossimo anno. Dove? In Germania, paese che ha appena varato una tra le leggi antipirateria più dure di tutta l'Europa. Se poi il reo fosse colpevole della successiva commercializzazione dei film, o dei file audiovisivi che ha "rapinato" da internet, scatterebbero cinque anni di detenzione per un solo titolo. Perché ricorrere a sanzioni così dure? La Germania è il paese europeo che conta il più alto numero di utenti internet, tra i più competenti e attivi d'Europa: l'anno scorso hanno scaricato la bellezza di 20 milioni di film, e - conti alla mano - fatto perdere 1,7 miliardi di euro all'industria musicale tedesca copiando l'equivalente di 439 milioni di cd. 

Il buffo è che molti di questi "pirati" nella vita privata sono adolescenti, frequentano le scuole superiori e spesso riescono ad arruolare nella loro "banda" anche i genitori. Pare infatti che per molte famiglie tedesche sia diventata un'abitudine riunirsi a fine giornata lavorativa davanti alla tv, e gustare tutti insieme il film che il pargolo ha scaricato da internet. La legge entrerà in vigore il primo gennaio dell'anno prossimo, e gli utenti già tremano. Subito finita nell'occhio del ciclone Brigitte Zypries, ministro della giustizia, ha immediatamente chiarito che non farà scattare le manette ai polsi dei ragazzi. 

In molti paesi dell'Europa chi va all'arrembaggio di film e file audio online non finisce in carcere, ma rischia consistenti pene pecuniarie. Tranne che nell'isola felice della Svizzera dove vige un paradiso fiscale anche per il pirata del web che al momento non è ancora soggetto a nessun tipo di multa. In Francia le cose si muovono diversamente e la legge varata appena una settimana fa, a sentire il ministro della cultura Donnedieu de Vabres, è servita sì ad aumentare le pene pecuniarie, ma anche ad evitare il carcere. In prigione solo gli "editori" di tecnologie informatiche che permettano il download illegale. Nessuna sanzione a chi scarica per uso privato. 

La legislazione che tutela su internet i detentori del diritto d'autore è in fase di evoluzione, ma dall'altra parte della barricata, come se la passano gli utenti? L'unico paese che autorizza contemporaneamente la duplicazione, il download e il file sharing, purché non sia a fini di lucro, è il Brasile. Grazie alle licenze Creative Commons che chiedono di specificare il nome dell'autore dell'opera in questione e poco altro in più, download e scambio sono autorizzati. Chi ha avuto l'idea di questo "some rights reserved"? Gilberto Gil, celebre musicista e ministro della cultura del paese. 

In molti paesi europei tra cui il nostro sono in discussione, se non in fase di approvazione, provvedimenti legali mirati a tassare i supporti che leggono film e musica. Cosa vuol dire? Che l'utente rischia di pagare tre volte lo stesso brano musicale ovvero quando lo acquista online, quando lo ascolta e quando lo copia su cd. Una follia a cui nessuno ha ancora pensato di porre un freno. Solo la Francia ha mostrato attenzione alla salute dei surfisti del web, proteggendo i loro investimenti. Se lo store online della Apple ha registrato recentemente l'acquisto del miliardesimo brano, preoccupandosi di premiare l'utente con una ragguardevole cifra da utilizzare per comprare nuovi pezzi musicali, non ha pensato all'eventualità che i suoi utenti desiderino ascoltare gli stessi brani su supporti diversi da quello dell'i-pod o di un pc che abbia installato il programma iTunes. 

Il provvedimento preso dal legislatore francese è stato quello di obbligare le aziende detentrici di tecnologie DRM (Digital Rights Management) a renderle open source in modo che sia possibile e doveroso intervenirci per rendere gli acquisti accessibili anche su nuovi supporti. La strada quindi sembra essere a doppio senso: maggiori tutele per chi possiede il copyright, ma anche per chi compra. Che sta mostrando rispetto e interesse per la legalità: nell'ultimo anno infatti il fatturato di file a pagamento ha raggiunto il 6% di quello mondiale, a dimostrare che non tutti gli internauti sono criminali e impermeabili alla legalità, anzi. 

(27 marzo 2006)

http://www.tivutibi.com/forum/invision/index.php?s=da3e93a7f05bee4e595463951b2d0852&showtopic=18197&hl=

La propaganda dell'industria è riuscita a sostituire i termini caricati [b]“pirateria” e “furto” al più preciso “copia” – come se non ci fosse differenza tra rubare la tua bicicletta (adesso tu non hai più la bicicletta) e copiare la tua canzone (adesso tutti e due abbiamo la canzone).
Anche Gesù Cristo moltiplicava (copiava) pane e pesci, gratis, ma non per questo i panettieri e i pescivendoli gli davano del ladro...
Ricordatevi sempre: Copiare è = a Moltiplicare e non a sottrarre.

 

Sito sui numerosi plagi musicali  che richiaamano il libro "Anche Mozart copiava. Cover, somiglianze, plagi e cloni", frutto della penna di Michele Bovi, giornalista di RaiDue

 Vedi http://news2000.libero.it/editoriali/edc163.html

 

Iniziano le reazioni scomposte alle dichiarazioni di ieri di
Maroni e altri, a proposito del "furto" via P2P.

http://punto-informatico.it/pt.aspx?id=1647201&r=PI

Mi soffermo su un'intrevento sul forum, che spiega abbastanza
bene quello per cui PP dovrebbe battersi:

"
I cittadini/consumatori votano, i deputati legiferano, gli
operatori economici producono beni e servizi e ci guadagnano.

50 anni fa il sabato al mercato c'erano gli scrivani che si
mettevano col banchetto e sotto dettatura di chi non sapeva
leggere scrivevano lettere a pagamento.
Non credo che nessuno all'epoca si sia sognato di criticare
il progetto di scuola per tutti perché altrimenti gli scrivani
perdevano il posto ... hanno cambiato mestiere: PUNTO.

Se i prezzi dei taxi sono alti perché ci sono pochi tassisti
si triplicano le licenze; se i tassisti poi non guadagnano
abbastanza cambiano mestiere: PUNTO.

Oggi con internet l'autore scrive una canzone, la pubblica
su un sito internet e incassa la vendita.
Distributori/venditori/SIAE cambiano mestiere: PUNTO.
"

... e noi stiamo a discutere su come salvaguardare gli
interessi di autori e editori? Ma se li salvaguardino
loro, oppure cambino mestiere, no?

Se un autore non riceve piu' compensi per "diritto d'autore",
o e' capace di trovare un altro modo di ricevere compensi o
cambia mestiere: PUNTO. [1]

Se una major non guadagna piu' i diritti sull'album dei
Pink Floyd del 1967 e per questo rischia la bancarotta,
o e' capace di trovare un altro modo di guadagnare o
cambia mestiere: PUNTO.

[1] Perche' 50 milioni di italiani devono rinunciare ad
usufruire della cultura musicale per mantenere un
centinaio di autori? non credo che in Italia ci siano
piu' di 100 autori che vivono ESCLUSIVAMENTE CON I
proventi dei diritti di autore, e non credo che ci siano
piu' di un migliaio di autori che CONTINO OGNI FINE MESE
sui diritti d'autore ... Se invece del copyright ci
fosse ancora il mecenatismo stile '300, potrebbero tutti
campare tranquillamente di sponsorizzazioni ...

Saluti,

--
T. A.
per lavorare bisogna rubare le idee

lo diceva sempre mio padre

premetto che mio padre gode di ottima salute
e tutti bene in famiglia, grazie.

ciononostante il fatto che lo dicesse spesso fa
parte del mio ricordo e dei cipressetti miei

rubare le idee significa
farsi venire idee osservando quelle degli altri
ispirarsi, informarsi, impratichirsi

rubando quel sapere che appartiene all'esperienza

questo e', credo, e credo sia sempre stato l'atteggiamento
dei ragazzi di bottega. Leonardo era tra di essi e non fu' l'unico...

Rubare idee ha una funzione costruttiva
evolutiva

Guardate cosa e' successo col pinguino
che ha deciso di legalizzare il furto
normalizzandolo con licenze aperte.

Se Lisippo non avesse rubato idee a Prassitele
non ci sarebbe stata la classicita'.
E se Michelangiolo non avesse rubato le idee a Lisippo
non avremmo avuto il rinascimento.
E che dire di Rodin? A chi avra' rubato? Michelangiolo o Lisippo?
O a tutti e due?

La crescita costruttiva avviene tramite la condivisione delle idee

una licenza che proibisce questa condivisione
e' una licenza idiota.

Claudio Brovelli
@@@@@@@@
Il 05/12/06, Claudio Brovelli ha scritto:
  per lavorare bisogna rubare le idee

lo diceva sempre mio padre


Giusto una minuscola precisazione.
Una volta si diceva "Rubare l'arte" non le idee.
Ed era nel senso che nessuno ti insegna nulla ma le cose le devi
imparare da te osservando gli altri... in una sorta di furto del
mestiere... ma si intendeva un furto bonario non violento.
Non a caso i ragazzi a bottega (come venivano definiti gli
apprendisti) non erano pagati ma erano loro a pagare l'artigiano.
Quindi rubavano l'arte ma pagando per questo privilegio.
LordMax
Coautore di "Sì! Oscuro Signore" (c) by Zib & LordMax
www.flyingcircus.it : Siamo artisti del gioco. Siamo artisti per gioco.
"Sii attento quando parli, con le tue parole tu crei il mondo intorno
a te." (detto navajo)
 
Domenica 10 dicembre 2006 a Milano, con inizio alle ore 12, prenderà avvio una marcia da piazza S.Stefano fino a Piazza della Scala, con lo scopo di chiedere al Governo Italiano di abolire la legge Urbani, quella legge che ha reso penalmente sanzionabile lo scambio di opere protette da copyright su internet anche quando non vi è lo scopo di lucro. L'appuntamento è in piazza S. Stefano a cominciare dalle ore 10 con partenza prevista alle ore 12. Percorrendo via Larga, via Albricci, piazza Missori, via Mazzini, piazza Duomo, via S. Margherita la manifestazione si concluderà in piazza della Scala entro le ore 14.  Piazza S.Stefano è accanto all'università ed è raggiungibile con la metropolitana gialla (linea3), scendere alla fermata Missori ed uscire in Piazza Missori, di fronte vi trovate via Albricci e di seguito via Larga, in meno di 5 minuti a piedi sulla destra di via Larga trovate Piazza S.Stefano.

<<<Altre Info, Aderenti e Partecipazioni>>>

Scaricare gratis da internet non è un furto come vogliono far credere alcuni gestori del diritto d'autore, Scambio Etico si oppone a questo modo pensare ed alle leggi che hanno trasportato nel penale questo comportamento. Il pomeriggio del 10 dicembre 2006, sempre a Milano,  costituiremo una Associazione con lo scopo di legalizzare il file sharing.

Il P2P non è un crimine, è una grande risorsa culturale.

<<<Informati e partecipa alla Costituente del Movimento>>>
 

                  

http://www.scambioetico.org/

 

In piazza per il P2P: cronaca della manifestazione 

Ieri, domenica 10 dicembre 2006, si è svolta regolarmente la manifestazione milanese indetta da ScambioEtico.org per chiedere l'abolizione della legge Urbani e la legalizzazione dello scambio di File su Internet senza scopo di lucro. Il video della manifestazione
Il file sharing non è un crimine. Condividere non è rubare. Senza lucro non è pirateria. Questi gli slogan gridati dal gruppo di manifestanti, una cinquantina di persone circa, che ieri a Milano hanno percorso il tragitto da piazza Santo Stefano, nei pressi dell'Università degli Studi, fino a piazza della Scala. Qui sotto vi proponiamo un video della manifestazione, ripreso dalla nostra redazione (la musica di sottofondo, di subatomicglue, è distribuita in licenza Creative Commons).
Complice anche la splendida giornata, più che una marcia è stata una passeggiata, tranquilla e regolare. I manifestanti hanno suscitato l'interesse un po' sonnolento di quanti in quel momento, poco prima dell'ora di pranzo, si trovavano a passare dalle parti di piazza Duomo. Una passeggiata che probabilmente non ha cambiato nulla e che non cambierà nulla, ma che almeno ha dato un segnale. Per quanto sparuto il "popolo del Peer to Peer", come si sono autodefiniti i partecipanti nel volantino distribuito ai passanti, esiste ed è pronto a dimostrare di non ritenersi affatto criminale.
Diversi i gruppi che hanno aderito alla manifestazione. Dal TntVillage al Copyriot Cafè, passando anche per la Sinistra Giovanile della Lombardia. Diversi anche i progetti di normalizzazione dello scambio di files su Internet, ma tutti d'accordo sulla necessità di abrogare la legge Urbani che punisce come reato lo scambio di files su Internet protetti dal diritto d'autore senza alcuna distizione tra scopo di lucro o semplice condivisione del sapere.
Se si dovesse giudicare dal solo numero di partecipanti si dovrebbe dire che la manifestazione è stata un fallimento. In pochi hanno risposto all'appello. Ma già essere riusciti a portare in piazza una cinquantina di persone è un grande risultato. Dimostra che un nucleo di persone che prende davvero a cuore il problema esiste. Per il resto c'è tempo, e se la legge Urbani dovesse restare in vigore ancora a lungo ci saranno, crediamo, altre occasioni per vedere se il "popolo del Peer to Peer" è destinato a crescere o a restare silenzioso, senza diritti.
In questa sede ci limitiamo a notare che alcune delle regole autoimposte dal TntVillage, portale di file sharing etico autogestito dagli utenti, sono molto razionali. Su TntVillage è consentito lo scambio di tutto ciò che ha almeno 18 mesi vita, film o musica poco importa. Di tutti i giochi che costano più di 30 euro e di tutti i programmi televisivi a 48 ore dalla messa in onda. Non è consentito, invece, lo scambio di software Microsoft, materiale video o musicale con meno di 18 mesi di vita e giochi che costino meno di 30 euro. Non solo, "i titolari del diritto d'autore, o i loro rappresentanti, possono richiedere, su carta intestatam la rimozione immediata della loro opera senza ricorrere alle autorità".
Queste regole potrebbero essere un punto di partenza per superare in modo razionale la legge Urbani. Ora non resta che capire quale sia la reale volontà politica del nostro Paese. 

http://www.pcpiufacile.it/index.php?/content/view/278/2/

 

Il download non è reato!

Valentina Frediani

Ancora una sentenza in materia di diritto d’autore, software e download. Stavolta a pronunciarsi è la Terza Sezione della Corte di Cassazione, che lo scorso 9 gennaio ha emesso la sentenza n. 149. La Corte è stata chiamata a pronunciarsi a seguito di ricorso avverso sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino, sentenza  di conferma della pronuncia di colpevolezza di due studenti in ordine ai reati di cui agli artt.  171 bis e 171 ter  legge diritto d’autore (la famigerata n. 633/41). 

 

L’attuale previsione normativa

 

Anzitutto è bene ricordare  che dopo le varie e spesso ravvicinate modifiche, ad oggi le due disposizioni di legge si sono “assestate” sulle seguenti versioni: l’art. 171 bis prevede  la punibilità da sei mesi a tre anni, di chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE).

Mentre l’art. 171 ter,  punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni, chi per uso non personale ed  a fini di lucro,  abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un'opera dell'ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento; chi  abusivamente riproduce, trasmette o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere o parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico-musicali, ovvero multimediali, anche se inserite in opere collettive o composite o banche dati.

 

Per  primo grado e Corte di Appello  gli imputati erano colpevoli…

 

Orbene, i giudici dei precedenti meriti, avevano stabilito ravvisabile entrambi i reati nei confronti di due soggetti che avevano creato, gestito e curato la manutenzione di un sito ftp mediante un pc esistente presso l’associazione studentesca del Politecnico di Torino, sul quale venivano sostanzialmente effettuati download di programmi ed opere cinematografiche tutelate dalla legge sul diritto d’autore. Tali programmi una volta scaricati potevano essere prelevati da determinati utenti che avevano un accesso al server, conferendo a loro volta altro materiale informatico sul server stesso.

La punibilità degli imputati era basata sull’osservazione che l’attività da loro posta in essere implicava come passaggio obbligatorio, la duplicazione dei programmi relativi alle opere protette – violazione del diritto d’autore per trarne profitto -  ed il successivo   download, violativo del diritto d’autore in quanto fatto commesso per uso non personale (disponibilità a favore dei terzi) con fini di lucro.

 

… secondo la Cassazione invece…

La Corte di Cassazione ha anzitutto escluso la configurabilità del reato di duplicazione abusiva – e quindi il reato di cui all’art. 171 bis – in quanto la duplicazione non è operazione propedeutica al download, ma concetto ben diverso. Difatti la duplicazione non era attribuibile a chi originariamente aveva effettuato il download, ma a chi si era salvato il programma prelevando i files necessari dal server su cui erano disponibili.

Per quanto concerne invece il reato di cui all’art. 171 ter, essendo che nello stesso è previsto quale elemento costitutivo del reato il fine di lucro, secondo la Corte di Cassazione è possibile escludere tale fine nel caso di specie.

Difatti, il legislatore che più volte è intervenuto nella legge a tutela del diritto d’autore alternando nei vari reati i fini di lucro a quelli di profitto,  ha permesso in risalto la  netta distinzione tra i due concessi.

Lo scopo di lucro è rintracciabile laddove vi sia il perseguimento di un vantaggio economicamente apprezzabile; lo scopo di profitto include ogni mero vantaggio morale.

Ebbene, nel caso di specie la messa a disposizione dei programmi mediante attività di download non configura alcun lucro (elemento richiesto dal 171 ter) essendo che le attività sono state effettuate gratuitamente.

Decisione finale: la Corte di Cassazione ha annullato le precedenti sentenze di condanna degli imputati, ritenendo che la fattispecie oggetto del processo non costituisca fatto previsto dalla legge.

Interessante conclusione anche alla luce della continua incertezza vigente nella materia.

 

http://www.consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=142

 

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_cronache_NOTIZIA_01.asp?IDNotizia=172002&IDCategoria=10
Sentenza storica: non è reato scaricare musica dal web
A patto che non ci sia “finalità di lucro”, non scatta la condanna penale nemmeno se l’opera scaricata dal web è coperta da copyright. Lo ha stabilito la Terza sezione penale della Cassazione
ROMA - Scaricare film da internet non è reato a patto che non ci sia “finalità di lucro”. Non scatta la condanna penale nemmeno se l’opera scaricata dal web è coperta da copyright. Lo ha stabilito la Terza sezione penale della Cassazione che ha accolto il ricorso di Eugenio R. e di Claudio F., due studenti torinesi che erano stati condannati per aver “duplicato abusivamente opere cinematografiche”, giochi per psx, video cd e film, “immagazzinandoli” su un server del tipo File transfer protocol “dal quale potevano essere scaricati da utenti abilitati all’accesso tramite un codice identificativo e relativa password". Secondo la Suprema Corte, che ha annullato la sentenza impugnata “perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato”, deve essere “escluso che la condotta degli autori della violazione sia stata determinata da fini di lucro, emergendo dall’accertamento di merito che gli imputati non avevano tratto alcun profitto economico dalla predisposione del server FTP, mentre dalla utilizzazione dello stesso traevano sostanzialmenhte profitto i soli utenti del server medesimo”. Il principio è fissato nella sentenza 149 redatta dal consigliere Alfredo Maria Lombardi.
La Corte d’appello di Torino, marzo 2005, aveva condanato rispettivamente Eugenio R. a tre mesi e dieci giorni di reclusione oltre a 320 euro di multa e Claudio F. a venti giorni e 300 euro di multa per “aver creato, gestito e curato la manutenzione di un sito Ftp mediante un computer dell’associazione studentesca del Politecnico di Torino sul quale venivano scarcati programmi tutelati dalle norme sul diritto d’autore”. Successivamente, si legge nella sentenza, “tali programmi potevano essere prelevati da determinati utenti che avevano accesso al server in cambio del conferimento a loro volta di materiale informatico”. Inoltre lo studente con la condanna più alta era accusato di “aver detenuto presso la sua abitazione programmi destinati a consentire o facilitare la rimozione di dispositivi di protezione applicati ai programmi per elaboratore”. La Cassazione, ha dunque giudicato “fondata” la protesta del primo studente che lamentava che “i giudici di merito hanno erroneamente attribuito all’imputato una attività di duplicazione dei programmi e di opere dell’ingegno protette dalla legge sul diritto d’autore, poichè la duplicazione avveniva ad opera dei soggetti che si collegavano con il sito FTP e da esso in piena autonomia e nello stesso ne scaricavano altri”.
In ogni caso, ha rilevato ancora con successo la difesa, “doveva essere esclusa l’esistenza di un fine di lcro da parte di Eugenio R., non potendosene ravvisare gli estremi nella mera attività di scambio dei files posta in essere”. E quindi “la condotta dell’imputato, quanto meno con riferimento alle opere musicali e cinematografiche potrebbe ritenersi solo attualmente sanzionata dalla legge 128 del 2004”.
Relativamente poi al programma che lo studente teneva a casa sua, “doveva escludersi la detenzione a fini commerciali e lucrativi dello stesso, scopo in ordine al quale, peraltro, nulla è stato affermato dai giudici di merito”. Accolto anche il ricorso del secondo studente, la difesa del quale ha rilevato che il fine di lucro “deve concretizzarsi nel perseguimento di un vantaggio economicamente apprezzabile”. Cosa da “escludersi visto che è stato accertato che lo scambio di software avveniva esclusivamente a titolo gratuito, nè era connesso a forme di pubblicità o ad altra utilità economica che ne potessero trarre i creatori del sito FTP”.
Il nocciolo della questione, spiegano gli "ermellini" sta nella interpretazione del termine "scopo di lucro", “adoperato nel testo delle norme vigenti all’epoca dei fatti”, rispetto all’espressione "scopo di profitto", “introdotto dalla legge di riforma”. Ebbene, secondo piazza Cavour, quando si parla di "fini
di lucro" “deve intendersi un fine di guadagno economicamente
apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore del
fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio di altro
genere; nè l’incremento patrimoniale - scrivono ancora - può
identificarsi con il mero risparmio di spesa derivante dall’uso di
copie non autorizzate di programmi o altre opere dell’ingegno, al di
fuori dello svolgimento di un’attività economica da parte dell’autore del fatto, anche se di diversa natura, che connoti l’abuso”.
L'interpretazione offerta dalla Cassazione, rilevano gli stessi
"ermellini", “trova riscontro nella stessa legge sul diritto d’autore che non attribuisce rilevanza penale alla duplicazione, acquisto o
noleggio di supporti non conformi alle prescrizioni della medesima
legge a fini meramente èpersonali, allorchè lla riproduzione o
l’acquisto non concorrano con i reati previsti dall’art. 171 e seg. e
non sia destinato all’immissione in commercio di detto materiale”.
Nel caso in questione, “viene escluso dall’ambito della fattispecie
criminosa il comportamento dettato dalla mera finalità di un
risparmio di spesa, che indubbiamente deriva dall’acquisto di 

supporti duplicati o riprodotti abusivamente”.
In definitiva, la Cassazione esclude che l’attività compiuta dai due studenti 

sia stata svolta per perseguire fini di lucro, “emergendo dall’accertamento 

di merito che gli imputati non avevano tratto alcun vantaggio economico 

dalla predisposizione del server FTP, mentre dalla utilizzazione 

dello stesso traevano sostanzialmente profitto i soli utenti del server medesimo”. 

Inoltre, “anche con riferimento alla detenzione da parte di Eugenio R. di 

un programma destinato a consentire la rimozione o l’elusione di 

dispositivi di protezione di programmi non emerge dall’accertamento di 

merito la finalità lucrativa cui sarebbe stata destinata la detenzione, 

e tanto meno un eventuale fine di commercio della stessa”. I due studenti, 

quindi, sono stati “prosciolti perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato”. 

Da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.


20/1/2007

 

LIBERI DI SCARICARE? IL CAOS DOPO LA CASSAZIONE
Clicca per ingrandire 20/01/2007 - 22:22 - Sulla liceita' di scaricare via Internet 

contenuti protetti dalla legge sul diritto d'autore. 
clicca per ingrandire
FOGGIA. La miccia della bomba appena esplosa e' stata accesa a tanti anni fa. 

Prima ancora della novella del 2000 (l. 248/00), che ha innovato la normativa 

sul diritto d'autore. Dopo anni di riforme, gogne e continue violazioni in Rete, e' giunta una nuova decisione della Cassazione.

La terza Sezione della Suprema Corte ha stabilito (con sentenza del 9 gennaio 2007, n. 149) che non e' reato scaricare film da Internet a patto che non ci sia 'finalita' di lucro'. Annullata, pertanto, la condanna a tre mesi e dieci giorni di reclusione inflitta dalla Corte d'Appello di Torino a due giovani, che avevano allestito un server Ftp da cui si potevano scaricare contenuti protetti dalla legge sul diritto d'autore.
La Corte conclude che il fatto non e' previsto dalla legge come reato a seguito di un'attenta disamina di quanto realizzato dai due e di quale fosse il dettato delle norme. Secondo i giudici del Palazzaccio, se i due ragazzi non hanno avuto intenzioni lucrose nell'attivita' posta in essere, non ha alcun sostegno il capo di imputazione costruito su di loro.

Anche se in punto di diritto la sentenza e' chiara, si corre ai ripari contro una prevedibile depenalizzazione sociale dell'attivita' di download dalla Rete. A tal proposito, Enzo Mazza, Presidente della Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana), nota come 'la sentenza della III Sezione della Cassazione che e' stata ripresa dagli organi di stampa con il titolo 'Scaricare non e' reato' si riferisce in realta' a un caso antecedente l'attuale normativa, in vigore dal 2004, che invece stabilisce la punibilita' penale per lo scambio di file illegali e che punisce con una sanzione amministrativa di 154 Euro chi invece si limita a scaricare una canzone abusivamente. Non si tratta, pertanto, di una decisione che modifica l'attuale legislazione in vigore'. [G.A.Cavaliere]

  http://www.ordineavvocatifoggia.it/it/default.asp?opt=celentano&id=23615

 


ADN Kronos - Ven 26 Gen

(Pubblicità)

Roma, 26 gen . (Adnkronos) - Vietato scaricare e condividere file senza corrispondere il diritto d'autore. A prendere posizione e' la procura di Torino, intervenuta a chiarire la sentenza della Corte di Cassazione secondo la quale, invece, lo scaricamento, se fatto senza scopi di lucro, era possibile. "La procura ha ribadito che scaricare e condividere file con opere tutelate senza corrispondere i diritti d'autore e' e rimane reato - ha dichiarato Giorgio Assumma, presidente della Siae, Societa' italiana autori ed editori - In conclusione, il 'peer to peer' non e' permesso".

Insomma, chi scarica a fini di lucro incorre in pesanti sanzioni penali (da uno a quattro anni di reclusione e multe fino a 15.000 euro); chi condivide senza specifica autorizzazione opere protette da diritto d'autore per uso personale senza scopo di lucro, commette pur sempre reato, ma e' punito con sanzioni penali piu' lievi (multe fino a oltre 2.000 euro); chi si limita a scaricare illegalmente ad uso personale non commette reato, ma incorre in sanzioni amministrative.
http://it.news.yahoo.com/26012007/201/internet-siae-plaude-procura-torino-reato-scaricare-file-corrispondere-diritti.html

 

 

Re: Sfigati e pirati

Liberiamo la musica! Se gli artisti si lamentano che non fanno soldi facciano copie autografate o confezioni speciali da vendere a più soldi(come nella pittura o nella fotografia, se voglio l'originale pago di più, le stampe fatte dall'artista un po' meno e le copie me le scarico da internet aggratis!!!)e tutti son contenti.

Sfigati e pirati censurati.it

http://www.censurati.it/index.php?q=node/204

 

 

28-07-2004 alle ore 16:14, oxygen :
La prima legge sul diritto d'autore in Italia è del 1941. Sono più di sessant'anni quindi che si discute sulla proprietà intellettuale, il copyright e via dicendo. Con l'avanzamento tecnologico e l'invenzione di internet la questione si è complicata ulteriormente e il dibattito è andato avanti fino al decreto Urbani del 18 maggio scorso sul "peer-to-peer" che ha scatenato proteste in rete, scioperi delle connessioni e azioni di pirateria informatica ai danni dei siti di Camera, Senato, Siae e varie altre istituzioni. 
Il 13 luglio, una sessantina di artisti italiani tra i quali Luciano Ligabue, Piero Pelù, Antonello Venditti, Enzo Jannacci, Lucio Dalla, Eros Ramazzotti e tanti altri, hanno firmato una petizione promossa dalla Fimi (Federazione dell'Industria Musicale Italiana), per la tutela "della creatività nell'era digitale" nella quale si dicono d'accordo con "lo sviluppo e la promozione di servizi legali per la distribuzione di musica online", si augurano che tramite le tecnologie, il loro pubblico possa avere un più ampio accesso alle opere ma ritengono che sia logico remunerare coloro che creano e producono i contenuti come è normale pagare la connessione ad internet. In sostanza dicono sì alla musica "legale" in rete e no alla musica gratis. 

Negli Stati Uniti invece, dopo la vicenda della rock band dei Metallica che denunciò 30.000 utenti che avevano scaricato i loro brani attraverso Napster (sito sul quale era possibile accedere gratuitamente ad una quantità enorme di materiale musicale e che fu chiuso dalle autorità nel 2000), un gruppo di musicisti tra i quali David Bowie, Ani Di Franco, Ice T, Michael Franti, Pearl Jam, Sonic Youth, hanno firmato invece un documento nel quale dichiarano di non aver ricevuto alcun danno economico dal download libero, che anzi in alcuni casi ha facilitato il passaggio della loro musica in radio e la vendita dei cd e che non sono assolutamente interessati a denunciare i loro fans (www. eff. org/share). 

Le scuole di pensiero sul copyright quindi sono molteplici ma c'è anche chi pensa che i veri problemi rispetto alla situazione a dir poco catastrofica del mercato discografico italiano stiano da un'altra parte e che se non si risolvono quelli, ben poco potrà cambiare. «I veri pirati sono le multinazionali discografiche, la Siae e l'Enpals - dice Marino Severini, voce dei Gang - Il diritto d'autore dovrebbe essere regolato da leggi che si basino sui bisogni di chi crea i brani e di chi ne usufruisce e non da potentati come appunto la Siae che si spartiscono i guadagni tra loro invece di reinvestirli in strutture pubbliche. Il mercato del lavoro nell'ambito dello spettacolo è assolutamente deregolamentato, non esiste un sindacato né per i musicisti, né per i tecnici audio e luci o per i montatori di palco o per i fonici e non esistono forme di tutela per le etichette indipendenti. Tutta la questione del mercato illegale dei cd taroccati è solo retorica, la musica è un bene di prima necessità e dovrebbe essere accessibile a tutti tramite prezzi imposti per i concerti e per i dischi». 

Dello stesso avviso è Ezio della Gridalo Forte Records, etichetta indipendente nata nei primi anni ‘90 che produce gruppi tra i quali Tribù Acustica, Fermin Muguruza e Banda Bassotti, che aggiunge: «Invece di firmare petizioni, questi artisti potrebbero regalare due o tre brani per ogni cd tramite la rete in modo che il loro pubblico si possa fare un'idea di ciò che sta andando a comprare. Noi sul nostro sito con alcuni gruppi lo stiamo facendo. Ma i problemi sono a monte. Non avendo alle spalle sicurezze finanziarie di nessun tipo, per noi è molto difficile resistere alle regole del mercato tanto più che non è mai esistita una redistribuzione equa degli introiti di Empals e Siae. Anzi, se vuoi organizzare un concerto gratuito sei costretto comunque a pagare una percentuale forfettaria alla Siae basata sulla capienza dello spazio che occupi, non importa se non lo riempi e se l'entrata è libera». 

Sembra proprio che, per quanto riguarda lo spettacolo, la legge sia sempre dalla parte del più forte. Ogni tanto capita però che qualcuno la utilizzi per tutelare i più deboli. E' il caso di Gennaro Francione, scrittore, commediografo ma anche giudice e inventore del "Tribunale degli artisti" che nel suo sito (www. antiarte. it) scrive: «Gli artisti sono deboli perché oggi è il denaro a fare l'arte. C'è un sistema piramidale che non potrà mai portare alla giustizia. Il processo di produzione e di distribuzione interferisce con il lavoro dell'artista e gli impone scelte e strategie. L'arte non è una merce, l'arte è di tutti. Anche il diritto d'autore va ripensato in maniera diversa. Come giudice del tribunale penale ho assolto venditori di cd masterizzati giustificandoli con lo stato di necessità. Non si può pagare un disco o un libro a prezzi così elevati». 

Il dibattito, quindi, non solo è aperto ma è ancora agli inizi e la richiesta legittima è che se bisogna legiferare, lo si faccia ascoltando le proposte di chi lavora e non quelle di chi specula sul lavoro altrui. Intanto speriamo che i venditori di cd masterizzati che hanno avuto la sfortuna di essere portati in tribunale, almeno siano giudicati dal magistrato Francione.

scusate il malloppone, ma che tristezza! :-o <br>

http://www.rockon.it/modules.php?mop=modload&name=Splatt_Forums&file=reply&topic=1191&forum=2&post=18300&quote=1&mod=

 

http://www.petitiononline.com/libcult/petition.html

 
Promozione della Cultura Libera

 

View Current Signatures   -   Sign the Petition

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To:  Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Le Istituzioni italiane, nelle loro campagne di informazione contro la pirateria multimediale, non ti hanno ancora spiegato che:

- l'atto in sé del masterizzare un cd musicale non significa commettere un reato;
- l'atto in sé del fotocopiare un libro non significa commettere un reato;
- l'atto in sé dello scaricare opere dell'ingegno da Internet non significa commettere un reato.

Occorre vedere
COSA masterizzi,
COSA fotocopi,
COSA scarichi.

Perché

in quel cd, in quel libro, o in quel file potrebbe esserci un'opera dell'ingegno LIBERA:

- un'opera dell'ingegno è LIBERA se è nel pubblico dominio;

- un'opera dell'ingegno è LIBERA se l'autore, con una licenza, ha rinunciato all'esercizio esclusivo di tutti od alcuni diritti di utilizzazione economica.


Se ciò che masterizzi, fotocopi o scarichi è LIBERO,
allora tu non stai commettendo alcun illecito, né civile, né penale.

La libera circolazione della cultura cresce nella condivisione.


RICORDALO A TE STESSO e RICORDALO AI NOSTRI AMMINISTRATORI.

Firma la petizione perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali finalmente diffondano una campagna pubblicitaria per la promozione della cultura libera.

Sincerely,

 

 

 

 

Il produttore tv Valsecchi: "Scaricate dal web"

13:15 gio 04 settembre 2008

"Scaricate sempre, scaricate tutto dal web". A dirlo è un insospettabile, il produttore cinematografico e televisivo Pietro Valsecchi. Si infiamma così il dibattito sulla pirateria e sul suo presunto vantaggio come traino alle tv.

Valsecchi, l'uomo che con la sua casa TaoDue Film produce numerose fiction di successo (tra cui Distretto di Polizia, I Liceali e Ris) accende la miccia da Venezia, ospite di una trasmissione di RaiSat Extra.

L'esempio portato dal produttore lo coinvolge in prima persona: "La fiction 'I liceali', da noi prodotta, è stata trasmessa prima da Mediaset Premium, vista, scaricata, trasmessa poi dalla tv generalista e nonostante tutto ciò, una volta fatti i dvd, ne abbiamo venduti tantissimi. La pirateria è un problema molto marginale, ben vengano i ragazzi che scaricano. La cultura va divulgata, è un bene che vi si possa accedere facilmente".

http://web20.excite.it/news/11810/Il-produttore-tv-Valsecchi-Scaricate-dal-web

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I Grateful Dead, 40 anni orsono, lasciavano che i fan riproducessero in musicassetta i loro concerti, convinti che, girando gratuitamente, la loro musica avrebbe aumentato il numero degli estimatori, anche paganti.

 

ScambioEtico: condividere non è rubare

PI - Lettere

mercoledì 17 settembre 2008

Roma - Nei giorni scorsi ScambioEtico, una delle prime associazioni italiane a puntare sulla cultura della condivisone come mattone della diffusione della conoscenza nella società dell'informazione, ha scritto al ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, prendendo spunto dall'incontro di Venezia di major e istituzioni, peraltro stigmatizzato da più parti. Ecco di seguito il testo della missiva:

"Egregio Sig. Ministro Sandro Bondi,
prendiamo atto che il Convegno svoltosi al Palazzo del Casino' di Venezia il 28 Agosto scorso, organizzato dal Direttore Generale del Ministero da Lei presieduto, Gaetano Blandini, avente come tema la lotta alla pirateria e la tutela dell'industria culturale italiana, si è concluso con l'intesa di aprire in autunno, presso la Presidenza del Consiglio, un tavolo di lavoro dal quale dovrebbero emergere le strategie per combattere il fenomeno che tanto preoccupa i detentori del diritto d'autore e la filiera che su ciò ha investito soldi creando le proprie attività commerciali.

Ci sembra che la cosa sia del tutto ragionevole, non fosse che, per quanto ha dato a conoscere, a questo tavolo saranno invitati a partecipare solo i rappresentanti di alcune categorie, sicuramente quelle degli autori e dei fornitori di connettività internet, ma ci risulta che non sia prevista alcuna rappresentanza di tutta quell'ampia fascia di utenti del Web che - teniamo a precisare - senza scopo di lucro si scambiano le opere tutelate dalla legge sul diritto d'autore, persone che anche durante questo Convegno sono state "bollate" da alcuni oratori come ladri, per qualcuno addirittura da rieducare attraverso lavori sociali, in base a questa equazione: opera scaricata = mancato acquisto, mancato acquisto = furto.

 

Bisognerebbe, intanto, cercare di evitare di fare certe semplificazioni criminalizzanti nei confronti di milioni di fruitori di una tecnologia che può venire utilizzata per attività totalmente estranee alla violazione del copyright, una tecnologia il cui uso non deve essere vietato solo per impedire che possa "eventualmente" essere utilizzata a scopi illeciti. Ci permetta, Signor Ministro, di portare, a questo proposito, l'esempio di un marito deluso che si evira per fare un dispetto alla moglie... cercare di ridurre le immense potenzialità di Internet ad un mero supermercato virtuale significa sminuirne il suo valore e trascinare inevitabilmente il Paese verso l'Oscurantismo, piuttosto che nella direzione di un nuovo Illuminismo che - concorderà con noi in questa visione - meglio si addice ad una Nazione orientata verso la globalizzazione e l'apertura delle frontiere.

Tante persone si sono ormai rese conto di come le normative sul diritto d'autore, nella odierna società, siano diventate obsolete ed andrebbero riviste anche a livello di convenzioni internazionali; il diritto d'autore dovrebbe essere tutelato al massimo per un periodo uguale a quello dei brevetti ed invece ci sono pressioni, addirittura, per aumentarlo. Ci chiediamo come sia possibile cadere così facilmente in discutibili generalizzazioni, apostrofando come ladri le moltissime persone che scaricano, per portare solo un esempio, la discografia dei Beatles, magari pensando che se non avessero potuto scaricarla, l'avrebbero comprata, soprattutto in considerazione del difficile momento economico nel quale, purtroppo, versa la nostra Nazione... Come è possibile affermare che scaricare film prodotti diversi anni fa possa realmente danneggiare qualcuno, a causa dei mancati introiti? Insomma, Signor Ministro, non fa bene a nessuno sostenere che la condivisione senza scopo di lucro sia un furto (arrivando al paradosso di accusare persino il Ministro dell'Interno Maroni, se consideriamo che lui stesso un paio di anni fa ha confessato di scaricare musica da internet e ha sostenuto che questa pratica dovrebbe essere legalizzata), è sbagliato culturalmente, è altamente offensivo e non pone le basi per un auspicabile dialogo di confronto.

Ma poiché noi ci riteniamo, prima di tutto, persone capaci di obiettività, siamo - in parte - in grado di comprendere e giustificare la levata di scudi nei confronti della messa in condivisione di opere d'ingegno che ancora devono essere pubblicate o, comunque, quasi in contemporanea alla loro commercializzazione, anche se su quanto appena affermato ci sarebbe da porre l'attenzione sulla considerazione che la scarsa qualità con cui esse vengono condivise, spesso è incentivo all'acquisto degli originali o, comunque, rappresenta uno stimolo ad orientarsi verso opere che "meritano" a discapito, eventualmente, di prodotti di scarsa qualità, evitandoci, in questo modo, un fastidioso quanto dannoso spreco di danaro, sempre tenendo in debita considerazione la difficile situazione economica nella quale, ahinoi, versiamo da un po' di anni a questa parte.

Ci sono molte persone che usano il file sharing per recuperare opere cinematografiche molto datate e difficilmente reperibili attraverso altri canali, anche solo per ritrovare le immagini e i sapori di un passato che, pur essendo abbastanza recente, rende l'idea della estrema metamorfosi ambientale e culturale prodottasi; ci sono persone che vanno alla ricerca di musica che hanno apprezzato in gioventù, probabilmente a suo tempo ne avevano pure acquistato gli originali (pagando regolarmente il copyright) che poi si sono deteriorati e che - in ogni caso - non si possono più utilizzare sui nuovi strumenti di riproduzione e, purtroppo, spesso anche questa musica è di difficile reperibilità.

Insomma, esiste un tipo di file sharing che non produce sicuramente quel danno che i titolari del diritto d'autore e l'industria dell'intrattenimento paventano, trincerandosi dietro discutibilissime indagini di mercato che, però, essendo esclusivamente "di parte", non dovrebbero essere prese neppure in considerazione. Siamo sicuri Lei comprenda che chi scarica certe opere, difficilmente sarebbe andato ad acquistarle se non avesse avuto la possibilità si reperirle in rete, pensando comunque di contribuire ad arricchire la lunga filiera ad essi legata, se non altro sobbarcandosi gli alti costi nazionali della connettività internet.

Nel convegno di Venezia, oltre a coloro che hanno invocato il pugno di ferro, ci sono stati - con nostro sollievo - anche quelli che hanno pacatamente ammesso che la criminalizzazione tout court non ha affatto prodotto gli effetti sperati (ci preme sottolineare, a questo proposito, che proprio grazie al file sharing, le statistiche danno in forte diminuzione la tradizionale pirateria da strada per scopo di lucro) e che, invece di fare questa dispendiosa lotta a coloro che sono comunque potenziali consumatori di un mercato che offre pressochè infinite potenzialità, sarebbe più ragionevole individuare nuovi modelli di business che inducano gli internauti a pagare un prezzo ragionevole per poter accedere alle opere culturali ed artistiche.
Questo modello è già stato individuato dalla Electronic Frontier Foundation; si tratta, in sostanza, delle cosiddette "licenze collettive".

Alla Camera dei Deputati, il gruppo dei Radicali Italiani ha presentato la proposta di legge N. 187, primo firmatario Marco Beltrandi, che raccoglie la felice intuizione di Electronic Frontier Foundation e che, per non abusare della sua disponibilità nell'averci seguito fino ad ora, La invitiamo caldamente a leggere in un immediato futuro. Ci permettiamo di segnalarLe che la summenzionata proposta di legge è stata assegnata lo scorso 5 agosto alla Commissione Parlamentare del Dicastero da Lei presieduto.

Vorremmo sottoporre alla Sua attenzione i benefici da noi individuati nell'applicazione di questa iniziativa:
1) porterebbe nelle casse degli aventi diritto elevatissimi introiti, anzichè costringerli a spendere soldi per dare la caccia agli illeciti;
2) garantirebbe ai fornitori di connettività nuove richieste di contratti, invece di far loro correre il rischio di inevitabili disdette;
3) favorirebbe lo sdoganamento di molte opere che giacciono ad ammuffire nei sottoscala delle major, anzichè contribuire a produrre conoscenza, sviluppando senso critico e cultura;
4) consentirebbe ai consumatori di avere, a prezzi estremamente contenuti, la possibilità di accedere a tutte le opere che l'ingegno umano ha prodotto nel corso della sua meravigliosa evoluzione.

Signor Ministro, facciamo appello al Suo sensibile animo artistico, La esortiamo a farsi promotore di questa iniziativa e a legare il Suo nome alla più grande Rivoluzione Liberale della cultura che sia da esempio e traino a livello mondiale di un nuovo modello di business permesso e favorito dall'attuale tecnologia, eviti di ricorrere in generici sistemi di criminalizzazione, di invasione della privacy o, ancor più drasticamente, di espulsione dalla rete telematica che, nell'odierna società, ci sembra essere la forma più avanzata di emarginazione e violazione dei diritti civili.

Vogliamo confidare nella Sua lungimiranza ed apertura mentale, che fino ad ora ha sempre dimostrato, affinché Lei prenda in seria considerazione questa lettera aperta, auspicando che Lei voglia invitare al "tavolo di lavoro" anche una rappresentanza dell'Associazione Scambio Etico e di Frontiere Digitali. Essendo Scambio etico una Associazione senza scopo di lucro - registrata all'Agenzia delle Entrate di Bra nel 2006 - che ha come finalità statutaria quella della legalizzazione del file sharing di opere tutelate dal diritto d'autore, la co-partecipazione all'incontro in programma ci darebbe la possibilità di esprimere in modo più articolato le ragioni che, in antitesi a quanto finora riportato in maniera unilaterale da tutti i mezzi di informazione mediatica nonché dalle Major che hanno fortissimi interessi economici da anteporre a qualsiasi ragionamento, ci spingono a sostenere una serie di suggerimenti i quali, se applicati, potrebbero garantire la totale legalità della condivisione in rete di opere protette, traendone tutti un rapporto costi/benefici a tutto vantaggio di questi ultimi.

Nel ringraziarLa per la disponibilità dimostrata nell'averci voluto leggere fin qui, auspichiamo per l'immediato futuro un incontro di tutte le parti chiamate in causa in questa vicenda, nella quale ci sentiamo a tutti gli effetti compresi, volto a garantire un'alleanza di intenti per la realizzazione di obiettivi comuni, in luogo di una spiacevole guerra repressiva che, la Storia ci insegna da sempre, non ha mai portato a nulla di positivo.

Cordialmente,
Luigi Di Liberto
Presidente Associazione Scambio Etico"

 

http://punto-informatico.it/2406490/PI/Lettere/scambioetico-condividere-non-rubare.aspx

 

 

 

 
Argomento presente: « COPIAINCOLLISTI TORRESI BIRICHINI »
ID: 9798 Discussione: COPIAINCOLLISTI TORRESI BIRICHINI

Autore: Langella Aniello - Email: aniello@langella.net - Scritto o aggiornato: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 12.33


CLICCA SUL MIO TESTO DOG QUI SOPRA PER RUBARLO E TI MORDO

Attenzione, questo messaggio contiene polemiche!!
Le persone più sensibili sono pregate di non leggerlo.
"Scusi, ma lei, ci può dire il suo mestiere, qual è la sua occupazione?"
"Si, certamente glielo dico"
Replicò il signore dai tratti del volto un po' asiatici, con una folta chioma riccioluta e dallo sguardo pseudo intellettualoide.

"Si faccio il COPIAINCOLLISTA".
Con la rete, via via nel tempo e sempre di più si è sviluppato il mestiere del "copiaincollista", una attività fortemente in crescita che prevede tempi minimi di impegno e grande visibilità. E così con questo che è diventato un vero mestiere, i politici si plagiano, nascono idee "nuove" dallo spolvero dei vecchi testi e anche la musica, mutuando melodie del passato si rigenera, per così dire, creando canzoni e motivi che di nuovo e originale non hanno nulla. Anche i pittori, gli scultori fanno i copianincollisti. Ma come in tutti i campi ci sono i "copianincollisti" seri e quelli da marciapiedi, quelli attenti a cambiare le virgole e quelli invece che non hanno nemmeno il pudore di farlo, quelli dell'ultima ora e quelli storici. Il copiaincollista nasce con una propensione, con un innato spirito di fare questo mestiere. Secondo me geneticamente predisposto in quanto è, di base, un mariunciello.Io scrivo della storia di Torre del Greco da molti anni e le mie sono ricerche, sono studi originali che non hanno nulla a che vedere con questo mestiere che sempre più occupa sfaccendati avventurieri della comunicazione.
Ieri nel sito ho pubblicato questo studio sul 1631.
Come poi leggerai questo lavoro è frutto di ricerca e serio approfondimento. Te lo mando affinché qualcuno non pensi che io avevo esaurito il materiale da pubblicare in rete ed in cartaceo…a buon intenditor,…
Pezzi così, perdona l'immodestia (ma quando ci vuole ci vuole) a Torre non si vedevano da un po'. E grazie per aver ascoltato il mio sfogo.
Stammi bene, soprattutto in salute



Aniello Langella
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ID: 9883  Intervento da: salvatore argenziano  - Email: salvatore.argenziano@fastwebnet.it  - Data: martedì 9 dicembre 2008 Ore: 17.10

Caro Gennaro,
anche per me internet è un mezzo a dir poco da favola. Metto in rete tutto ciò che scrivo ed ho la possibilità di cambiareo e correggere, man mano che raccolgo altri dati.
Raccogliere ma da chi? Non certo dai mie vicini di casa ma da tutto lo scibile oggi riversato in rete (attenti pero alle bufale!).

Dissi al professore Francesco D’Ascoli che mi servivo del suo Vocabolario Napoletano per la compilazione del dizionario torrese e lui mi rispose: “Cosa crede che abbia fatto io e quelli che mi hanno preceduto. Abbiamo sempre fatto tesoro, possibilmente arricchendo e modificando (e qui sta il nostro impegno) di quanto hanno scritto i nostri predecessori”.

Ci sono, però, dei limiti da rispettare. Se riporto l’etimologia di una parola come “ricchione”, non faccio che riprendere quanto detto e ridetto da tanti compilatori di dizionari etimologici. Spesso non saprei neppure chi citare.
Ma se dico che “ricchione” non deriva da orejón = grosso orecchio, nome dato agli incas dagli spagnoli, per l’uso di forare e allungare il lobo auricolare ma dico che deriva dal greco “orkhi-pédes = che ha la strozzatura dei testicoli, impotente” non posso (anzi non devo) tacere che l’autore di questa nuova interpretazione etimologica e il professore Carlo Iandolo. E ciò per non vestirmi di penne di pavone.

Quindi, carissimo, c’è situazione e situazione.
Alcuni mesi fa ho avuto il piacere di leggere un tuo testo dal titolo “Ugone”. Non hai tralasciato occasione per citare in note a pie’ di pagina autore e titolo di opere dalle quali traevi certe affermazioni. A me sembra molto corretto un tale procedimento ed è su questo che si articola tutto il discorso dei “mariuoli”.

Non il “diritto dell’autore”
ma il “dovere di citazione dell’autore”

per non dipingersi da studioso con i fiocchi, mentre si sta facendo un lavoro che oggi, anche i giovani delle scuole medie fanno con bravura, nelle loro “ricerche”.
Insomma: più che il rispetto del lavoro altrui sarebbe bene non esagerare nella supervalutazione del proprio.

La modestia è la virtù degli asini e io songo nu ciuccio.

Oilà Salvatore che piacere averti da queste parti!
Hai ragione tu: abbiamo ragione sia io che Aniello.
Come sempre la storia giustifica le sue azioni sia che si proceda in un mod che in un altro.
Alla fine ci sono solo forze irrazionali che si scontrano.
Prima (col cartaceo) il potere era in mano agli editori che con la scusa di proteggere gli autori, facevano soldi. In effetti la gran massa degli autori era esclusa dalla torta e gli rimaneva solo il contentimo del diritto morale d'autore.
Ora con internet non abbiamo più bisogno di editori.
Qualcosa paghiamo. Mettendo in internet le opere le ruberanno? Che facciano pure! Perché alla fine - gira e vota - anche noi abbiamo rubato da qualcun altro.
Ma è un vero rubere o non invece un riassemblare, contaminare, reinventare?
Insomma la vita è tutto un gioco. In questo caso il gioco della guardia e del ladro.
Ma i ladri chi erano Robin Hood e i suoi accoliti o i signorotti inglesei che arraffavano la vita e la fatica della povera gente per vivere a sbafo, andando a dire in giro che per ammassare quella ricchezza si erano fatti il culo?
Felicità
Gennaro

 

ID: 9873  Intervento da: salvatore argenziano  - Email: salvatore.argenziano@fastwebnet.it  - Data: martedì 9 dicembre 2008 Ore: 12.31

Uagliù, avite fatto propeto nu casino! (Voglio rìcere sulamente Gennaro e Aniello. Nun me permetto ’i parlà ’i burdello pe tutti ll’ati ca hanno scritto).
Io songo poco struito e mo nun capisco cchiù niente.
Ma ’i qua’ ladrucinio state parlanno?

A libbertà r’a copia-cupiarella è sacrusanta. E si io fosse nu scrittore e tu me cupiassi, a mme me facissi nu grande onore. (Have raggione Gennaro).

Ma. pecché roppo che hai cupiato vai ricenno ca è robba toia?
E nce mietti pure a firma sotto? Allora tu sî mariuolo? (Have raggione Aniello).

Nzomma! A mme me pare ca state ricenno ddoi cose diverze e pirciò nnunn’aggio capito niente.

E po me dispiace propeto a ddà raggione a tutti dduie. Spiegateve meglio pe mme ca so’ gnurante e senza chiammá santi e pataterni r’u ppassato a testimunianze.

Vulimmoce bbene.
 

Data la res intellectualis chi è il vero ladro?
Vedi Joost Smiers, La proprietà intellettuale è un furto, artic. pubbl. su http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2001/0109lm28.01.html
Smiers è direttore del centro di ricerche e professore ordinario all'Università delle arti, Utrecht (Paesi Bassi). In particolare è autore di Etat des lieux de la création en Europe, Le tissu culturel déchiré, L'Harmattan, Parigi, 1999.
Vedi ancheL'anticopyright.
Intervista al Giudice Gennaro Francione http://www.scarichiamoli.org/main.php?page=interviste/francione

ID: 9862 Intervento da: Aniello Langella - Email: aniello@langella.net - Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 21.41

Caro Camillo, smettila di darmi anche tu del dott. sono solo uno scrittore se ti va bene. Tu sei un puro, un anima dolcemente prodiga, un cultore della carità e il tuo copia incolla è salutare, anzi porta salute e benessere.
Rifletti con me, però.
Esaminiamo assieme il termine "EMULAZIONE". Si sei ?
Trova sul vocabolario e commenta assieme a me.
Emulare,....Ma alla fine mi chiedo dopo una pagina e mezza della Treccani sul termine emulazione a noi che ce ne frega? Che ci azzecca direbbe il magistrato politico. Ci azzecca, ci azzecca e come!! Emulare può essere inteso in termini positivi e negativi. Chi emula te sicuramente esprime un metodo positivo e costruttivo. Ma dal mariunciello copiaincollista si passa facilmente al talibano.
Mi sono spiegato?
Grazie come sempre.

Semplicemente Aniè

ID: 9861 Intervento da: camillo scala - Email: doncamillo57@libero.it - Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 20.28

In pieno stile "made italy" e affrancato dai toni alla "volemose bene" a conclusione di questa interessante e piacevole discussione innescata dal Dottor Langella
Cucù ...... eccomi sono un copiaincollista non di professione perchè il mio vero mestiere anzi la mia nobile professione è marittimo. Innanzitutto per tranquillizzarvi .....i miei tratti somatici non sono asiatici e i miei capelli non sono riccioluti o forse lo erano un tempo,detto ciò, per hobby copio e incollo per confezionare un giornale Torre News sul sito http://www.torremare.net (cliccare per credere),al solo scopo di informare i miei colleghi sparsi nei porti del mondo e i miei concittadini sparsi per l'italica penisola. All'uva preferisco le fragole anche perchè dal primo si ricava un nettare prelibato che non reggo tanto facilmente, ma visto che l'avete usato per un brindisi finale ,e visto che in parte sono stato riabilitato .... un bicchiere di Aglianico lo bevo con piacere. Al ladruncolo o al birichino se proprio un appellativo bisogna trovare preferisco quello che ironicamente ha usato il Dottor Langella
" un galantuomo".
Prosit !
Scala Camillo

ID: 9858 Intervento da: la redazione - Email: info@torreomnia.it - Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 13.47

Dalla rubrica “NON E’MAI TROPPO TARDI” la trama si infittisce, Luigi Mari, umile per predestinazione laica, per tutta risposta espone la sua di opinione: testo registrato in chiesa stamane, giorno dell’Immacolata, un sacerdote ha letto in Comunità Torreomnia la discussione “I copiaincollisti” e ha detto in pubblico:

”A Torre del Greco è avvenuto il Miracolo dell'Immacolata. Quello che Torreomnia postula da sempre. Nessuno si è rotolato per terra innanzi al carro e poi si è librato nell'aria, nessun paralitico si è messo a camminare. E' accaduto ancora di più. Da uno spunto polemico sui copiaincollisti in Comunità Torreomnia gli interlocutori del forum Comunità, avvezzi all'asettico, al pragmatico, al formale, al sussiegoso e al perentorio, hanno aperto oggi la prima volta per miracolo il tabernacolo dei loro precordi e hanno liberato il loro cuore di torresi di una volta comunicando con messaggi di amici e fratelli in Torre ”.

Aziona il tasto PLAY del registratore qui sotto per ascoltare la testimonianza registrata.


Il sospetto, il timore, la distanza, la permalosità, e spesso la timidezza, innalzano palizzate tra gli animi. Il senso dell’antagonismo induce l’uomo a credere che l’ammirazione e il rispetto, può ottenerla solo il vincente, serioso ed austero, ma questi è un lavoratore instancabile ed ha poco tempo per crapule, cioncate e convii fraterni, infittiti di ironici lazzi e frizzi di paese, liberatori, i per presupposti per l’amicizia. Ma non tutto è perduto, non è mai troppo tardi.



Luigi Mari


ID: 9857  Intervento da: Gennaro Francione  - Email: azuz@inwind.it  - Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 12.38

PS. Col permesso di Gigi e di tutti voi ho "copiato" tutta la bella,divertente, vinosa discussione con relativo link in
COPIARE E' UN DIRITTO
pagina già esistente in
http://www.antiarte.it/eugius/copiare_%C3%A8_un_diritto.htm
Felicità
Gennaro


ID: 9856 Intervento da: Gennaro Francione - Email: azuz@inwind.it - Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 12.33

In aglianico veritas.
E con questa massima (semicopiata) auguro a te e a tutti un felice dì
Un avanbraccione(abbraccio da avanguardie, l'ho copiata dal mio amico comico Chiocchi di Zelig)
Gennaro

ID: 9853 Intervento da: Aniello Langella - Email: aniello@langella.net - Data: lunedì 8 dicembre 2008 Ore: 10.03

BUONGIORNO GENNA'
e buongiorno a tutti i copiaincollisti della storia dell'umanità.

Incazzato io ? Per nulla, anzi. Profondamente divertito e stimolato. E come potrei incazzarmi con voi e in particolare con te?!?

Verrà il giorno nel quale il Giudizio sarà identico per tutti, senza pregiudizi. E verrà anche il giorno nel quale tutta l'umanità, piccola, meschina e fragilissima sarà liberata da ogni ideologia. E così trasmettere il pensiero diventerà piacere, seduzione e qualche volta anche dovere. Io provo questi sentimenti: piacere seduzione e dovere, ma il mio pensiero non son certo possa aggiungere un plus valore al contesto. Io sono semplicemente un uomo pensante e nel momento che penso, io sono. Cacchio,...quasi quasi mentre scrivevo mi son reso conto di aver copiato qualcuno che questa frase l'ha pensata prima di me. Ma cos'è la vita e il pensiero stesso se non una clonazione più o meno evoluta di un atto creativo primordiale? Forse è proprio in questo il grande mistero del pensiero dell'uomo. Credere di essere unico deppositario dell'esistenza stessa e alla fine raccaoricciandosi, giungere alla conclusione che egli stesso è un clone imperfetto del creato,...compreso nel suo pensiero.

Grazie per la bellissima cavalcata a rotta di collo tra le pagine del pensiero. Grazie come sempre per non aver condiviso le mie idee. Non sono affatto incazzato ma piacevolmente divertito e arricchito, perchè grazie a voi tutti ho imparato un'altra cosa: il rispetto delle idee e forse anche la loro parziale condivisione.

Pronto il bicchiere di aglianico che non è mai stato riposto. Pronto!!

Grazie,...ma non finisce qui perchè alla prossima vorrò cimentarmi con voi, ovviamente su un argomento che mi sta profondamente a cuore: esaminare le possibilità di recupero,...ovviamente della mia amata terra.

Prosit, Gennà Aniello

ID: 9852 Intervento da: Gennaro Francione - Email: azuz@inwind.it - Data: domenica 7 dicembre 2008 Ore: 23.55

Oh Aniè che ti sei incazzato?
A me mi hai fatto ridere con tutti i libri (Promessi sposi, Divina commedia bla bla bla) che hai scritto.
E dai facciamoci una bella bevuita sopra!
D'altra parte meditavo che col tuo scherzetto hai dato una risposta anticopyright.
Ma che gusto ci prenderebbe un cristiano o mussulmano o buddista a copiare intergalmente l'opera altrui?
In effetti ogni opera nuova(nuova?) è un riassembleaggio di opere preceedeti, esperienze vissute, sensazioni catturate da libri, televisioni, radio, film etc. Insomma un furto consapevole o inconsapevole di frammenti altri.
Su quel furto però si basa la trasmisisione della conoscenza.
Ad es. quando io ho scritto l'Avaro(finalista al premio Betti) cosa ho fatto se non ripercorree un snetiero già tracciato sull'avaro comico da Ghelderode, Molière, Goldoni, Plauto, i fescennini. L'avaro è sempre lo stesso con varianti ma chi è l'autore originario? Forse l'uomo primitivo che per primo arraffò il pezzone di carne e se lo tenne per sé tanto diq uel tempo che la bistecca gli marcì tra le mani e dovette buttarla.
Scrivi, inventa e lascia perdere se qualcuno ti copia. Come si dice: "Chi non è senza copiatura, scagli il primo tomo...".
Sì facciamoci una bella bevuta di vino Agliatico. Una copia del chianti... dicono...
Boh
Bonanotte
Gennaro



ID: 9851 Intervento da: Aniello Langella - Email: aniello@langella.net - Data: domenica 7 dicembre 2008 Ore: 23.15

NON PENSAVO DI SCATENARE TANTO INTERESSE ATTORNO A QUESTO FATTO.

Ma vi dirò che mi avete convinto tutti. Indistintamente tutti. Si!! il copiaincollista è un galantuomo.

E affinchè possiate condividere la mia gioia per aver trovato la verità, vi annuncio in anteprima che presto verranno pubblicati ben 8 libri che ho scritto in tanti anni di sacrifici e stenti. Tenetevi forti signori lettori e copiaincollisti inclusi.
In gennaio verranno dati alle stampe i miei 8 libri. Voi siete i primi a saperlo. E per vostro godimento vi comunico anche i titoli.

Il Milione di Aniello Langella. Questo raccontino è la storia del mio viaggio nella lontana Cina.
Barnabo delle Montagne di Aniello Langella. Barnabo è un romanzo introspettivo quasi autobiografico.
UROBORNAUTA: VIAGGIO NEI MONDI MAGICI di Aniello Langella. Straordinaria poesia del cyberspazio e della magia.
Da Magonza a Torre del Greco di Aniello Langella. Qui mi sono proprio divertito a scrivere la storia della stampa.
I Promessi Sposi di Aniello Langella. Romanzo bellissimo con personaggi mai visti: Don Rodrigo, Renzo, Lucia, l'Azzeccagarbugli ecc.
Per chi suona la campana di Aniello Langella. Anche questo è un romanzone del quale hanno fatto anche un film, prima ancora che io lo dia alle stampe. Non ho capito com'è potuto accadere, ma credetemi: dico il vero. Lo giuro.
La divina Commedia - sempre dello stesso autore, cioè io, me stesso medesimo. Straordinario viaggio tra personaggi della storia passata alla ricerca della fede tra Infermo, Purgatorio e Paradiso. Mio maestro è Virgilio, copiaincollista, anch'egli.

E alla fine il romanzo più bello che abbia mai scritto nella mia vita, ambiantato in Russia:
Guerra e Pace,...ovviamente scritto sempre da me medesimo.

Ma faciteme 'u piecere,...signori copiaincolllisti!! Se questi romanzi li avessi firmati io oggi, mi troverei contro tutto l'Universo, compreso Iddio in persona con la frusta in mano. Altro che copyright e codice civile. LA FRUSTA!!

Vogliamoci bene. Come dice Angelo Guarino. Aniello

ID: 9844 Intervento da: Marisa Borrelli - Email: borrellimarisa@tiscali.it - Data: domenica 7 dicembre 2008 Ore: 13.32

Bla, bla, bla. Oggi si pone tutto dietro lo scientifico, con la scusa dell'allenamento culturale o della posizione professionale di alcuni, e si finisce per trascinare gli altri sulle proprie idee. Pure il "porgi l'altra guancia" viene dottrinalizzato.
Il mariuolo, però, rimane sempre mariuolo, la puttana rimane sempre puttana. A parte i casi di costrizione o induzione (sfruttamento e aggregazione eslege) mariuoli e puttane potrebbero astenersi non già di fare il loro mestiere, sono affari loro, ma semplicemente di non trovare la scusa della fame, perché trovano sempre l'idealista di turno che li difende.
Riecco l'irriducibile predicatore con la fissa del perdono, ed ogni volta che lo leggo mi convince, perché, forse senza volerlo pizzica le nostre corde emotive, ci mette di fronte alla generale ipocrisia e al nostro egocentrismo irreversibile. Ha troppo Vangelo nelle meningi, forse lo ha stampato spesso in passato, ma la realtà è ben altra, è pragmatica, è matematica, non c'è emozione e teofilosofia in essa, sebbene i suoi pezzi abbiano una gradevolezza stilistica non comune. Dopo l'utopia comunista, le rivoluzioni inutili nessuno si illude che l'umanità possa smettere di dividersi in persone che fregano ed altre che rimangono fregate, e senza lotte che tengano.
Il copiaincollista frega, e chi scrive viene fregato. Per evitare questo l'autore dovrebbe rinunciare al suo bisogno di ammirazione e forse al complesso di sentirsi migliore, più istruito, ingegnoso e capace degli altri, ma come verrebbe sorretta la sua psiche, la sua necessità smodata di apparire superiore?
Così leggo le teorie dell"l'idealista" che ha avuto dal Signore la forza di non stare un minuto fermo, bersagliando con messaggi ripetitivi, noiosi, impositivi e tremendamente scolastici, a raffica, (che per reazione all'imposizione non vengono più nemmeno aperti), dietro la capacità o la debolezza di essere irremovibile nelle proprie idee, ignorando che nessuna presa di posizione è giusta in assoluto, perché il giusto è sempre un punto di vista, finendo, incapace di soluzioni, l'uomo, con l'affermare che la verità sta nel mezzo.
Marisa

borrellimarisa@tiscali.it


ID: 9840 Intervento da: Gennaro Francione - Email: azuz@inwind.it - Data: sabato 6 dicembre 2008 Ore: 15.57


L'ANTICOPYRIGHT DI FRANCIONE

Come sapete sul punto io penso che la proprietà intellettuale è dell'umanità e che l'autore singolo ha solo la detentio (possesso in nome d'altri) dell'opera da lui creata grazie agli apporti dell'umanità senza i quali nulla avrebbe costruito.

Per esemplificare pragmaticamente allo stato riporto un pezzo del mio amico Gigi (Trilemma, non Mari, anch'egli mio grande amico) che ha la bontà di citarmi:

CITAZIONE E PLAGIO - T.S. Eliot

I poeti immaturi imitano. I poeti maturi rubano

FINO A CHE PUNTO LA CITAZIONE E’ LECITA?

Il decreto legislativo n. 68 del 9 aprile 2003, emanato in attuazione della direttiva 2001/29/CE “sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione”, ha introdotto importanti novità nel corpo della legge n. 633/1941 sul diritto d’autore: due riguardano il diritto di cronaca e di critica costituzionalmente garantito.

La nuova normativa tutela ampiamente il diritto di cronaca, modificando e integrando l’articolo 65 della legge n. 633/1941 sul diritto d’autore con un comma (il secondo, aggiunto di sana pianta) molto chiaro: “La riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità è consentita ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo, sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell'autore, se riportato”. Questo comma affianca il primo, che fino al 28 aprile costituiva l’intero articolo 65: “Gli articoli di attualità, di carattere economico, politico,
religioso, pubblicati nelle riviste o giornali, possono essere liberamente riprodotti in altre riviste o giornali, anche radiofonici, se la riproduzione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la rivista o il giornale da cui sono tratti, la data e il numero di detta rivista o giornale e il nome dell'autore, se l'articolo è firmato”.

In pratica il nuovo articolo 65 giustifica la riproduzione o la comunicazione al pubblico di opere dell’ingegno (e l’espressione “comunicazione al pubblico” abbraccia anche i media dell’ultima e penultima generazione, quali il web e la tv) con l’esercizio del diritto di cronaca sia pure contenuto nei limiti “dello scopo infor- mativo”.

Il legislatore sostanzialmente ha recepito, con 31 anni di ritardo, una massima giurisprudenziale ricavata dalla sentenza 15 giugno 1972 n. 105
della Corte costituzionale: “Esiste un interesse generale alla informazione - indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione - e questo interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle
medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee”.

Anche l’articolo 70 della legge n. 633/1941 ha subito un significativo ritocco che allarga la libertà di critica e di discussione collegata all’impiego di parti o brani di parti di opere dell’ingegno: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”.

La novità rispetto alla vecchia normativa è costituita dall’espressione “comunicazione al pubblico”, che abbraccia, come riferito, l’utilizzazione di tutti i mass media, vecchi (giornali e radio) e nuovi (tv e web). Ne consegue che “il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di dicussione”[1].

Insomma, di fondo, è consentita l'utiliz- zazione a scopo di critica, discussione o insegnamento, purché si citi la fonte e si usi il virgolettato, per


pezzi più lunghi o di particolare valore stilistico-espressivo. Anche a livello di danno, non sembra che l'autore possa riceverne quando un altro autore lo citi più o meno estesamente, così contribuendo alla diffusione delle sue informazioni facendo nel contempo pubblicità "gratuita" alla sua opera.

Ma vediamo alcune regole pratiche alla luce del mutato spirito alimentato dalle nuove tecnologie informatiche di scrittura e di diffusione delle opere.

1) Nella qualità: quanto più si discute o si critichi un assunto tanto più si può citare.

2) Nella quantità: quanto più è vasto il "tuo" scritto rispetto a quello citato, tanto più sei in regola.

3) Nella tecnologia imperante della super- informazione resa facile dai sistemi riproduttivi, la valutazione della citazione proibita si restringe, proprio per la facilità di trasferimento dei dati da altra fonte, dove quello che conta è il trasferimento veloce delle informazioni, a poco contando le modalità espressive di un concetto. Nell’assemblaggio e rielaborazione di masse di dati per lo strumento usato è più facile che pezzi rimangono intonsi contando, comunque, l’animus di riformulazione di idee, situazioni, immagini per trasmettere informazioni e non certo per rubarle ad altri, spacciandole come proprie.

4) La divulgazione storica si basa su una catena di informazioni trasferite da uno studioso all'altro a partire dall’originario ricercatore, il quale ovviamente ha funzione diversa da chi divulghi, sintetizzi, commenti risultati di originarie ricerche. Ogni autore storico copia-cita qualcun altro e la cultura si fonda paradossalmente proprio sulla trasmissione dei concetti tratti da altra opera.

5) Ne deriva come corollario che un autore, purché virgoletti e citi la fonte, può riportare integralmente catalogazioni fatte da altro autore in campo storico, scientifico etc. proprio per divulgare i risultati analitici di quella ricerca essendo questo nello spirito dell’originario catalogatore.

6) Un'unica eccezione a quest'amplissima possibilità di riprodurre è il caso di opera letteraria o di "saggistica estetica", scritta cioè con uno stile personale tale da rasentare il letterario.
Qui, invece, s'impone il rigore, con l'uso limitato della citazione, riportando accuratamente la fonte e usando il virgolettato, in quanto l'autore susseguente non può assumere come sue forme stilistiche che sono proprie di chi l'ha receduto.

Per concludere, considerando l’idea di plagio un mito inesistente, riteniamo che il campo di predicabilità dell’uso illecito di opera altrui è notevolmente ristretto, anche alla luce dell'art. 21 della Costituzione e della massima citata della Corte Costituzionale. Ciò in linea con la visione anticopyright del giudice Francione, il quale ritiene che il profitto primario di un autore è uno solo: vedere diffusa la sua opera in qualunque forma o con qualunque mezzo[2].
E' questo l'interesse anche del vero proprietario di qualunque diritto d'autore, l’Uomo in Grande, il quale da sempre non fa che diffondere le sue informazioni nella massa interrelazionale, in ciò “ripro- ducendo”
l’agire dell’Universo che, senza scambio e copia d’informazioni per prove e riprove, neppure sarebbe com’è adesso. Forse non sarebbe proprio.

Gigi Trilemma

[1] Il nuovo diritto
d'autore estende cronaca e critica di Franco Abruzzo - 22.05.03 , da “Il Sole
24 Ore” del 3 maggio 2003, rip. da http://www.interlex.it/copyright/abruzzo11.htm

[2] Così nell’editanda opera di Francione No copy, no party – Sentenza
anticopyright prima e dopo.

- Comitato per la salvaguardia della Cultura Europea
da http://italy.indymedia.org/news/2005/11/921165.php


ID: 9837 Intervento da: massimo visciano - Email: visciano.massimo@libero.it - Data: sabato 6 dicembre 2008 Ore: 00.47

Miei cari amici torresi, rispondo ad Aniello (ed escludo il dottore, come egli vuole). Sul piano pratico tu hai perfettamente ragione. Il ladro è ladro sin dai tempi dei 10 comandamenti e non basta una disquisizione per sovvertire il concetto.
Intanto se un ladro viene in casa tua e lo spari sicuramente ti prendi almeno 20 anni di carcere se non dimostri la legittima difesa. Se il ladro ammazza te con attenuanti e indulto può cavarsela com molto meno. Vedi che non sempre la logica è comune.
Nessuno mette in dubbio che di una fatica letteraria va rispettata almeno la paternità prima dei diritti pecuniari. Quindi il tuo discorso fila ed è giusto, ma credo che Luigi voglia dire che le ruberie camuffate da leggi comode ed egemoniche non sono da meno di un plagio, in un mondo dove la corruzione assume canali capillari.
Una volta Billy Gates ha detto ad un giornalista che lo intervistava sulla pirateria che duplica, ad esempio, un softvare Autocad che costa migliaia di euro:
"Quello che si perde in contraffazione si guadagna in diffusione e pubblicità".
Mi sembra di capire che Luigi voglia dire (nel suo stile gradevolmente letterario) che se il tuo lavore venisse copiaincollato conservandone la paternità sarebbe più un vantaggio che una perdita.
Al di là dei vari punti di vista io ti domando: I politici vengono criticati perché l'opposizione critica aspramente gli errori della maggioranza, ma non dà quasi mai soluzioni. Tu pensi che questa "anomalia" moltiplicatissima nella rete si possa risolvere? Se no bisogna rassegnarsi e annoverarla ai mali irreversibili della vita come i terremoti, le malattie, gli errori giudiziari, ecc.
Navi, aerei ed automobili hanno rivoluzionato il mondo con un progresso insperato, ma puntualmente mietono milioni di vittime all'anno. Ad internet che ha reso il pianetnte una famiglia intercomunicante senza più distanze, attese, lungaggini dei reperimenti cartacei, ha i suoi lati negativi come il copiaincollismo, che se si confronta alle truffe, alla pedofilia, al terrorismo camuffato, essa è ben più meno preoccupante.

Ti saluto con stima. Massimo
massimo.visciano@libero.it

ID: 9836 Intervento da: Aniello Langella - Email: aniello@langella.net - Data: venerdì 5 dicembre 2008 Ore: 23.51

Troppo bello questo discorso, troppo affascinante per restare impassibili davanti a tante considerazioni. Mi sento disarmato dopo l'erudito discuisire di Luigi che prego di non chiamarmi più Dott. Io sono Aniello, quello di vicolo Gradoni e Canali. Sono restato sempre uguale e il titolo, più tempo passa e più mi fa sentire vecchio.
Capisco Luigi e capisco Massimo. Ma io vi pongo solo delle piccole considerazioni.
Se il mondo della conoscenza fosse fatto di uomini corretti, leali, sinceri e positivi, si potrebbe giustificare il mestiere del copiaincollista.

Nella foto a lato: "Metti quà le mie lettere, mariuolo! Sono incazzatissimissimo"

Se di contro ci accorgiamo che il nostro stesso pianeta è abitato da facinorosi, untuosi e beceri approfittatori, vi sembra giusto donare il prodotto del lavoro dello studio e del sacrificio così liberamente e gratuitamente?
Francione ha ragione. Luigi ha ragione. Ma la realtà è diversa.
Occorre secondo il mio parere (piccolo piccolo) regolamentare anche il mondo della rete e comunque dargli dignità con regole. E' un boccone troppo amaro da ingoiare, quello di vedere il proprio lavoro completamente svuotato e comcesso senza onore a tutti. Anche il Vangelo sottolinea il senso del sacrificio.
Mi ripeterò ma voglio raccontarvi una brevissima storiella che è tratta dal pensiero greco. Mi colpì molto quando ne venni a conoscenza e dal giorno che la lessi la feci mia come regola morale nella vita e soprattutto nel lavoro quotidiano..Su un vaso greco intorno agli anni '50 venne trovato inciso un verso che suonava pressappoco così:

" ...tu che conosci il sapore delle fragole, non riuscirai mai a comprendere il sapore dell'uva...".

Molti studiosi si calarono a "leggere" in vario modo il verso, ma alla fine dopo mesi di studio fu sentenziata l'intrepretazione. Il nostro anonimo egeo voleva dire semplicemente che colui che avvezzo a gustare il sapore delle fragole che crescono spontaneamente e senza nessun ausilio e nè lavoro, non potranno mai comprendere il gusto dell'uva che per crescere e maturare ha bisogno del lavoro della concimazione, della potatura, della raccolta e raramente cresce spontaneamente.

Caro Massimo e caro Luigi, rispondete pure, ma cercatemi un mangiatore di fragole.
Voi due siete dei gentlemen e con voi parlo come se stessi comodamente al bar seduto. Francione, mi trovi il mangiatore di fragole, lo porti sul banco e poi vedrete come sarà complesso disquisire.



Con stima Aniello Langella


ID: 9827 Intervento da: Luigi Mari - Email: info@torreomnia.it - Data: venerdì 5 dicembre 2008 Ore: 16.33


Cari amici,
devo innanzitutto ringraziare il Dott. Langella che ha introdotto questo argomento a suo dire polemico, invece interessante. La discussione non vuole essere una diatriba tra due individui. Aniello e Luigi come individui che amano, che soffrono, che gioiscono, che lavorano c’entrano ben poco con la concettualità trattata, che dai due, magari, può essere contrastata o condivisa, a seconda del mosaico evolutivo personale, del proprio orientamento professionale, dei vissuti e della influenza domestica o comportamentale etnico.

Scrivere è facile, essere capiti è difficile. Siamo talmente presi dalla foga dei nostri convincimenti che non assimiliamo le opinioni degli altri, se non sono molto chiaramente pedisseque alle nostre.
Orbene (come dice il caro Aniello Langella) io ho premesso nel pensiero descritto precedentemente quanto segue:

Qui accuso il copiaincollista, ma solo secondo le leggi vigenti:

(…) Il copiaincollista ruba, c’è poco da giustificare secondo le leggi ancora vigenti,”.(…)
(…) Non è la stessa cosa per il COPIASTAMPISTA, che pochi conoscono, è il saccente e sedicente pseudo giornalista, che COPIA E STAMPA usufruendo dell lavoro degli altri in quella manna dal cielo che per egli è Internet. Come accade anche in rete il copiastampista è poco onesto perché si sostituisce all’autore facendo propria pari pari la fatica che non è sua. Anche se il materiale viene manipolato la fonte deve essere citata. E’ una questione di lealtà..(…)

E qui non difendo, ma tollero il copiaincollista senza giustificarlo, per il rispetto delle leggi vigenti sulla proprietà, giuste od ingiuste che siano:

(…) Chi non è copiaincollista, almeno in parte, scagli la prima pietra!, verrebbe da dire. E da aggingere: chi non lo ammette si nasconde dietro un dito, come si suol dire. (…). (…) Quindi, infondo, mai tutto è originale in assoluto, poiché tutto dissero i greci e i latini. La storiografia, ad esempio, è un antico “copia e incolla” chiamato “ricerca”. Infatti si diceva prima di Internet: “Chi copia pari pari un testo fa plagio, ma chi copia qua è là fa solo ricerca, ed aggiorna la storia”, ma comunque è un copiare anche se frammentato (…)

Il Dott. Langella che risponde con questa sintesi:

(…) Tu prova a piantare un albero di albicocche in giardino. Seguimi nel discorso, perchè questo lo dicevano già i greci 2500 anni fa,... tu lo pianti, dicevo, poi lo curi, lo innaffi e lo concimi; attendi con trepidazione i primi caldi e osservi la crescita delle gemme e dei fiori, poi; in estate quando i frutti sono maturi, tondi, succosi e colorati, ti passa Pinco o Pallo e ti fotte le crisommole... mi spieghi caro Massimo come reagisci. Il copiaincollista è un ladruncolo, un mariuolo nascosto dietro il monitor che non ha letto mai una pagina del Braccini, del Brejslak, pel Mercalli, del Melloni,.... perdonami ma mi hai stuzzicato. (…)

La “parabola”, per così dire, della frutta rubata esposta dal Dott. Langella, non fa una grinza, sempre secondo le leggi vigenti e una certa logica comune, antiche ed universali. E non è nemmeno il caso di scomodare il “settimo” del Decalogo, o la clamorosa sentenza del giudice Francione che giustificò chi usufruisce della contraffazione per fame.


Nè è il caso di discutere il concetto di proprietà legiferato sempre dai ricchi, che consente di “pagare” per una vita intera quattro o anche cinque volte un appartamento in fitto che non sarà mai proprio e riscattato. Nemmeno più la speranza della compera riscattabile. Si conosce oramai la vergogna dei mutui.
Infatti se si vedono le cosa sotto un’ottica non convenzionale, più analitica, ad esempio affine alla rivoluzionaria teoria heinesteniana col famoso esempio: “è il treno che corre o è la terra che si sposta sotto le ruote, cambiando rispettivamente i punti di vista”.

1) Come ha ottenuto la terra per coltivare il contadino? E’ un colono o un proprietario con rendita e plusvalori speculativi?
2) L’operaio fabbricatore di concimi chimici è stato ben pagato e tutelato in fatto di rischi della salute?
4) Il fabbricante di semi è per caso orientale magari bambino sfruttato?
5) Zappa, vanga, stivali, vengono forse fabbricati da operai cinesi sottopagati?
6) Quale compenso si dà all’ideatore del trattore che offrì all’umanità il suo ingegno?
7) L’acqua piovana che irriga, il sole che irrora, la terra fertile vengono pagate in affitto a Dio?
8) Il raccoglitore di frutta, pomodori o quant’altro sarà mica un extracomunitario sfruttato con 10 euro al giorno?
9) Il medico fitofarmacologico non sarà mica legato o connivente al Primario Pinco che toglie i polmoni sani alla gente per lucro?
Etcetera, etcetera, etcetera. Si potrebbe continuare all’infinito per mettere in dubbio il concetto di proprietà e soprattutto le differenze di classe tra mente e braccio, e come quest’ultimo sia molto più utile e necessario e spesso ingegnoso, rispetto al concetto speculativo di cultura, spesso inerte e costruttrice solo di nodi mentali che a volta diventano sostegni egemonici e soggiogatori di millenarismi distorti rispetto all’autenticità e semplicità della vita .

Povero copiaincollista, dopo questo discorso, quasi mi fa pena, quasi lo amo di più e lo assolvo. Vieni, tesoro, vieni in Torreomnia, copia e incolla ciò che vuoi. Passa il tuo topo elettronico su tutte le 30.000 foto, e i 28.000 testi, sui filmati messi da Torreomnia su Youtube e falli tuoi, se li condividi; diffondili dove vuoi. Noi collaboratori tutti di Torreomnia abbiamo creduto di aspergere nella rete amore e radici nobili del passato, come una sorta di abluzione planetaria, sacrificando l’individualismo e la mania di protagonismo egocentrico, che sono carenze non facilmente colmabili per molti di noi succubi dell’antagonismo, del complesso del primo della classe.
Più ci copiano e più lo scrigno delle nostre menti fedeli alla terra natia si apre per sciorinare sul globo tutti i nostri gioielli spirituali d’amore di solidarietà quali fratelli in Torre.
Il bello, il bene e la cultura sono per Torreomnia un enorme desco imbandito a cui non si rifiuterà mai un posto a tavola, per chi ha bisogno di nutrire lo spirito offrendoci in cambio ciò che Dio gli ha concesso: la sua capacità idraulica; la sua abilità di accostare mattoni edilizi; la sua scopa per tenerci la città pulita; la faccia claunesca volontaria per il sollievo dei malati e i sofferenti; il suo sacrificio sul mare per trasportare cibo, medicinali, carbone, tra nazione e nazione.



Luigi Mari

ID: 9825 Intervento da: massimo visciano - Email: visciano.massimo@libero.it - Data: venerdì 5 dicembre 2008 Ore: 00.32

Ciao Aniello,
si, sono torrese, ma faccio un lavoro itinerante per tutta Italia. A riguardo del tuo risentimento per chi copia e incolla i tuoi studi è comprensibile. Luigi fa un discorso troppo profondo, analitico, psicologico, come al solito, e finisce con lo giustificare i copiaincollisti anche se in senso lato.
D'Altra parte non ci sono leggi idonee per proteggere i diritti d'autore in rete perché il prodotto plagiato dovrebbe essere prima coperto da copyright secondo le norme vigenti. E purtroppo molti lavori protetti da Siae o legislativamente dalla Procura della Repubblica (avvocatura dello Stato) vengono scopiazzati irrimediabilmente.
In non so se tu sei stato già plagiato in passato con il cartaceo, ma pubblicare su Internet è come mettere la carne innanzi alle fiere.
Se uno studioso non vuole che i ladri sgraffignino il proprio operato deve rinunciare a lasciare le proprie opere in una libreria universale sprotetta. Certo così viene sacrificato anche il protagonismo e l'esibizionismo di tutti gli autori quando si tratta di una vetrina internazionale, ma tutto ha un costo.
Comunque tu hai perfettamente ragione di incazzarti. - Massimo.

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