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03.03.1944 – Il treno 8017

C’è un triste primato che appartiene all’Italia, poco conosciuto e dimenticato dalla storia recente ufficiale. Si tratta della Sciagura del treno 8017, o Disastro di Balvano. Un incidente ferroviario, il 3 marzo 1944, che causò un numero imprecisato di vittime. I documenti e le fonti dell’epoca sono contrastanti tra loro, si parla di un numero oscillante tra 400 e quasi 600 morti. Cifre che la rendono la più grave sciagura ferroviaria d’Europa e tra le maggiori al mondo.  Cifre che stridono con l’assenza di una commemorazione istituzionale che renda onore a quelle che certamente sono vittime della fame e della povertà.

Il contesto
Nel marzo del 1944 l’Italia è divisa in due, il Sud è sotto il controllo del governo Badoglio e degli Alleati, mentre nel Nord il fronte della guerra è apertissimo e si somma alle violenze della Repubblica Sociale di Benito Mussolini. La guerra ha abbandonato il Meridione lasciando il suo strascico di distruzione e miseria. La situazione più difficile si registra nelle grandi città, dove paradossalmente è facile appropriarsi di beni di ogni tipo tra le macerie, ma scarseggiano i generi alimentari di prima necessità. È in tale contesto che si torna al baratto raggiungendo le campagne e scambiando quegli oggetti con i prodotti della terra e dell’allevamento.

Napoli è una delle tante città allo stremo; da qui si parte per raggiungere gli agri della Puglia, della Basilicata e della Calabria. Il mezzo della speranza è il treno. Le ferrovie sono sotto il controllo militare degli Alleati e di viaggi ‘civili’ se ne contano non più di un paio alla settimana, altrimenti si tratta di treni merci destinati al trasporto di materiale per la ricostruzione delle infrastrutture più importanti.

Il treno 8017 e la sciagura
Alle prime ore del mattino del 2 marzo 1944 il treno merci 8017 partì da Napoli
con destinazione Potenza. Sebbene fosse un treno merci con gran parte dei vagoni scoperti, fu preso subito ‘d’assalto’; il numero dei viaggiatori andava crescendo a ogni stazione. Il treno era molto lungo, 45 vagoni trainati da una potente locomotiva elettrica in funzione fino a Battipaglia; il tratto successivo per Potenza, infatti, non sarà elettrificato fino al 1994: per questo si rese necessaria la sostituzione con un sistema a vapore. Le manovre di sostituzione durarono un’ora e avranno un certo ruolo nelle vicende che seguiranno. Per poter superare agevolmente i molti tratti in salita si optò per due locomotive a vapore che diversamente dalla norma – che ne prevede una in testa e una in coda – furono sistemate entrambe alla testa del treno.
Alle ore 19.00 finalmente il treno riprese la marcia, ancora più carico; venne fatto scendere qualcuno dei viaggiatori a Eboli, ma nelle stazioni successive ne salirono in numero maggiore, fino ad arrivare a più di 600 passeggeri – come nelle immagini che immortalano i treni indiani o dei vari Paesi poveri di oggi – che gravavano in modo decisivo sul peso del treno. Dopo la mezzanotte l’8017 arrivò a Balvano, piccolo paese in provincia di Potenza, per ripartire alla volta della stazione di Bella-Muro distante solo 8 chilometri, ma dove non arrivò mai.

 

La tragedia si consumò nella galleria denominata ‘delle armi’ lunga quasi 2 chilometri, stretta, in salita e in curva. Forse per il peso eccessivo, forse per un errore umano, il treno, che già procedeva lentamente, rallentò 800 metri dopo l’ingresso. Per evitare lo slittamento all’indietro forse i macchinisti frenarono e l’8017 restò bloccato all’interno della galleria tranne che per due vagoni. Tutti gli sforzi per riprendere la marcia furono vani e non fecero che compromettere fatalmente la situazione. All’interno della galleria, poco aerata, era già presente del fumo lasciato da un treno precedente e le manovre per ripartire sprigionarono ingenti quantità di monossido di carbonio e acido carbonico. In pochissimo tempo il personale perse i sensi nel tentativo di far tornare indietro il treno e la morte per asfissia colse nel sonno le centinaia di passeggeri che affollavano il convoglio.
Dell’equipaggio si salvarono in due. Uno di questi, Giuseppe De Venuto, frenatore del carro di coda – quindi rimasto fuori dalla galleria – s’incamminò lungo i binari e verso le 5 del mattino successivo arrivò alla stazione di Balvano dove riferì l’accaduto. Fino ad allora, cioè dopo circa 4 ore da quando il treno ripartì da quest’ultima stazione nessuno si chiese cosa potesse essere successo negli 8 chilometri per Bella-Muro (anche se nel periodo post-bellico ritardi di un paio d’ore erano prevedibili).

Il post-tragedia
Le squadre di soccorso si trovarono davanti a scene terribili, il treno non poteva essere spostato perché i cadaveri occupavano le banchine. Solo con l’arrivo di altri soccorritori fu possibile recuperare tutti i corpi; questi furono portati a Balvano e seppelliti in quattro fosse comuni a causa della modesta dimensione del cimitero locale, mentre il personale ferroviario venne trasferito a Salerno.
La vicenda ebbe un’eco vastissima, soprattutto all’estero. Furono aperte due inchieste ufficiali: una dal governo Badoglio, l’altra dagli Stati Uniti. In quella italiana non fu individuato nessun colpevole, l’unica responsabilità fu attribuita al carbone di cattiva qualità fornito dagli Alleati; inoltre, come ultimo oltraggio nei loro confronti, le vittime vennero definite «viaggiatori di frodo e contrabbandieri». Maggiore chiarezza, invece, è fatta dall’inchiesta americana da poco non più secretata. Vengono riconosciuti errori umani che portarono al disastro e, in minima parte, vengono ‘riabilitati’ i passeggeri del treno 8017: è certo, infatti, che il personale ferroviario pretese il pagamento del viaggio.

I familiari delle vittime – da ricordare, inoltre, che parte dei sopravvissuti riportò danni psichici – nel tempo furono rimborsati con una somma risibile da parte del Ministero del tesoro. L’ente accusato di maggiori responsabilità, ovvero le Ferrovie dello Stato, si è sempre appellato alla clandestinità dei viaggiatori confermata, secondo le tesi della difesa, dalla natura del treno destinato al solo trasporto di merci. Una tesi però sconfessata dall’accertamento del pagamento del biglietto che toglierebbe ai passeggeri lo status di clandestini. Ancora oggi su questo aspetto non c’è una versione definitiva.

A Balvano nel 1972, solo per l’iniziativa di un privato cittadino che nella sciagura perse il padre e un fratello, venne costruita una cappella nel cimitero in ricordo di tutte le vittime (molte delle quali non riconosciute). Nonostante la portata della tragedia e le iniziative dei parenti, il Disastro di Balvano non è ricordato ufficialmente. Nel 2006 un gruppo di familiari con una lettera all’allora Presidente della Repubblica Ciampi ha ufficialmente chiesto l’istituzione di una giornata della memoria; la risposta ricevuta è che «risulta che la Commissione al Valore e Merito Civile del Ministero dell’Interno, nella seduta del 5 ottobre 2004, ha ritenuto che non sussistano i presupposti necessari per l’attribuzione del riconoscimento richiesto».
Per questo dal gennaio 2006 è stato provocatoriamente istituito Il giorno della dimenticanza per onorare i passeggeri del treno 8017, vittime, forse come nessun altro, della miseria e della storia.

*Le foto sono prese da http://www.trenidicarta.it/.

Da visitare
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Da vedere
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http://www.youtube.com/watch?v=iVIH6Ud66M0
 

Da leggere
Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, Gianluca Barneschi, Milano, Mursia editore, 2005, ISBN 88-425-3350-5, 290 pagine.

Articolo scritto da Antonino Dolce

antonino.dolce@gmail.com | http://pensierosso.blogspot.com/