Il Nuovo
Home Up L'Ordine Corriere della Sera New York Times The Times La Stampa Il Giornale d'Italia Risorgimento Gazzetta del Mezzogiorno Il Gazzettino Corriere  di Salerno Il Nuovo Il Mattino Diario Il Saggio Liberazione La Tofa Successe oggi L'Europeo Telesanterno Il Cingolo Il Fatto Quotidiano Una tragedia dimenticata Titanic ferroviario Nuove Proposte Gazzetta del Mezzogiorno Dossier Balvano 1944 Tutto E'

 

Balvano, la tragedia dimenticata

     Cappella a Balvano.

Da un servizio fotografico di Gennaro Francione di Carlo, nipote di Giulia Brancaccio, perita nel disastro


Oggi ricorre l'anniversario del disastro ferroviario del '44 in cui morirono oltre 600 persone. E ancora ci sono dubbi sulle responsabilità. Colpa degli americani che sovraccaricarono il treno o inevitabile fato?
di Simone Navarra

ROMA - Una tragedia dimenticata e che per molti non ha ancora una spiegazione. Oggi è l'anniversario di uno dei più gravi incidenti della storia ferroviaria d'Italia eppure ancora non si riesce a individuare un responsabile certo per quanto accaduto all'espresso 8017 nella tratta Napoli-Potenza, nella galleria di Balvano, alle prime ore del mattino del 3 marzo 1944. L'unico dato certo, dopo 57 anni, sono le 526 persone morte per aver respirato i gas venefici della vecchia locomotiva a vapore, rimasta bloccata nel tratto in salita, poco prima dell'arrivo alla stazione del paesino della Basilicata. Tutto il resto è un interrogativo senza risposta. Una congettura carica di dolore su cui si possono al massimo lambiccare gli storici interessati.

Secondo quanto scriveva "Il Giornale del Sud", martedì 7 marzo la causa di tutto è da attribuire al gran numero di clandestini che avevano preso d'assalto quello strano convoglio, con dodici vagoni a carico normale e 33 ufficialmente vuoti. Ma non sembra così certa questa verità. Più di uno tra i superstiti parlò chiaramente di ordini dati dai soldati americani di aggiungere vagoni in almento quattro stazioni intermedie. Così da allungare, in modo innaturale, la sequenza di carrozze. E si aggiunge subito dopo altre domande: possibile che i macchinisti non si rendessero conto di creare una camera a gas? E se sì, perché continuarono ad alimentare le caldaie?

A partire da questi interrogativi Gennaro Francione, giudice e scrittore, ha costruito un romanzo dal sapore d'inchiesta, "molto intriso di ricordi", Calabuscia. E' la storia semplice e pulita di donna Giulia (la nonna di Francione ) che faceva da corriere per il ricco mercato nero partenopeo e che prendeva spesso quel treno. "Era una signora eccezionale, con un grande coraggio. In un periodo tanto difficile riuscì a procurare il mangiare per i suoi figli e ad essere punto di riferimento per tutte le persone che la conoscevano. In calce al mio libro invito tutti coloro che sono in grado di riferire su questo tragico fatto con ricordi, testimonianze di scrivere alla redazione che provvederà a stilare un libro bianco. Purtroppo l'oblio però rischia di mangiarsi la memoria e di far scomparire questa ferita tutta italiana".

L'ossido di carbonio uccide, secondo i manuali, in cinquanta o sessanta secondi eppure non c'è ricordo di allarmi o di allerta. I primi soccorritori si trovarono di fronte allo spettacolo allucinante di una massa compatta di corpi l'uno sopra all'altro. "Sulle prime nei vagoni - si legge nel romanzo - tutti i passeggeri si sono accorti che il convoglio si è fermato e sono inquieti, anche se non sanno bene cosa stia succedendo. Nell'oscurità totale degli antri metallici ricolmi di uomini e cose volano borbottii, commenti,lamenti, bestemmie. Solo alla fine, quando il fumo invade l'ambiente in maniera sempre più fitta e la gente prende a tossicchiare, il panico comincia a diffondersi, anche se ancora nessuno osa muoversi. Il non sapere cosa stia succedendo impedisce d'intuire il cosa fare". E' l'inattività fatale. "Spero che un giorno venga sollevato il velo - conclude Francione - su un fatto tanto grave. E forse alle famiglie delle vittime dopo tanto tempo basterebbe che le Ferrovie e il ministero della Difesa deponessero un mazzo di fiori. Basterebbe quello".

(2 MARZO 2002; ORE 17:00)

 

http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,108993,00.html