La stazione
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                                    LA STAZIONE
 

                                

                                                    Stazione di Salerno 

Si viaggiava dovunque, anche sull'imperiale dei vagoni, senza nessuna garanzia di  sicurezza. 

   Nelle stazioni, poi, la situazione non era migliore: tanti 
sfollati da far partire, a Potenza c'era un gruppo di cittadini 
provenienti da Cassino, militari e partigiani e sedicenti militari e partigiani che, a volte, pretendevano di far scendere chi era già su un treno per occuparlo loro. Un periodo triste.

(FESTA CAMPANILE, Pasquale, La nonna Sabella, Milano, Bompiani, 1983)

 

MI HAI NASCOSTO LA MIA GIOVINEZZA

Mi hai nascosto la mia giovinezza, nel tuo sguardo luccicante di palline colorate nascoste per anni.

E se io mai fossi passato scalzo davanti la tua voce come azzurro flusso di stelle che abbandonano carezze senza la costrizione degli anni?

Ti avrei trovata forse supina a sorreggere con il tuo profumo piccole foglie tremanti incollate a un cielo immobile di seta.

E io non ricordo più niente di quella stazione affollata di gente dove ci salutammo con occhi gocciolanti di sentimenti che ci legavano altrove, fra abbracci frettolosi di estranei confusi dal fischio del tempo.

Ora ridammi tutto,

perché io non lascerò per sempre questa spiaggia

fin quando non avrò ritrovato le nostre impronte.

(Timoteo Scibilia, http://web.tiscali.it/teo-poesie/foglia6.html)

 

 

       

LA STAZIONE DI BALVANO (Foto tratte da

http://users.libero.it/alessandro.tuzza/8017/19560311europeo.html

                              

                                                                  

                         

          

 

IL RAGAZZO DEL FLICORNO

 

E qui l'avventura della fuga si trasforma in una sorta di peregrinazione medioevale in un mondo costellato da mille pericoli.

Mi sembra di trovarmi in un bosco folto,dove tra i fitti intrecci della vegetazione invano cerco una via.Là i lupi sono i tedeschi e noi,gl'italiani, siamo gli agnelli.

Già corre voce in stazione che i nemici vanno catturando tutti i giovani e li mandano in Germania,a lavorare e morire nei campi di concentramento. Ne deriva in giro una sorda forma di terrore, dove l'incubo è acuito dalla perdita del senso di quanto sta capitandoci e dal pericolo nostro personale,passo dopo passo, di essere ancora catturati dai famelici,beffati dopo essere riusciti con tanta fatica a sfuggire dalle loro grinfie.

A Venezia l'attesa è lunga sul binario,sempre vigili a qualche movimento dei tedeschi. Siamo attorniati da gente varia. Uno che ha l'aria di commerciante, con tanto di borsa di pelle e cappello a falda piegata su un occhio,  sembra saperla lunga sulla guerra e discute animatamente con due contadinotti,padre e figlio, di Rovigo.Mi accosto al gruppetto e colgo dalle loro labbra le ultime notizie.

"Ieri mattina,verso le  5,10, la famiglia reale con in testa Re e Regina si è data alla fuga" annuncia il signore.

"In Italia tutti scappano, perché non i Re?" commenta il contadinotto più anziano con faccia a chiazze color carminio e naso a pera.

"Certo" ribadisce il commerciante nel suo linguaggio emiliano pieno di s sibilanti."Si sono messi su una Fiat 2800,col seguito di Badoglio, il duca Acquarone e Valenzano, il Principe di Piemonte, alcuni ministri e i generaloni. Il corteo di macchine con un'autoblindo di scorta sembrava stesse per mettersi in marcia per la Parigi-Pechino!".

"E dove sono scappati?" chiede il campagnolo più giovane con la faccia da scemo del villaggio.

"A Ortona a Mare...Sembra che hanno creato sinanche un allarme aereo finto per tener rintanata la popolazione. Alla fine si sono imbarcati su una bettolina del porto-ma guarda un po' te che fine!- e poi sulla corvetta Baionetta alla volta di Brindisi, dove forse siederà provvisoriamente il governo italiano".

"Intanto però se l'è squagliata!" fa eco il buzzurrotto."Io penso che quello là si preparava da tempo  all'impresa..."

"Certo. Altrimenti perché avrebbe affidato a un dignitario i gioielli della Corona?Senza contare che con carri merci sigillati ha trasportato in Svizzera quadri, sculture, vasi preziosi, tappeti, argenteria".

"E la faccia...come l'ha salvata?".

"Bàh...La radio l'ha detto...il Re ha fatto solo una blanda obiezione a chi gli rimproverava la scappata:'Sono vecchio,cosa volete che mi facciano?'".

La conversazione continua su questi toni passandosi poi a parlare della reazione tedesca, su cui l'anziano rovigotto che ascoltava muto   sentenzia:

"Non ci facciamo illusioni. Siamo in guerra con la Germania!".

E' vero ora siamo in guerra coi tedeschi.

Su questa triste verità sentiamo il fischio sinistro del treno e lo scorgiamo laggiù guidato dal manovratore,  un pezzo d'uomo col berretto fregiato a fondo nero e filetto rosso, che ne segue passo passo i movimenti e gli spostamenti. E' lui il Minosse del Binario che comanda l'avanzamento,  la retrocessione, il rallentamento di una colonna di veicoli da mettere insieme in un labirinto di rotaie luccicanti. Controlla gli agganciamenti e gli sganciamenti esaminando gli organi di trazione,le condotte dei freni,i cavi elettrici e i mantici d'intercomunicazione fra i respingenti.Alla fine eccolo il mostro ricomposto insinuarsi come un erebico serpente meccanico a retromarcia in stazione.

Quando è fermo,tutti i viaggiatori montano sopra con frenesia. Molti di loro li invidio:mostrano le facce pallide e rossastre tipiche del nord. Loro sì che  hanno un viaggio facile e breve da fare!Noi prendiamo il treno per scendere giù, per attraversare l'inferno stesso della guerra.

*  * 

Finalmente verso le 10 del 16 settembre entriamo in Firenze, ma qui i pericoli aumentano a dismisura e dobbiamo per forza venire allo scoperto.

A questo punto lavorando sul giochetto fatto prima lo perfezioniamo, perché esso è diventato al momento l'unico nostro lasciapassare per la salvezza. Ci laceriamo le vesti,se ancora non le ha fatte a pezzi il massacro del viaggio, ci riempiamo la faccia di polvere e avanziamo come intrepidi barboni in questo campo minato dal rastrellamento nemico. Per fare ancor di più scena mi appoggio alla spalla di mio padre e mi trascino su di lui, zoppicando coi piedi, ora sfacciatamente messi in bella mostra nella loro stomachevole massa putrida.

Il nuovo trabocchetto si rivela efficace perché in una stradina attorno a Ponte Vecchio scorgiamo un movimento di tedeschi che escono dai palazzi caricando altri giovani su una decina di camion. Ripetiamo la tattica di non scappare ma di portarci proprio sotto il naso di un bulldog vestito da tenente. Di fronte al suo sguardo perplesso ci allontaniamo alla chetichella,visto che ci squadra da capo a piedi e alla fine sembra schifarci assai e darci davvero poca importanza.

Arrivati alla stazione qui tutto sembra funzionare, ma stavolta non osiamo   dare in escandescenze per la gioia. Anzi tiriamo il fiato osservando il cartellone con le partenze. Incredibile ma vero è segnato sopra, a mezzogiorno, un treno che va a Roma.

Senza fare il biglietto come abbiamo fatto finora- tanto di questi tempi dove stanno i controllori?- montiamo sopra e ci troviamo uno scompartimento dove possiamo stare da soli. Stavolta nemmeno ci accorgiamo di partire perché siamo già sprofondati in un sonno ristoratore, sdraiandoci sui sedili, lunghi distesi.

 

(Da Gennaro Francione, Calabuscia)

 

 
   

                 

 
                                   

                             Stemma di Balvano

 

    L'ANGELO DEL PALATINO               

    Il treno per il sud parte domani pomeriggio.

      Non ci rimane che dormire sul marciapiede perché le poche panchine sono state già tutte occupate da gente che dorme.

      Lungo il muro su cui ci siamo accovacciati,proprio sopra la nostra testa, campeggiano tre manifesti.

      Il primo, dell'artista Boccasile, raffigura un negro a gambe divaricate,quasi ubriaco con bocca grossa e dentoni,divisa e berretto color caki,fucile  a tracolla. Si accompagna a una statua di Venere discinta quasi fosse una puttana, cingendola all'altezza del bacino su cui è scritto "$ 2".E' la propaganda sul comportamento dei nemici di fronte all'opera d'arte.

      La seconda illustrazione dello stesso autore mostra una donna anziana e triste in abito scuro, antico,con mani conserte al ventre. Il senso è nella didascalia "Non tradite mio figlio".

      C'è infine un ultimo manifesto,malinconicamente strappato, con la foto grande di Mussolini imbronciato e con l'elmo in testa.

      Sto guardando quelle immagini e mi lascio prendere dalla fiumana di meditazioni:il crollo del regime,la mamma lontana, il senso del tradimento italiano,i mostruosi americani faccia scura che si mangeranno le nostre donne...E sto appena appena per prendere sonno disteso in quel cantuccio nei pressi del bagagliaio che sulla testa ci corre il brivido di una chiamata:

      "I tedeschi!I tedeschi!".

      Ci tiriamo su di soprassalto e, imitando altri dormienti all'addiaccio levatisi, scappiamo verso l'uscita della stazione, proprio mentre dal fondo opposto come un nugolo di vespe malefiche entra un reparto nemico.

      La massa di gente in fuga dilaga e si ramifica nelle strade circostanti.Alcune truppe, armate di potenti torce, si sono già messe alla caccia e con la coda dell'occhio,mentre scappiamo come lepri abbiamo intravisto alle nostre spalle alcuni giovani, investiti da fasci di luce, che invano scalpitavano, per essere poi serrati tra le morse dei mitra.

      Un gruppo di soldati con stivaloni picchiettanti sul selciato incalza e già sentiamo addosso i loro coni di luce che tagliano l'oscurità  ad acchiappare pezzi delle nostre sagome. C'infiliamo in un vicolo che saremo un gruppetto di una decina di persone. Accanto   a noi corrono un prete e due giovani.Appena voltato l'angolo, nel buio  rischiarato dalla luna, si apre una porticina laterale di una chiesetta. Il prete entra e d'istinto con lui io,mio padre e i due giovani.

      "Presto! Presto!" fa un tonacato bassotto che, appena fattici entrare, chiude subito il portoncino e lo serra, restandocene tutti col fiato sospeso in attesa lì dentro.

      Sentiamo sempre più forte lo scalpiccio degl'inseguitori sulla terra finché arrivano sotto sotto la porta. La oltrepassano e continuano a correre dietro gli altri fuggiaschi.

      Siamo salvi.

(Da Gennaro Francione, Calabuscia)

                           

 
 
Dopo una notte all'aperto, nella stazione "fece giorno alle cinque, rammento, e davanti alla biglietteria ci fu una mischia furibonda. Gli scontrini per Napoli, difatti, erano otto al giorno, mentre a fare la coda erano più di cento persone. A me riuscì di prendere un solo biglietto: lo rivendetti. Avremmo dovuto ritentare l'indomani. Trascorsero così altre ventiquattro ore durante le quali transitò un solo treno - incredibilmente carico di gente - che andava fino a Bari e non oltre...

    Poi calò di nuovo la sera, e la stazione fu ancora più piena di gente. I più erano contadini e soldati: e donne vestite di scuro con grandi scialli colorati e canestri d'uva e di fichi. 

   Cominciavo a sentire una certa stanchezza. Tuttavia mi collocai davanti alla biglietteria e passai la notte in piedi, guardando con invidia quelli che s'erano potuti sdraiare per terra. E, alle cinque del mattino, la scena del giorno prima si ripeté. 

   Il fatto che io già mi trovassi davanti allo sportello non aveva, in effetti, una grande importanza. Il difficile fu resistervi per il poco tempo occorrente per acquistare i biglietti. Per tre volte, difatti, fui scalzato, sospinto violentemente via, dalla folla che lottava selvaggiamente e imprecava. Ma tornai sempre all'assalto, aggredendo uomini e donne, con4a forza della disperazione. E, dei biglietti ch'erano in vendita, riuscii a prendere gli ultimi due. 

   Il treno arrivò dopo sei ore, e non solo aveva un enorme ritardo, ma era gremito in modo inverosimile. Per salirvi, quindi, ci fu una nuova mischia, più feroce della precedente. I viaggiatori che erano già dentro, infatti, essendo incastrati in ogni minimo spazio, si opponevano in tutti i modi all'entrata dei nuovi, i quali, a loro volta - se volevano salire - dovevano aprirsi un varco a pugni, calci, spintoni- Il clamore era assordante, era un incrociarsi d'insulti, invettive, minacce. Salivano anche quelli che non avevano preso il biglietto. Si arrampicavano sui respingenti, sul tetto, entravano dai finestrini con valige ceste, animali. Fu una lunga scena spietata".

(Pasquale Festa Campanile , La nonna Sabella,  Bompiani, Milano 1983)

 

 
 

             

 
 
Stazione di Balvano (inviata da don Francesco Rivieccio di Torre del Greco)