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TRIBUNALE DI ROMA

5^ SEZIONE PENALE

R.G. 783/2001

 

  Il Tribunale in composizione collegiale, costituito dai magistrati:

dott. Mario Bresciano – presidente

dott. Gennaro Francione - giudice

dott. Laura Scalia  - giudice

 v. gli atti del procedimento penale a carico di:

Tizio, Caio, Sempronio, Mevio

Imputati

 Tizio: a) artt. 81, 110, 319 CP; b) art. 81, 476 e 482 cp; c) art. 48, 81, 479 cp; d) artt. 81, 110, 314, 61 n. 2 cp; e) artt. 81, 624, 625 n. 7, 61 nn. 2 e 9 c.p. Fatti commessi in Roma fino al tutto il 1996.

Caio: f) art. 81, 110, 319 cp; In Roma fino al settembre 1996;

Sempronio: i) art. 321 cp in relazione all’art. 319 cp; In Roma, nel novembre 1996;

Mevio: o) art. 321 in relazione all’art. 319 c.p.; In Roma  nel gennaio 1996;

  premesso in fatto che:

 Gli odierni imputati sono stati rinviati a giudizio, dopo l’udienza preliminare, per rispondere dei reati sopra indicati e meglio descritti nei capi d’imputazione.

  Vi è stata costituzione di parte civile.

  Il processo era oggi fissato per la sola discussione.

  All’odierno dibattimento l’imputato, Tizio tramite difensore munito di procura speciale, ha chiesto la sospensione del processo ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134;

 i difensori degli altri imputati, privi di procura speciale, hanno chiesto ugualmente la sospensione del processo ai sensi della norma citata;

   considerato in diritto che:

1. L’art. 5, della legge 12 giugno 2003, n. 134, stabilisce che:

1. L'imputato, o il suo difensore munito di procura speciale, e il pubblico ministero, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, in cui sia prevista la loro partecipazione, possono formulare la richiesta di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge, anche nei processi penali in corso di dibattimento nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulti decorso il termine previsto dall'articolo 446, comma 1, del codice di procedura penale, e ciò anche quando sia già stata presentata tale richiesta, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero o la richiesta sia stata rigettata da parte del giudice, e sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizione della precedente.

2. Su richiesta dell'imputato il dibattimento è sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l'opportunità della richiesta e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare.
3. Le disposizioni dell'articolo 4 si applicano anche ai procedimenti in corso. Per tali procedimenti la Corte di cassazione può applicare direttamente le sanzioni sostitutive.”

 Questo Tribunale dubita della legittimità costituzionale della norma per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione.

La norma non appare ragionevole sotto diversi profili in particolare:

a)     in relazione al disposto del comma 1, che consente di formulare la richiesta anche oltre il termine fissato dall’art. 446, comma 1, CPP;

b)      in relazione al disposto del comma 2, che impone, su richiesta dell’imputato, una sospensione di 45 giorni, fissando il termine di decorrenza dalla prima udienza utile successiva alla data di pubblicazione;

c)      in relazione al disposto del comma 3 che dispone applicarsi le disposizioni dell’art. 4 della medesima legge anche ai processi in corso;

2. In primo luogo, in relazione al contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. si osserva che l’istituto della pena concordata è stato introdotto nel codice di rito vigente per determinare un effetto deflattivo del procedimento penale. In sostanza si è concesso alle parti di concordare la pena per evitare i costi in termini di tempo, di risorse umane e finanziarie determinate dalla complessità dell’udienza preliminare o del dibattimento; in cambio di tale risparmio, l’imputato gode di uno sconto di un terzo della pena.

Tale principio è stato affermato anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 129 del 1993, laddove afferma, con riferimento ai riti speciali, che “l’interesse dell’imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti a tali giudizi in tanto rileva, in quanto egli rinunzia al dibattimento e venga perciò effettivamente adottata una sequenza procedimentale che consenta di raggiungere l’obiettivo di una rapida definizione del processo”. Il carattere premiale del rito previsto dall’art. 444 cpp è stato ancora confermato dall’ordinanza n. 172 del 1998 di codesta Corte.

Ne consegue che lo sbarramento previsto dall’art. 446 comma 1 CPP per l’introduzione del rito ha una sua logica ferrea ed ineludibile, altrimenti verrebbe meno il principio stesso su cui si fonda il rito premiale.

 Il legislatore, con la novella del 2003, avrebbe dovuto consentire di presentare la richiesta lasciando inalterato il limite di cui all’art. 446, comma 1, CPP. Invece non ha operato neppure una distinzione fra i processi per i quali è stato aperto il dibattimento, ma non è stata compiuta alcuna attività istruttoria e processi per i quali l’istruttoria è già avanzata o addirittura è stato dichiarato chiuso il dibattimento e si è in fase di discussione.

  Consentire la riduzione della pena anche a chi non ha fatto risparmiare alcuna risorsa allo Stato e ai cittadini, dopo che è stata celebrata l’udienza preliminare o il dibattimento è stato celebrato ed è stato addirittura dichiarato chiuso ed è addirittura in corso la discussione, non appare ragionevole e contrasta con i principi che sottendono l’istituto dell’applicazione della pena concordata.

 3. Si ravvisa l’ulteriore contrasto con l’art. 111 Cost. oltre che, sotto diverso profilo, con l’art. 3 Cost.

 Quest’ultimo, nella parte relativa alla ragionevole durata del processo, è di recente introduzione e trae il suo fondamento nei principi enunciati dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla l. 4 agosto 1955, n. 848.

Appare opportuna qualche riflessione sull’interpretazione dell’art. 111 Cost. e sugli interessi che esso tutela. Occorre, cioè, chiarire se il principio della ragionevole durata del processo debba essere riferito solo all’interesse di ogni singolo imputato – anche nel caso si tratti di processo con più imputati - oppure si riferisca anche a tutte le altre parti processuali,  oppure anche agli interessi dello Stato e dei cittadini in generale. E’ ovvio che se la speditezza processuale va intesa con riferimento al singolo imputato il quale, a seconda dei casi, ha interesse ad un processo più lungo nella speranza della prescrizione del reato o più breve, attraverso riti alternativi, prescindendo dagli interessi delle altre parti di quel medesimo processo e anche da interessi superiori della cittadinanza a vedere celebrati tutti i processi con sollecitudine, la richiesta di rito alternativo effettuata anche in corso di un processo in cui l’istruttoria dibattimentale sia già iniziata o addirittura terminata, non incontrerà ostacoli nell’art. 111 della Cost. Se, invece, l’interpretazione della ragionevole durata va commisurata anche ad altri interessi, è necessario svolgere alcune considerazioni.

 In primo luogo si osserva che nell’attuale sistema i poteri decisori del giudice sono stati ampiamente ridotti in favore di quelli delle parti. Ogni volta che sia disposta la rinnovazione del dibattimento, l’istruttoria dibattimentale deve ricominciare da capo, salvo nel caso in cui le parti prestino il consenso alla lettura. Nel caso, perciò, di un processo con più imputati, di cui solo uno chieda la sospensione del processo, ai sensi dell’art. 5 comma 2 della legge 134/2003, e successivamente chieda l’applicazione della pena, il giudice deve, innanzitutto, stabilire se proseguire il processo nei confronti dei coimputati, effettuando uno stralcio della posizione del richiedente, che potrebbe rivelarsi poi inutile, con dispendio di energie e di attività processuali; se, poi, anziché sospendere il processo anche nei confronti dei coimputati, lo rinvia in attesa del decorso dei 45 giorni prescritti e all’udienza successiva l‘interessato richiede l’applicazione della pena, l’accoglimento dell’istanza renderebbe il giudice incompatibile a giudicare gli altri coimputati; il rigetto della richiesta lo renderebbe ugualmente incompatibile a giudicare l’imputato; in entrambi i casi il processo dovrebbe iniziare ex novo innanzi ad altro giudice, con rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. In tal caso non vi sarebbe speditezza processuale né per l’interessato né per i coimputati, ma, anzi una dilatazione dei tempi della decisione (tra l’altro già maturi perché l’istruttoria era esaurita); con la conseguenza che ad una decisione con rito ordinario ormai certa nel tempo, si sostituisce un’attività interlocutoria di sospensione che potrebbe concludersi con il rigetto della richiesta di applicazione della pena e con la necessità di celebrare ex novo il processo con rito ordinario.

  Questo tribunale non ignora che la Corte, con sentenza n. 266 del 1992, ha affermato che “l’applicazione della pena concordata con il pubblico ministero da uno solo degli imputati di concorso nel medesimo reato costituisce un procedimento congegnato come pattuizione tra imputato richiedente e parte pubblica, in ordine al quale è previsto un controllo giurisdizionale che non include però la valutazione delle posizioni dei coimputati”. La questione, tuttavia, era stata esaminata solo con riferimento all’art. 3 della Costituzione ed inoltre, era afferente ad una disposizione ordinaria e non all’introduzione di una norma transitoria, come quella oggi denunciata, che mira ad applicare l’istituto a tutti i procedimenti in corso, anche se in fase dibattimentale. Sicché è questione nuova e diversa. Inoltre la sentenza citata era antecedente alla riforma dell’art. 111 della Costituzione.

4. Si osserva, inoltre che, nel caso di applicazione della pena, la parte civile costituita vedrebbe crollare le proprie legittime aspettative, dovendo ricominciare il processo ex novo sia nei confronti dei coimputati innanzi ad altro giudice sia separatamente – in sede civile - nei confronti di colui che è stato ammesso al “patteggiamento”. E’ vero che la Corte ha affrontato il problema relativo all’esclusione della parte civile nel rito de quo (v. sent. N. 443/1990), ma è pur vero che si trattava di decisioni che si riferivano al sistema “ordinario” di applicazione della pena e non di norma transitoria, come quella in esame che interviene a disciplinare un giudizio in corso in cui la parte civile sta già esercitando il proprio diritto con una legittima aspettativa di rapida e normale decisione. Sicché anche sotto tale aspetto la frustrazione dei diritti della parte civile e della ragionevole durata – anche per lei – del processo finisce con il violare i principi di ragionevolezza e di giusto processo di ragionevole durata stabiliti dagli artt. 3 e 111 della Costituzione.

5. Questo Tribunale ritiene che l’interpretazione estensiva dell’art. 111 Cost. sia maggiormente fondata anche alla luce della produzione legislativa che ha fatto seguito alla modifica della norma costituzionale. E’ noto, infatti, che l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea per l’eccessiva durata dei processi. La condanna prescinde da eventuali responsabilità dei giudici, ma si fonda sul principio che ciascun paese deve dotarsi di leggi processuali che consentano una rapida definizione dei processi. Già da molti anni vi sono paesi, come la Danimarca e l’Olanda, che sono in grado di definire la maggior parte dei processi in primo grado nell’arco di tre mesi, esaurendo l’appello nel successivo trimestre. Ciò è dovuto ad una semplificazione soprattutto del sistema delle notificazioni, all’esistenza di maggiori obblighi di diligenza delle parti processuali, ivi compresi gli imputati. E’ chiaro che in sistemi siffatti la sospensione di un processo anche solo per 45 giorni, ossia oltre un terzo del tempo complessivo di definizione, sarebbe inaccettabile.

 Per ovviare alle condanne in sede europea in Italia è stata introdotta la normativa statale (l. 24 marzo 2001, n. 89) che consente alle parti un’equa riparazione allorché il processo abbia avuto una durata eccessiva, indipendentemente dalle ragioni che l’abbiano determinata. L’equa riparazione non spetta solo all’imputato, ma anche alla parte civile.

 Da ciò si evince che la ragionevole durata del processo non è un diritto solo dell’imputato, ma anche delle altre parti processuali, ivi compresa la parte civile, ed assurge, quindi a principio generale.

  Assume rilievo, nel sistema, ad esempio, l’art. 477 C.P.P. che impone tempi rapidissimi per la definizione del dibattimento, stabilendo che il rinvio del processo dev’essere effettuato al giorno successivo e che il processo può essere sospeso solo per ragioni “di assoluta necessità” e “per un termine massimo di dieci giorni”, computate tutte le dilazioni.

Si rileva, inoltre, che nel caso di giudizio immediato, è previsto il termine di 15 giorni per la richiesta di pena concordata, ossia un tempo che è esattamente un terzo di quello oggi previsto dalla novella, pur vertendosi in materia analoga.

Se tale assunto è corretto, deve ritenersi che non corrisponde ai parametri costituzionali di ragionevolezza (art.3 Cost). e di ragionevole durata (art. 111 Cost.) la norma che consente di sospendere il processo per 45 giorni e di richiedere l’applicazione della pena anche nei processi in corso.

6. Come s’è prima precisato, l’art. 5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134, stabilisce che : “Su richiesta dell’imputato il dibattimento è sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l’opportunità della richiesta e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare”.

Premesso che la disposizione s’applica a tutti i processi in corso, perciò perfino ai processi per in fase di discussione, si rileva che non appare ragionevole la concessione di un termine decorrente dalla prima udienza utile. Sotto tale profilo si osserva che ogni cittadino è tenuto a conoscere le leggi pubblicate. Pertanto ogni imputato è stato posto in grado, nel momento in cui la legge in esame è stata pubblicata, di valutare l’opportunità di avvalersi della pena concordata. A maggior conforto di tale assunto si rileva che ogni imputato è assistito da un difensore, sicché ha avuto modo di consultarsi con lo stesso per valutare l’opportunità di avvalersi della pena concordata. La concessione di un termine di durata notevole, (ossia ben quarantacinque giorni), in rapporto ai parametri sopra esposti, decorrente dalla prima udienza anziché dalla vigenza della legge, appare irragionevole. Tale irragionevolezza appare di tutta evidenza allorché la fase istruttoria sia esaurita o il processo sia addirittura in fase di discussione, e, quindi, l’imputato ha potuto valutare tutto il materiale probatorio e rendersi conto della convenienza eventuale di concordare la pena.

Una volta accertato che il rapporto esistente tra imputato e difensore consente ad entrambi di valutare momento per momento le opportunità di scelte processuali e che, dunque, non v’è lesione del diritto di difesa ammettere che l’imputato, alla prima udienza utile, debba dichiarare se intende “patteggiare” o no, anziché chiedere un lungo termine di riflessione, deve ritenersi che la sospensione obbligatoria per 45 giorni incida sulla ragionevole durata del processo. Nel bilanciamento tra l’interesse dell’imputato e l’interesse generale ad una durata ragionevole - posto che nessun danno deriva all’imputato nel dichiarazione alla prima udienza utile se intende concordare la pena - sembra dover prevalere la ragionevole durata del processo.

7. Il Tribunale prospetta il dubbio di legittimità, per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione, anche dell’art. 1 della legge 12 giugno 2003, n. 134, il quale stabilisce quanto segue:

Il comma 1 dell'articolo 444 del codice di procedura penale è sostituito dai seguenti:

«1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

1-bis. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria».

Con la norma in esame si sottrae al giudizio di cognizione piena la maggioranza assoluta dei reati, molti dei quali di notevole gravità, trasformando di fatto il rito speciale di applicazione della pena in un rito generalizzato, in violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e di formazione della prova in contraddittorio di cui agli artt. 3 e 111 della Cost., già consacrati nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. L'art. 6, primo comma, primo periodo della l. 4 agosto 1955, n. 848, di ratifica della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, stabilisce che: “Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, che deciderà sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei”.

Il terzo comma del medesimo articolo, in particolare alla lettera d), sancisce “il diritto di interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico”. In sostanza l’articolo citato sancisce il principio del contraddittorio nel processo, poi recepito dall’art. 111, commi 1, 2 e 4 della Cost. come novellato nel 1999. In altri termini il principio che regola l’accertamento della responsabilità penale è fondato su di un giusto processo che preveda una fase di cognizione piena con un contraddittorio che ponga le parti “in condizioni di parità”, come espressamente stabilito dal comma 2° della norma costituzionale in esame. Né sembra ragionevole ritenere che il principio generale possa essere derogato dal comma 5 dell’art. 111, laddove afferma che “La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato” e ciò per due ragioni.

In primo luogo perché la modifica dell’art. 444 CPP consente per un elevatissimo numero di reati, in sostanza la maggioranza, di concordare la pena, così introducendo di fatto il principio generale che la responsabilità penale non va accertata - infatti la sentenza cosiddetta di patteggiamento non è sentenza di condanna, ma solo a questa equiparata sotto alcuni aspetti – mentre soltanto per un ristretto numero di reati si perviene ad un accertamento di responsabilità con cognizione piena.

In secondo luogo la deroga stabilita dal quinto comma dell’art. 111 non sembra possa riferirsi ad una sentenza di applicazione di pena, ma solo intendersi come rinuncia alla formazione della prova in contraddittorio, in un regolare processo di cognizione, quando l’imputato vi consenta. Tale interpretazione è fondata sulla circostanza che altrimenti il comma quinto dell’art. 111 si porrebbe in contrasto con il comma secondo del medesimo articolo, laddove stabilisce dapprima il principio secondo cui il contraddittorio tra le parti è la regola generale a fondamento del processo e poi stabilisce che le parti debbono essere in condizioni di parità.

A tal riguardo la sentenza di codesta Corte n. 129 del 1993 già affermava che il nostro sistema processuale è “imperniato sulla formazione della prova in dibattimento.”

8. A ciò si aggiunge che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, stabilisce che il processo debba essere celebrato “pubblicamente”.

La pubblicità del processo è anche un carattere essenziale di uno stato democratico ed è garanzia di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. L’applicazione della pena avviene in camera di consiglio.  

Se, dunque, per un numero ridotto di reati e, in particolare per quelli di minore gravità può avere una sua logica il procedimento previsto dall’art. 444 CPP, che non prevede la pubblicità dell’udienza e un accertamento pieno di responsabilità, trasformare quest’ultimo nel procedimento di più vasta applicazione, riducendo il rito ordinario di cognizione piena ad ipotesi minoritaria e relativa solo a reati di massima gravità, e limitando fortemente i casi in cui il processo è pubblico sembra contrastare con il principio di ragionevolezza e con principio che il processo è condotto in contraddittorio e con formazione della prova in dibattimento mediante un “giusto processo” e con pari dignità di tutte le parti (artt. 3 e 111 Cost.).

Reati con pena edittale molto elevata, come il tentato omicidio, la rapina aggravata o la violenza sessuale aggravata, con il giudizio di comparazione con le attenuanti e la riduzione prevista per il rito prescelto possono essere definiti con una sentenza che non è di condanna, ma solo equiparata a questa, con estromissione della parte civile e ponendo la parte offesa ai margini del processo che pur la vede vittima.

9. Le eccezioni oggi proposte sono rilevanti per le seguenti ragioni:

 A) E’ stata richiesta dal difensore, munito di procura speciale, di uno solo degli imputati la sospensione del processo ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134; i difensori di altri imputati, pur privi di procura speciale, hanno chiesto ugualmente la sospensione, sicché questo giudice non avrebbe alcun potere discrezionale in ordine alla richiesta.

 B) Il dibattimento è stato chiuso e per l’udienza era prevista solo la discussione delle parti, dopo un’istruttoria dibattimentale molto impegnativa.

C) Vi è parte  civile già costituita.

D) La norma che prevede la sospensione obbligatoria è strettamente correlata alla facoltà di richiedere la pena concordata disciplinata dalla norma transitoria. Sicché appare attualmente rilevante anche l’eccezione che concerne l’estensione ai processi in corso della facoltà di richiedere l’applicazione della pena. Ne consegue che, ove si ritenesse l’irrazionalità dell’impianto normativo almeno con riguardo alla disposizione transitoria di cui all’art. 5. comma, 1, resterebbe addirittura assorbita la questione relativa al termine di sospensione. L'eccezione non è manifestamente infondata per le ragioni sopra esposte.

P.Q.M.

  V. la legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della Legge 11 marzo 1953 n. 87;

ritenuta non manifestamente infondata e rilevante ai fini del presente giudizio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 5, commi 1 e 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134 per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione nei limiti e nei termini di cui in motivazione;

  sospende il giudizio in corso;

  ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;

  dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

  Roma, 1 luglio 2003

                                                                              Il Presidente

 

 

 
http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=INTERNI&doc=ROMAaa

Patteggiamento, si bloccano decine di processi

Centinaia di imputati chiedono di valutare le nuove regole. Il Tribunale di Roma: «Sono incostituzionali»


ROMA - In principio la legge sul patteggiamento allargato (da 2 a 5 anni) fu votata all’unanimità tanto che un anno fa, alla Camera, non fu necessario neanche il passaggio in aula per approvare il provvedimento in prima lettura. Da Rifondazione a Forza Italia erano tutti d’accordo: il provvedimento alleggerirà l’arretrato giudiziario. I distinguo, poi, iniziarono al Senato dove la Casa delle Libertà forzò il testo con due modifiche: i giorni di una possibile interruzione del processo su richiesta dell’imputato passavano da 30 a 45 (qualcuno parlò subito di «norma salva Previti») e contemporaneamente spuntava l’articolo 3 bis del disegno di legge con i nuovi confini delle pene sostitutive applicabili anche dalla Cassazione (qualcuno la definì «norma salva-Bossi» per i fatti di via Bellerio che avrebbero potuto determinare la detenzione del leader leghista).
Epilogo: il 10 giugno scorso, il patteggiamento allargato, che pure ha come primo firmatario Giuliano Pisapia di Rifondazione, viene approvato al Senato senza i voti dell’Ulivo e del Prc.
E’ lungo un anno l’iter della legge che da ieri viene applicata nei tribunali italiani con centinaia di richieste di sospensione già avanzate dalle difese in decine di processi. Concordare la pena con i giudici, ora anche per le condanne fino a 5 anni, significa far risparmiare un mucchio di tempo e di denaro alla macchina giudiziaria ma anche accettare che non si svolga il dibattimento con tutte le sue garanzie. Il premio è quantificabile nella riduzione di un terzo della pena.


CONSULTA - Partendo da questo presupposto - un premio per l’imputato che patteggia rinunciando al processo vero e proprio - già ieri i giudici della V sezione penale del tribunale di Roma (che giudicano un caso di presunta estorsione) hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. I magistrati romani (Mario Bresciano, Gennaro Francione e Bruno Iannolo) ricordano che «l’istituto del patteggiamento è stato introdotto nel codice di rito per determinare un effetto deflattivo del procedimento penale» ma, sottolineano, il legislatore del 2003 non opera una distinzione tra i processi appena iniziati e quelli praticamente conclusi. Dunque, «non appare ragionevole consentire la riduzione della pena anche a chi non ha fatto risparmiare alcuna risorsa allo Stato e ai cittadini». Il tribunale di Roma, dunque, richiama il caso dei processi quasi interamente celebrati come è successo a Milano con il troncone principale dello Sme, bloccato su richiesta degli imputati (Previti, Pacifico, Mariano e Renato Squillante) a un passo dalla sentenza.


LINATE - Ed era ben avviato anche il processo per la strage di Linate (118 morti nello scontro tra un Md87 della Sas in fase di decollo e un piccolo Cessna): anche in questo caso è stata chiesta la «pausa di riflessione» per valutare se sia conveniente o no il patteggiamento. Su richiesta degli imputati, il processo è stato dunque rinviato al 1° ottobre: 45 giorni di «patteggiamento» più altrettanti di sessione feriale. «E’ una vergogna usare questi espedienti», ha commentato il presidente del comitato che rappresenta le vittime, Paolo Pettinaroli.
A Roma, ha chiesto la «pausa di riflessione» anche Nicola Sgambati, un giovane accusato di omicidio volontario e omissione di soccorso per aver investito e ucciso con la sua auto un nomade sedicenne a bordo di un motorino. Il presidente del tribunale di Roma, Luigi Scotti, non riesce a fare una previsione sull’entità delle richieste: «Se facciamo un calcolo algebrico, alla fine ci sarà un segno positivo per quanto riguarda l’efficienza. Bisogna vedere però se tutto questo è positivo in termini di giustizia».
Sul patteggiamento allargato, infine, rimane non negativo il giudizio dell’Associazione nazionale magistrati. Ma c’è ancora qualcosa da fare, avverte il segretario generale Carlo Fucci: «Il meccanismo funzionerà bene solo quando la prescrizione del reato non sarà più un obiettivo facilmente raggiungibile dall’imputato».

 

 
http://repubblica.extra.kataweb.it/repubblica/frameset_login.jsp

http://ilmessaggero.caltanet.it/view.php?data=20030701&ediz=01_NAZIONALE&npag=4&file=PATTI.xml&type=STANDARD

 
http://www.studiocelentano.it/newsflash_dett.asp?id=2734

http://www.penale.it/giuris/meri_153.htm

 

 
La seconda qlc è stat sollevata dal Tribunale di Torino, III
sezione penale, a proposito della sospensione riflessiva di 45 giorni.

La notizia è apparsa sul Sole24h di venerdì; argomenti in sintesi:
- art.3 Cost: l'indiscriminata rimessione in termini, per tutti gli
imputati, per tutti i processi in corso, anche in fase di discussione,contrasta con la ratio del patteggiamento che al contrario mira ad una rapida definizione del processo; tra l 'altro la sospensione di 45 giorni spetta anche a chi non ha mai presentato istanza di 444 ergo non si comprende in base a quale principio spetterebbe all'imputato un (ulteriore)termine non inferiore a 45 giorni per valutare quello che ha già avuto tempo
e modo di valutare a suo tempo;
- art.111 Cost: il principio della ragionevole durata del processo è posto a tutela non solo dell'imputato, ma di tutte le parti; con la faccenda dei 45 giorni si è introdotto un termine eccessivamente dilatorio per l'esercizio di una facoltà che c'era già prima e di cui l'imputato aveva deciso di non
avvalersi, con il rischio che alla fine l'imputato decida di non coltivare
ulteriormente il 444: il risultato è che il processo viene a fermarsi senza  ragione. Ancora è irragionevole la decorrenza dalla prima udienza utile e non dal 29.6.03, data di entrata in vigore della legge.

 
http://www.latribuna.it/Focus/PCorso/03_07_2003.jhtml

http://www.liberatribuna.org/luglio2003/ITALIAluglio2003.htm

Diario Etico - ITALIA luglio 2003

1° luglio 2003. GIUSTIZIA. IL CONCORDATO SUI REATI GRAVI FINISCE ALLA CONSULTA. Un pm del Tribunale di Roma (Francesca Passaniti) e la Quinta sezione del Tribunale dello stesso Tribunale (presidente Mario Bresciano e giudici a latere Gennaro Francione e Bruno Iannolo) hanno inviato alla Corte Costituzionale un'ordinanza di sette pagine per contestare "la costituzionalità della legge sul patteggiamento allargato che contrasterebbe con gli articoli della Costituzione n° 3 (la Legge è uguale per tutti) e con il n° 111 (ragionevole durata del Giusto Processo). La legge sul Patteggiamento allargato prevede all'imputato di evitare il dibattimento e la relativa sentenza ordinaria; in passato tale legge era ammessa solo per i reati minori, quelli punibili con due anni di carcere. La Riforma approvata il 12 giugno 2003 (1.) ha esteso il p.a. ai reati punibili da due fino a cinque anni e (2.) si può applicare anche a processi in corso e l'imputato che chiede di "valutare se avvalersi" del p.a. ha diritto a una "pausa di riflessione" di 45 giorni durante i quali il processo è sospeso. Considerazione. E' la paralisi dei processi in tutta Italia: tutte le difese degli imputati per estorsione, omicidio colposo (compreso quello per i 118 morti di Linate), pedofilia e gravi furti, chiedono la pausa di riflessione e la sospensione di un mese e mezzo. Soluzione. La Riforma della Giustizia italiana del Terzo Millennio è impossibile senza la Riforma elettorale (primarie con tetti di spesa bassi e uguali per tutti nella Separazione assoluta dei Poteri dello Stato). [nota 1° luglio 2003].

 

 

 

 

http://www.google.it/search?q=cache:-xycCVKUJiMJ:www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/06-Luglio-2003/art59.html+francione+%2B+patteggiamento&hl=it&ie=UTF-8

LA BILANCIA
Da Previti alla Corte
DARIA LUCCA
La legge che ha consentito a Cesare Previti di chiedere la sospensione del processo Sme per 45 giorni, perché potesse riflettere se usufruire o meno della possibilità di accedere al patteggiamento, ha già preso la strada che porta alla Corte Costituzionale. Lo scorso 30 giugno, infatti, la quinta sezione penale del tribunale di Roma ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma. Lo ha fatto, fra l'altro, dopo avere ricevuto in poche ore una valanga di istanze perché la nuova legge fosse applicata ai casi più diversi. Ha chiesto di accedervi, ad esempio, un giovane imputato di omicidio volontario per avere investito e ucciso con l'automobile, ed essere poi fuggito omettendo i soccorsi. Ma vi si sono appellati anche alcuni imputati di estorsione. E molti altri, tenendo presente che con essa si allarga a dismisura il ventaglio dei reati che possono essere patteggiati. Il presidente della quinta sezione di Roma, Mario Bresciano, e i giudici a latere Gennaro Francione e Bruno Iannolo, non discutono però di politica giudiziaria penale, cioè non entrano nel merito di un terreno (quali reati punire e quali no) che è squisita prerogativa del parlamento. Né lo si farà qui. Le ragioni per cui si è rinviata la legge alla Consulta sono in particolare due: le violazioni dell'articolo 3 e dell'articolo 111 della carta. Quanto al primo, si contesta il fatto che il legislatore non abbia operato alcuna distinzione tra i processi a cui è applicabile la norma che permette di concordare la pena, magari sostituendo il carcere con una multa, e comunque di ridurla di un terzo. Se è stata votata per ridurre costi, energie e tempi della giustizia, non si capisce per quale ragione non si è stabilito un limite temporale. Un conto è chiedere il patteggiamento di un processo in fase istruttoria (quando il risparmio è in effetti reale), un altro è chiederlo quando il dibattimento è stato chiuso (quando il risparmio è nullo).

Quanto all'articolo 111, la ragionevole durata del processo, i magistrati intendono che sia un diritto «non solo dell'imputato, ma anche delle parti». Qui infatti si scopre un'altra magagna. Le parti civili (che in un processo per violenza sessuale o tentato omicidio o rapina aggravata non sono poi secondarie) restano escluse dal patteggiamento, essendo estromesse dal processo dalla norma per cui la sentenza emessa in un patteggiamento (all'italiana) non è di condanna ma solo equiparata ad essa. In sostanza, non si potrebbe nemmeno dire, poi, che Tizio è stato condannato per rapina (o per corruzione in atti giudiziari). Nel frattempo, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di esaminare la legge, essendone investita dall'avvocato Nino Mormino, difensore di un imputato di estorsione. E ne ha concluso che, grazie all'articolo 5, la si può applicare a qualsiasi tipo di processo, nessuno escluso, poiché non vi sono esplicite indicazioni in base alle quali si debba ritenere che il legislatore intendesse lasciarne fuori, ad esempio, i giudizi di legittimità. E dunque, il patteggiamento è applicabile anche in cassazione.

 

 

http://www.dsmilano.it/Pressroom/2003/07/cor3_0701_patteggiamento-processi-bloccati.htm

Patteggiamento, si bloccano decine di processi
Centinaia di imputati chiedono di valutare le nuove regole. 

Il Tribunale di Roma: «Sono incostituzionali»

dal Corriere - 1 luglio 2003 

ROMA - In principio la legge sul patteggiamento allargato (da 2 a 5 anni) fu votata all’unanimità tanto che un anno fa, alla Camera, non fu necessario neanche il passaggio in aula per approvare il provvedimento in prima lettura. Da Rifondazione a Forza Italia erano tutti d’accordo: il provvedimento alleggerirà l’arretrato giudiziario. I distinguo, poi, iniziarono al Senato dove la Casa delle Libertà forzò il testo con due modifiche: i giorni di una possibile interruzione del processo su richiesta dell’imputato passavano da 30 a 45 (qualcuno parlò subito di «norma salva Previti») e contemporaneamente spuntava l’articolo 3 bis del disegno di legge con i nuovi confini delle pene sostitutive applicabili anche dalla Cassazione (qualcuno la definì «norma salva-Bossi» per i fatti di via Bellerio che avrebbero potuto determinare la detenzione del leader leghista).
Epilogo: il 10 giugno scorso, il patteggiamento allargato, che pure ha come primo firmatario Giuliano Pisapia di Rifondazione, viene approvato al Senato senza i voti dell’Ulivo e del Prc.
E’ lungo un anno l’iter della legge che da ieri viene applicata nei tribunali italiani con centinaia di richieste di sospensione già avanzate dalle difese in decine di processi. Concordare la pena con i giudici, ora anche per le condanne fino a 5 anni, significa far risparmiare un mucchio di tempo e di denaro alla macchina giudiziaria ma anche accettare che non si svolga il dibattimento con tutte le sue garanzie. Il premio è quantificabile nella riduzione di un terzo della pena.


CONSULTA - Partendo da questo presupposto - un premio per l’imputato che patteggia rinunciando al processo vero e proprio - già ieri i giudici della V sezione penale del tribunale di Roma (che giudicano un caso di presunta estorsione) hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. I magistrati romani (Mario Bresciano, Gennaro Francione e Bruno Iannolo) ricordano che «l’istituto del patteggiamento è stato introdotto nel codice di rito per determinare un effetto deflattivo del procedimento penale» ma, sottolineano, il legislatore del 2003 non opera una distinzione tra i processi appena iniziati e quelli praticamente conclusi. Dunque, «non appare ragionevole consentire la riduzione della pena anche a chi non ha fatto risparmiare alcuna risorsa allo Stato e ai cittadini». Il tribunale di Roma, dunque, richiama il caso dei processi quasi interamente celebrati come è successo a Milano con il troncone principale dello Sme, bloccato su richiesta degli imputati (Previti, Pacifico, Mariano e Renato Squillante) a un passo dalla sentenza.


LINATE - Ed era ben avviato anche il processo per la strage di Linate (118 morti nello scontro tra un Md87 della Sas in fase di decollo e un piccolo Cessna): anche in questo caso è stata chiesta la «pausa di riflessione» per valutare se sia conveniente o no il patteggiamento. Su richiesta degli imputati, il processo è stato dunque rinviato al 1° ottobre: 45 giorni di «patteggiamento» più altrettanti di sessione feriale. «E’ una vergogna usare questi espedienti», ha commentato il presidente del comitato che rappresenta le vittime, Paolo Pettinaroli.
A Roma, ha chiesto la «pausa di riflessione» anche Nicola Sgambati, un giovane accusato di omicidio volontario e omissione di soccorso per aver investito e ucciso con la sua auto un nomade sedicenne a bordo di un motorino. Il presidente del tribunale di Roma, Luigi Scotti, non riesce a fare una previsione sull’entità delle richieste: «Se facciamo un calcolo algebrico, alla fine ci sarà un segno positivo per quanto riguarda l’efficienza. Bisogna vedere però se tutto questo è positivo in termini di giustizia».
Sul patteggiamento allargato, infine, rimane non negativo il giudizio dell’Associazione nazionale magistrati. Ma c’è ancora qualcosa da fare, avverte il segretario generale Carlo Fucci: «Il meccanismo funzionerà bene solo quando la prescrizione del reato non sarà più un obiettivo facilmente raggiungibile dall’imputato».
Dino Martirano