Tonache & Toghe
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                   TONACHE & TOGHE:                                         SEMPRE  UNTI DAL SIGNORE

  Sono un provinciale. Da quando ho scoperto che la lettura non è un dovere ma un piacere, ho dato le dimissioni da insegnante per fare l'editore.

Il mio orgoglio è di aver fatto sempre tutto da solo e di non aver mai avanzato richieste di contributi finanziari né agli autori né ad Enti vari.

Ad un ex deputato PCI ho stampato - negli anni 95/96 - cinque libri, per lo più d'interesse locale, all'insegna dell'amicizia e al di fuori di ogni vincolo contrattuale.

Poi l'onorevole ha manifestato, in circostanze attinenti i contenuti editoriali, una tale intolleranza, da indurmi ad avvisarlo con lettera, che non intendevo dare alle stampe altri suoi libri; nel contempo lo invitavo(1999) a saldarmi 365 copie delle sue pubblicazioni da lui richiestemi per essere vendute al festival provinciale di Liberazione e, in parte, nella cartolibreria del figlio in Viterbo.

 Per tutta risposta mi ha citato in giudizio allo scopo di essere, lui, pagato ed ha anche trovato un giudice che gli ha dato ragione. E' riuscito perfino a contattare due tipografi che hanno testimoniato di aver stampato, dei suoi libri, non 3000 copie come da fatture e preventivi, ma 10000 (il giudice però, bontà sua, ha sentenziato che debbo pagargli i diritti soltanto per 6000 copie).

Naturalmente ho denunciato i due tipografi alla Procura di Viterbo , per falsa testimonianza, adducendo dovizia di prove che ritengo inconfutabili. (Per inciso, aggiungo che al momento della escussione testimoniale, per aver io invitato il  mio avvocato, a mostrare ad un teste - noto alla giustizia e agli italiani per la grande quantità di  dollari falsi che custodiva nella sua tipografia - le prove scritte delle non verità che stava dicendo, il giudice - imparziale - ha chiamato la polizia per espellermi dall'aula. Ero colpevole di aver  appena detto all'avvocato : "mostragli le sue fatture!").

 Nella denuncia (08/01/2002) chiedevo, ai sensi degli artt.406 e 408 del cpp, di essere informato sullo svolgimento delle indagini e di essere interrogato per ulteriori chiarimenti. A  distanza di quasi un anno, non essendomi pervenuta alcuna notizia, ho chiesto, in applicazione dell'art. 335 del cpp, di conoscere l'esito dell' esposto. L'altro giorno ho ritirato la risposta.

 Il Cancelliere certifica che

              NON RISULTANO ISCRIZIONI SUSCETTIBILI DI COMUNICAZIONE

Ho domandato spiegazioni ed  ho appreso che il PM aveva richiesto al GIP l'archiviazione della denuncia.   - "E perché non sono stato informato?  Perché questa risposta insensata?

-Mah!...non sappiamo cosa dire.  Così, di rimando, due gentili signore della Procura. Fatto sta che la richiesta di archiviazione del PM è pervenuta ai due che dovevano essere indagati , non a me.        

 

Quanto ho rievocato succintamente è soltanto la punta dell'iceberg. E' la goccia che ha colmato un bicchiere pieno di feccia. E non riesco più ad ingoiarla. Ho impiegato metà della mia esistenza a difendermi dagli errori - meglio sarebbe chiamarli con un nome più pertinente, "orrori"-  di gente che quando la incontro per strada mi provoca un irrefrenabile conato di vomito.

 

Ho una indole incline all'ironia, ma questi magis strati mi hanno stravolto l'esistenza, fino a tentarmi di spiegare le vele e partire da questo mondo.

Menzionerò qualcuno di questi "orrori". In balia dell'indignazione. Facit indignatio versus.

 

Venti anni fa ho scritto  COMUNE  D(e)I  VALENT  ANO  anziché "Comune di Valentano".

Si trattava di un manifesto ironico, affisso in campagna elettorale. Ebbene, sono stato processato per diffamazione e il PM  ha chiesto che mi venissero inflitti  sei mesi di carcere. Ho dovuto rivolgermi alla Cassazione.

 

Quando ho denunciato una concussione sono stato incriminato per calunnia. E condannato. Cinque anni di strazio e di onorari agli avvocati.  Fino alla Cassazione,  per avere "giustizia".

 

Allorchè sono andato ad incassare un assegno di novanta milioni di lire (il prezzo pagato per una libreria), il traente, per non pagare, denuncia che l'assegno gli era stato rubato nel suo ufficio dall'editore Scipioni e dalla di lui moglie. Il PM dà una mano al furfante. Infatti, ordinando il sequestro dell'assegno - inaudita altera parte -  ne evita il protesto. Scrivo allora una vibrante lettera al PM, una signora. Non ho risposta, ma viene aperta una indagine. La Guardia di Finanza invia un rapporto alla Procura .  La verità , già evidente, ora salta agli occhi. Il finto derubato viene raggiunto da comunicazione giudiziaria per simulazione di reato e per falso.

Allo scopo di  evitare la condanna, questo signore mi paga l'assegno e ottiene in cambio una  mia dichiarazione liberatoria con la quale riesce, a tamburo battente, a ottenere l'archiviazione del procedimento a suo carico.

Ma non finisce qui: dopo pochi mesi ricevo una comunicazione giudiziaria per aver rubato l'assegno di novanta milioni. Per ben quattro udienze, sono comparso in Tribunale come l'imputato ladrone . Quattro viaggi a Genova per sentirmi dire, soltanto alla quarta udienza, "ci siamo sbagliati". Oltre all'onta, spese, peregrinazioni per la penisola, avvocati,  giorni rubati alla mia vita .

Nessun giudice ha pagato questo madornale, imperdonabile errore. Almeno le scuse!  Neanche.

 

Alcuni anni fa mi è capitato di perdere un mio assegno bancario di novecentomila lire,

intestato a me medesimo e non firmato, in una libreria di Roma.. La libraia l'ha trovato e, a mia insaputa, se ne è impossessata. Ha atteso che trascorressero due anni, poi l'ha consegnato al fidanzato della figlia. Quest'ultimo ha cambiato l'intestazione "me medesimo" con il  suo nome ed ha tentato di incassarlo. Appena l'assegno contraffatto arriva alla mia banca, il Direttore lo rispedisce, impagato, alla banca che l'aveva negoziato  Per di più il conto era estinto da un anno.

Mi è parso doveroso denunciare il furto alla Procura di Viterbo. Non l'avessi mai fatto!!

Si è presto trovato il reo che ha patteggiato la pena, ma il Sig. PM ha voluto incriminare anche me perché - come ha puntualizzato alla presenza del mio avvocato -  "non ho mai creduto ad una sola parola di quanto questo signore ha detto nella denuncia".  Che segugio di razza, questo PM! 

Ci sono voluti cinque anni di calvario e DICIOTTO UDIENZE.  Ad ogni udienza mi hanno costretto, per l'intera mattina, a lastricare quell'androne malsano che chiamano Tribunale, salvo ad annunciarmi, con la consueta noncuranza, alle ore 13 circa, che la causa era rinviata.

 Ecco che, finalmente, il giudice emette  la sentenza: Assolto! Il fatto non sussiste.

 Ho chiesto di parlare ma dopo tre parole sono stato zittito. Altro che scuse! Ho rischiato l'arresto.

Cose di ordinaria giustizia

E' così che ho passato parte della mia vita: a difendermi da Lorsignori.  Vittorio Feltri in un recente editoriale su LIBERO li ha definiti "ricchi e scioperati". Non entro nel merito di questo apprezzamento, ma una cosa per me è certa: mi hanno tolto il gusto di vivere facendo strazio della  mia dignità . Quando sento nominare la parola  GIUSTIZIA  provo sgomento e impotenza.

 Il pensiero corre istintivamente al disperato gesto di Jan Palach.

Quanti poveri diavoli, quanti Pinocchio  nel paese dei mastini e degli scimmioni!

 

Troppe volte ho commesso l'ingenuità di rivolgermi alla Giustizia per danni subiti!

Come quando ho denunciato il furto della mia  macchina piena di libri , lasciata in un parcheggio di Roma, a pagamento, e con il cellulare all'interno che per quattro mesi ha continuato a squillare e dare segnali di risposta alle chiamate. Ho scritto e riscritto, ho invocato un intervento. Inutilmente.

O quando mi hanno rubato dal magazzino quarantamila libri. Come mi sono precipitato, baldanzoso, ad integrare la denuncia, appena sono venuto a sapere il luogo dove li stavano vendendo! Risultato: viene aperta un'inchiesta nei confronti di chi mi aveva passato la notizia .

E dopo undici mesi - fatto recente - il furto si ripete con le stesse modalità e per la stessa entità.

Ormai ho archiviato la Giustizia. Almeno per le ingiustizie subite o che subirò. Per me le toghe e gli ermellini possono pure attaccarli, in secula seculorum, ad un chiodo. E' la mia rivincita.

Nella Storia Waterloo non è meno importante di Austerliz

 

Ho conosciuto un solo giudice, un mio autore, del quale posso dire che è un UOMO.  Uno scrittore e drammaturgo. Quando emette sentenze non ha l'occhio vitreo, e non raccoglie sbrigativamente le sue carte per uscire quanto prima dall'aula, ma si ferma a parlare con gli sventurati. Una volta l'ho visto chiedere perdono in ginocchio ad uno che aveva dovuto condannare in ottemperanza al codice. Ma un giudice così non ha vita facile, infatti, per avere emesso una sentenza assolutoria nei confronti di quattro extracomunitari che vendevano CD doppiati, è stato deferito al CSM.

Così va la Giustizia.

Recentemente questo magistrato sui generis mi ha inviato due pagine di presentazione per un libro di barzellette sugli "intoccabili" suoi colleghi, di imminente pubblicazione. Non credo che le utilizzerò. Mi appaiono fuorvianti. E sì che l'illuso magistrato fa salti di gioia e si dice onorato da questo insolito per quanto audace libro che dimostrerebbe una nuova realtà: i giudici sono finalmente scesi fra gli umani. Sono diventati popolari. Al pari dei carabinieri.

Come se bastassero le barzellette a ridare verginità a chi più non ce l'ha!

 

 Si obietterà che esistono - sono esistiti - giudici umani, gioviali e simpatici come Antonino Caponnetto. Mi dispiace per lui che ha impiegato tanti anni a convincere i giovani sulla necessità di aver fiducia nella Giustizia. Ma questa giustizia è indifendibile ed è ormai stata giustiziata dall'immaginario collettivo. Gli stessi discepoli più cari del giudice galantuomo sono morti ammazzati e per lui neanche uno sgabello da senatore a vita, che non si nega neanche ad un Andreotti o ad un Agnelli.

 

Ha detto La Bruyère: "Non è del tutto impossibile che un uomo onesto e che abbia ragione possa vincere un processo". Un paradosso? Una tragica realtà.

 Per evitare delusioni meglio sarebbe porre questo assioma al posto di quella ridicola e beffarda espressione: LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI.

 

Mi sento ancora male, ma se non avessi vergato di getto queste righe sarei crepato.

Non pretendo di impersonare la VERITA'. Giuro però di essere stato sincero. Anche se la sincerità qualche volta ci rende "invisi a Dio e a li nimici suoi".

  E come disse il protagonista di Er fattaccio dopo aver vuotato il sacco:

              ORA PORTATEME AR COELI. Sono qui.

Buon Natale e buon anno.

Valentano 18/XII/2002

       Felice Scipioni

 

 
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